Saluto del Patriarca al Concerto di Natale nella Basilica Cattedrale di San Marco (Venezia, 20 dicembre 2021)
20-12-2021

Concerto di Natale nella Basilica Cattedrale di San Marco

(Venezia, 20 dicembre 2021)

Saluto del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Stimate autorità, gentili signore e signori,

ci ritroviamo per il tradizionale momento musicale natalizio che – oltre al luogo unico che ci accoglie – sarà, se possibile, ancora più suggestivo grazie ai solisti e alla Cappella Marciana, sotto la direzione del Maestro Marco Gemmani.

Faremo con loro un viaggio nel tempo – tutto “veneziano” e legato a questa Basilica Patriarcale – per apprezzare al meglio le composizioni settecentesche di Baldassare Galuppi con i suoi Salmi Laudate per i Primi Vespri del Natale.

In tale occasione rinnovo la mia gratitudine al Primo Procuratore Carlo Alberto Tesserin, agli altri Procuratori e a tutte le lavoratrici e i lavoratori della Procuratoria che ogni giorno, con impegno e passione, garantiscono la cura e la custodia, la sicurezza e l’esecuzione dei lavori di manutenzione e restauro dell’edificio marciano.

Siamo giunti al termine di un anno – segnato per Venezia dalla ricorrenza del 1600esimo anniversario di fondazione – in cui abbiamo cercato di ripartire, come città ed anche per ciò che riguarda la vita di questa Basilica che ne è simbolo prestigioso.

La ripartenza – lo stiamo sperimentando nei diversi ambiti della vita civile e dell’esperienza personale e familiare, dall’economia alla scuola, dal turismo al mondo della cultura (per fare qualche esempio) – risulta tuttora faticosa e non priva di ostacoli. C’è una strada ancora lunga da percorrere, i cui passaggi solo in parte sono noti perché vanno misurati e messi a fuoco momento dopo momento secondo le dinamiche di una pandemia che è ancora presente in mezzo a noi e non ci chiede permessi di sorta o ci comunica, per tempo, cosa farà.

Questo tempo ci sta facendo cogliere il valore essenziale della coesistenza e della corresponsabilità sociale. La vita stessa di una città – e Venezia lo evidenzia in modo particolarissimo – si propone sempre come un sapiente equilibrio di relazioni, soprattutto tra persone.

Sì, la centralità della persona risalta soprattutto in momenti come questi in cui si parla molto di “cambiamento d’epoca”, di transizione e di sostenibilità e si pensa di poter delegare alla scienza e alla tecnica ciò che, invece, deve rimanere saldamente nelle mani di un sapere che non risponde solo alla domanda su come si agisce ma anche sul perché si può o si deve agire o non agire, ossia la capacità di discernere e giudicare le scelte della scienza e della tecnica circa le loro potenzialità e scopi.

Centralità della persona significa che questa (la persona) va considerata sempre come fine, mai come mezzo, e che la solidarietà tra persone, gruppi e comunità è il vero “cemento” che unisce una città, un territorio, una società e ne garantisce lo sviluppo. La solidarietà, poi, non va intesa come forma esplicita o criptata di assistenzialismo ma come possibilità, offerta a tutti, di percorrere dignitosamente la propria strada; il principio di solidarietà mai può essere disgiunto da quello di sussidiarietà.

L’augurio che oggi che rivolgo alla città è di porsi in ascolto del Natale e di fare spazio al Natale, proprio in un tempo in cui si vorrebbe da parte di alcuni eliminare un evento che ha caratterizzato la storia dell’umanità e sicuramente delle nostre comunità.

Insieme a questo invito all’ “ascolto” del Natale desidero ricordare Fëdor Michajlovič Dostoevskij a duecento anni esatti dalla sua nascita (nasceva, infatti, a Mosca l’11 novembre 1821). Questo grande scrittore e pensatore russo ha molto da dirci nell’attuale contesto; i suoi personaggi presentano il bene e il male e le differenti situazioni in cui l’uomo si può trovare di volta in volta di fronte ad esso, ponendosi all’interno di una problematicità tra estremi, ad esempio la purezza e il peccato, la bellezza e l’abbruttimento ecc.

Ricordiamo Dostoevskij per affermazioni che restano emblematiche, come quella del dialogo fra Ivan Karamazov e Aljòsa che sfocia nel detto: “Se Dio non esiste, tutto è permesso, tutto è lecito”.

C’è poi un’altra affermazione che traggo dalle sue lettere ed in particolare dalla lettera indirizzata a Natalija Dmitrievna Fonvizina (siamo nell’anno 1854): “Vi dirò di me – scrive Dostoevskij – che io sono un figlio del secolo, sono un figlio del dubbio e della miscredenza, fino a oggi e (lo so) finché campo… se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è al di fuori della verità, e davvero la verità si trovasse fuori di Cristo, preferirei comunque rimanere con Cristo piuttosto che con la verità” (Fëdor M. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, pag. 51, Feltrinelli 1994).

Qui ritroviamo la caratteristica conflittuale dello scrittore ma si coglie soprattutto la capacità di interpellarci attraverso le sue riflessioni.

Un pensiero significativo su Dostoevskij può essere sintetizzato in ciò che Vladimir Solov’ëv – filosofo russo e, in un certo senso, discepolo spirituale di Dostoevskij – scriveva nel primo discorso a lui dedicato: “Si sottrasse all’influenza delle tendenze dominanti intorno a lui e non seguì docilmente le fasi del movimento della società, ma seppe prevedere i mutamenti di rotta… Egli poteva giudicare giacché disponeva di un criterio di giudizio radicato nella sua fede, la quale lo poneva più in alto delle correnti dominanti e gli consentiva di vedere molto più lontano… Forte della sua fede, Dostoevskij intuì veracemente l’altissimo e lontano scopo di tutto quel movimento, vide chiaramente le deviazioni da questo fine, giudicò con pieno diritto e giustamente le censurò… Egli credeva non soltanto al regno di Dio passato ma anche a quello futuro e comprendeva la necessità del lavoro e del sacrificio eroico per il suo avvenimento” (Vladimir Solov’ëv, Fëdor Dostoevskij, pag. 25-26, Cantagalli 2021).

Tale pensiero invita così la ragione ad un confronto stringente con la realtà e risulta utile anche nel nostro tempo, così segnato e omologato dal pensiero unico dominante e dal politicamente corretto con i suoi tabù, dogmi e vocaboli ammessi o previamente censurati.

Questi pensieri di Dostoevskij rappresentano anche oggi per noi una precisa consegna, un’indicazione e una linea di valutazione per decifrare, non solo a livello tecnico e scientifico ma sapienziale, il nostro tempo intrecciato tra crisi, cambiamento d’epoca, ripartenza e tentativi – che auspichiamo sempre più riusciti e convincenti – di ripresa ad ogni livello.

Sin d’ora auguro a tutti, di cuore, un Santo Natale illuminato dalla fede e, quando non la si avesse, dal dono sempre utile del buon senso.