Festa del Redentore, l’omelia integrale del Patriarca Francesco: “Accettare il limite, per una sana umanità. E vera laicità è riconoscere il posto di Dio nella società”

“La festa del Santissimo Redentore, in quest’anno così particolare e faticoso, risvegli nelle nostre comunità un vivo senso di Dio a partire proprio dalla percezione del limite e della fragilità umana e, quindi, una solidarietà che esprime la fede e, poi, diventa scelta sociale e politica attraverso la valorizzazione del principio di sussidiarietà che riconosce e promuove le aggregazioni dei cittadini. Per l’uomo riconoscere il proprio limite e la propria fragilità non significa esser meno uomo, ma percorrere la strada che lo conduce alla gioia di scoprirsi creatura; accettare il proprio limite diventa cifra di una sana e matura umanità”: è uno dei passaggi della riflessione che il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia ha voluto rivolgere alla comunità ecclesiale e civile nell’occasione dell’edizione 2020 della solennità del Santissimo Redentore.

Durante l’omelia (testo integrale allegato in calce) pronunciata la sera di domenica 19 luglio nel tempio del Giudecca il Patriarca ha ricordato come la memoria dell’antico voto fatto dalla Repubblica Serenissima quasi quattro secoli e mezzo fa è oggi particolarmente viva “perché abbiamo fatto e stiamo tuttora facendo un’esperienza simile e così l’impotenza e la fragilità dei nostri avi si sono di nuovo manifestate, seppur in modi differenti. Oggi riscontriamo ancora come l’uomo debba sempre fare i conti con i suoi limiti, nonostante i progressi della scienza: l’uomo è creatura e rimane fragile. La pandemia ci ha segnati come singole persone e come comunità, ci ha toccato dentro e per chi non si è sottratto è stato possibile ripensare il proprio stile di vita. Il lockdown è stato vissuto in modi diversi; ha portato alcuni a riflettere criticamente sulla situazione, altri semplicemente a subirla.  La solennità del Redentore ricorda il mistero della salvezza che, per il cristiano, ha un solo nome: Gesù. Il Risorto è la risposta al grido che, in questi mesi, è riecheggiato in ospedali, residenze per anziani, reparti di terapia intensiva, luoghi di sofferenza ed anche fatica per malati, medici e infermieri, i cui volti stanchi e disfatti sono vivi nella nostra memoria. L’uomo, in ogni momento, può ammalarsi e venir meno; in un solo istante, si può passare da star bene a non riuscire a compiere i gesti necessari del vivere. Anche nel tempo della tecnoscienza l’uomo non può sentirsi assolutamente garantito; la precarietà appartiene all’uomo e gli ricorda chi è, nonostante i sogni d’immortalità puntualmente smentiti dai fatti”.

Dopo aver ripercorso e citato alcuni salmi dell’Antico Testamento, caratteristici del modo e del contenuto della preghiera con cui l’umanità da sempre si rivolge a Dio, mons. Moraglia ha quindi osservato, indirizzando il suo sguardo più decisamente su Venezia: “L’uomo è persona, ossia essere “in relazione” e la città è prodotto della persona. La nostra amata città appartiene ai veneziani ma – per la sua unicità – è patrimonio del mondo. Dopo l’ultima “acqua granda” dello scorso novembre e l’emergenza Covid 19, ancora in atto, è necessario mettere in campo idee capaci di proporre un nuovo modello di convivenza; è una sfida affascinante. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, ci indica una strada. Venezia può diventare un importante laboratorio che, dalla sua storia, trae spunto per progettare un futuro che risponda alle esigenze della sua natura fragile, del suo patrimonio artistico culturale e, insieme, la renda vivibile a misura d’uomo; una città per un futuro nel quale natura, cultura, reddito e cittadinanza sappiano convivere a partire dal bene comune che non è l’aspettativa e i desiderata di qualche gruppo o lobby, ma è il bene di tutti e di ciascuno”.

Il Patriarca ha, infine, così concluso: “Soprattutto la Chiesa che è in Venezia si deve sentire interpellata ed essere capace di proporre una visione in cui l’uomo, aperto a Dio, sia posto sempre al centro. Vera laicità è riconoscere il posto di Dio anche nella società civile, sapendo andar oltre i desideri e le aspettative dei singoli. Il Signore Gesù, il Santissimo Redentore, che ci rivela la verità su Dio e sull’uomo, ci aiuti a far sì che l’uomo – abitando la città terrena – viva nella consapevolezza di come il Regno di Dio sia un dono che viene dall’alto e si edifica, giorno dopo giorno, imprimendo sulla città terrena un volto più umano, ossia più corrispondente all’uomo, a partire dalle sue fragilità materiali e spirituali”.