Basilica Papale di S. Francesco (superiore)
Solennità di San Francesco
della lampada votiva dei comuni d’Italia
Sir 50 1, 3-7; dal Salmo 15; Gal 6,14-18; Mt 11, 25-30
Assisi, 4 ottobre 2008
1. Dopo aver ascoltato dal Crocifisso di San Damiano l’invito a riparare
la sua casa in rovina, Francesco, dice il biografo, volle offrire «denaro a
un sacerdote perché provvedesse una lampada e l’olio, e la sacra immagine non
rimanesse priva, neppure per un istante, dell’onore di un lume».(Tommaso da Celano, Vita seconda di San
Francesco, 10).
Eminenze,
Eccellenze, Reverendi Ministri generali, Autorità civili e militari (comunali,
provinciali, regionali) Signor Ministro rappresentante del Governo, carissimi
fratelli e sorelle in Cristo Gesù qui presenti o che ci seguite da lontano. Noi
oggi, facendo eco al suo delicato gesto di amore e di gratitudine, abbiamo
acceso la lampada dei Comuni italiani perché vogliamo guardare a Francesco come
al nostro “padre e maestro”. Così lo definisce Dante (Paradiso, XI, v.
85).
2. Da tutto il Veneto siamo convenuti in questa splendida Basilica
animata dal penetrante racconto della vita di Francesco ad opera di Giotto e ci
siamo uniti al popolo di Assisi e ai molti pellegrini. L’accensione della
lampada e l’insieme dei gesti che, dal Vespro di ieri sera, la stanno
accompagnando sono un fatto corale, religioso e civile che vuol porre con forza
un segno di solidità nel travaglio provocato dalle rapide trasformazioni in
atto anche nella nostra Italia. Tutti i “fondamentali” che hanno per secoli
regolato l’umana convivenza sono oggi messi in questione. È un dato di fatto.
Penso al significato del vero, del buono, del bello, al senso della vita e
della morte, del matrimonio, della famiglia, dell’identità religiosa e
culturale di una nazione, del rapporto con l’ambiente, della costruzione di un
solido e durevole equilibrio tra pace, sviluppo e giustizia…
3. Eppure la nostra è un’epoca piena di fascino. È, soprattutto, quella
in cui Dio che è Padre ci chiama a vivere. Ma a vivere come? Ce lo dice
Francesco, che ancora oggi, dopo otto secoli, esercita una straordinaria
attrattiva in tutto il mondo: «Sei tu, Signore, l’unico mio bene» (Salmo
responsoriale, 15, 1). Questa è in Francesco la radice di tutto. La sua
quotidiana esistenza fu la risposta carica di amore al Bene Unico che è Dio. Lo
si vede chiaramente da come ha vissuto la sua morte.
«A cerchi concentrici - ha
detto Papa Benedetto l’anno scorso qui ad Assisi - l’amore di Francesco per
Gesù si dilata non solo sulla Chiesa ma su tutte le cose, viste in Cristo e per
Cristo» (Benedetto XVI, Incontro con
i giovani, 17 giugno 2007).
4. Come per San Paolo, la passione per Cristo segnò Francesco fin nella
carne [«Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Seconda Lettura,
Gal 6,17)]. E questa passione fu nel poverello inscindibile dalla
passione per l’uomo.
Non
a caso la Prima Lettura lo identifica
con «colui che nella sua vita riparò il tempio e… premuroso di impedire la
caduta del suo popolo, fortificò la città contro un assedio» (Sir
50, 1.4). Come la fiamma della lampada che abbiamo solennemente acceso,
Francesco bruciò e si consumò di carità (per Dio, per gli uomini e verso il
creato) lungo tutto l’arco della sua esistenza.
All’invito
del Crocifisso di San Damiano - «Va’ e ripara la mia chiesa» (Tommaso da Celano, Vita seconda di San
Francesco, 10). - Francesco risponde con l’offerta totale delle proprie
energie - «Voglio dare a Dio il prezzo del mio sudore» (ibidem) – e
diede tutta la vita.
5. Dallo stile di vita di Francesco scaturisce il metodo per
l’edificazione non solo della Chiesa, ma, con le debite distinzioni, di tutta
la società civile. Un metodo sempre costruttivo, oggi così necessario in tutti
gli ambiti dell’umana esistenza.
Anzitutto
una compassione che sa chinarsi su ogni creatura, senza orgoglio
né separazione. Una compassione sempre più solidale, nella verità, con tutta la
debolezza presente nel mondo e anche nella Chiesa [«Venite a me, voi tutti
che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò» (Vangelo Mt
11,28)]. Una compassione sempre più legata al destino buono della creazione
che, nel travaglio e nei gemiti del parto, si va lentamente compiendo.
In
secondo luogo un’indomabile apertura che sa far spazio alla
libertà dell’altro, ma pienamente consapevole e responsabile della propria
fisionomia (pensiamo all’incontro col Sultano).
In
terzo luogo un’instancabile azione di pace, nella coscienza
chiara che la sua origine viene da Dio.
L’Italia,
ma il mondo intero, ha sete di questo stile di vita che fu di Francesco. Tocca
a noi praticarlo, a cominciare da chi tra noi è chiamato a pubblica
responsabilità nella Chiesa e nella società.
6. Sono passati quasi settant’anni da quel 4 ottobre 1939 in cui Pio XII
proclamò San Francesco Patrono d’Italia, dando inizio a questa feconda
tradizione a cui la nostra Regione partecipa ormai per la quarta volta. Allora,
anche sul nostro Paese, si stavano addensando i bagliori di un tragico
conflitto mondiale, ma gravido di incognite è anche il momento presente. Lo
avverte ognuno di noi. E lo percepiamo tutti insieme come popolo italiano. Per
questo siamo qui. La lampada che arde presso la tomba del Poverello, grazie al
dono dell’olio, sarà come una preghiera continua. Per tutti. Cosa Chiediamo al
Signore per l’intercessione di San Francesco? Ripetiamo dal profondo del cuore
l’invocazione che ha concluso l’accensione della lampada: «Fa’o Francesco
che il popolo italiano, fedele alle radici cristiane, vivendo in comunione e
fraternità, concorra con l’Europa al progresso dell’umanità, per il bene e la
pace di tutti» (Preghiera del vescovo dopo l’accensione della lampada
votiva). Amen