
FACENDO LA CASA DEGLI ESERCIZI IO ALTRO NON HO INTESO CHE DARE IL “CUORE” ALLA NOSTRA CHIESA, convinto che l’anima di ogni pastorale (e di ogni attività ecclesiale) sia la docilità allo Spirito nella sequela di Gesù. Se la pastorale non è formativa, non è pastorale.
E siccome sono convinto che non si dà vero impegno di Chiesa – nella catechesi, nella carità e nel volontariato o in qualunque altro campo, anche il meno esplicitamente “spirituale” – senza “formazione”, io “sogno” la Casa di Esercizi come “il pozzo di Sichar” dove chiunque voglia incontrare il Signore – singoli o gruppi – trovi un luogo e una persona che gli indichi dove zampilla “l’acqua viva”.
L’esperienza degli esercizi spirituali, condotti nel silenzio del confronto con Dio solo, potrebbe dare “verità” a tutto il nostro agire ecclesiale, anche il più profano e periferico.
Gesù, con le sue giornate piene di lavoro (Cfr Mc 3.20; 6,31) dava spazi assoluti alla preghiera, cercava il silenzio, stava molto in compagnia dei suoi, pregando con loro, istruendoli nella durezza del loro cuore, facendoli partecipi della sua vita. Gesù, pensando al futuro del suo annuncio nei secoli, ha formato “gli operai del Regno”.
A questo punto io non trovo più parole e il mio cuore si scioglie nella preghiera:
“Donaci, o Padre, lo Spirito Santo, perché gli spazi abitati da noi siano pieni della presenza di Gesù. E tu, Signore Gesù, che non disdegni di essere presente in piccole ostie di pane, non rifiutare la nostra miseria: fa’ di noi luoghi della tua presenza, uomini che diffondano il contagio salvatore del divino Maestro. Amen”. (M. Cè, Lettera ai collaboratori, Venezia, 28 febbraio 2001, Mercoledì delle Ceneri)