Gli esami universitari hanno a che fare con la vita «vera»?

Gli esami universitari hanno a che fare con la vita «vera»?

 

«Se prendo in considerazione l’argomento a livello superficiale, li vedo come uno di quegli ostacoli che perseguitano noi studenti nella nostra intera carriera scolastica» dice, riferendosi agli esami universitari, Anna Capotorto, 21 anni studentessa di Filosofia. I mesi di gennaio e febbraio sono per gli studenti universitari mesi faticosi, governati dalla famigerata sessione d’esami invernali. Gli studenti sono chiamati a dimostrare ai professori quanto appreso dai loro corsi. Ma sono questi meri incubi, fini a se stessi, che talvolta non lasciano dormire, oppure hanno un’importanza sia a livello accademico sia nella vita, nel suo complesso?

San J. H. Newman, canonizzato da Papa Francesco il 13 febbraio 2019, fu un grande studioso che, tra le altre cose, dedicò molte sue energie al mondo accademico. Nel suo libro «Scritti sull’università» Newman descrive l’educazione universitaria come quella che dà all’uomo una chiara visione consapevole delle proprie opinioni e dei propri giudizi, una verità nello svilupparli, un’eloquenza nell’esprimerli, e una forza nel farli valere. È chiara quindi la vena pragmatica che secondo il santo dovrebbe esserci nell’Università. Anche gli studenti della Pastorale Universitaria trovano negli esami un’ottima «palestra di vita», che permette di imparare ad organizzare l’apprendimento in relazione a una tempistica data. «Ma provando a pensarci più seriamente, gli esami sono in primo luogo un promemoria – continua Anna – ricordano di non perdere tempo e danno il ritmo nell’organizzarsi per lo studio. Poi ci mettono alla prova, il che è anche un allenamento alla vita lavorativa, che non ci risparmia termini e prove a cui sottoporci».

Anche Pietro Seccareccia, 23 anni e all’ultimo dei suoi  cinque anni di Economia e Finanza, vede nella possibilità di svolgere esami due possibili risorse: «Oltre alla capacità di organizzarsi con la scelta dei corsi e l’impegno nel pianificare la gestione del tempo, credo siano occasioni per curare l’esposizione di un discorso. Nel dialogo bisogna trasmettere sicurezza e trovare un filo conduttore chiaro e delineato».  Così pure Nicole Imberti – studentessa di Lingue e Culture del Medioriente, 21 anni – ritiene che la difficoltà maggiore, e con ciò la possibilità di apprendere, provenga dagli esami orali: «Il bello é che si può imparare a gestire l’ansia – il che è propedeutico a un colloquio di lavoro, o a conoscere i genitori del moroso – ed é buono arrivarci preparati».  C’è anche chi, come Elisa Campigotto, pur essendo al primo anno, ha già capito l’importanza di avere un metodo: «La sessione é dura, devi avere chiaro l’obiettivo quando cominci, ma poi subentrano imprevisti. È fondamentale la gestione del tempo, a volte ci manca l’organizzazione».

Interessante la visione di Pietro Cazzamani, che si è laureato a novembre in Lingua Cinese: «Per me gli esami sono importanti perché stimolano allo studio e all’approfondimento»; in particolare le prove orali « specialmente per chi, come me, studia lingue, sono le migliori per conoscere il proprio livello raggiunto».

Da queste sincere testimonianze sembra che gli esami preparino i giovani, principalmente, ad organizzarsi e ad esporre in maniera chiara e concisa quanto appreso. Queste abilità sono fondamentali anche nella vita e nel mondo lavorativo, parte integrante di essa, essendo chiamati a saper comunicare, a pianificare e a saper far fronte agli imprevisti, con fiducia nelle proprie risorse.

Anche scegliere la dimensione del servizio comunitario, mettendo a disposizione quanto si apprende, potrebbe essere già da subito una possibilità per conciliare l’impegno accademico alla vita nel suo complesso.

 

Daniele Barolo