Omelia nella S. Messa per i funerali di don Mario Meggiolaro (Oriago / Chiesa parrocchiale S. Pietro in Bosco, 12 novembre 2021)
12-11-2021

S. Messa per i funerali di don Mario Meggiolaro

(Oriago / Chiesa parrocchiale S. Pietro in Bosco, 12 novembre 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

siamo qui per rivolgere nella fede l’ultimo saluto terreno a don Mario che – nelle prime ore di martedì scorso – è entrato nella nostra comune casa futura, meta da lui non solo attesa ma desiderata.

Le sue condizioni di salute negli ultimi tempi erano diventate precarie e lo avevano reso sempre più fragile; il male che lo aveva colpito gli procurava molta sofferenza e, alla fine, la situazione è precipitata.

Don Mario aveva 83 anni e per oltre 58 ha esercitato il ministero sacerdotale; dopo essere stato per 5 anni vicario parrocchiale alla Gazzera, fece, decisamente, la scelta missionaria – come sacerdote fidei donum – e l’Africa, il Kenya, divenne la terra per la quale ha donato la vita a prezzo di sacrifici, una terra divenuta la sua seconda patria anche se don Mario non ha mai dimenticato le sue radici ecclesiali e familiari, come dimostra il suo costante legame d’affetto con il Patriarcato e – posso attestarlo – con la persona del Patriarca.

Chi gli fu compagno d’ordinazione e di studi in seminario, don Giacomo Marchesan, lo ricorda così: “… era socievole. Allegro, umile e semplice. Mi colpiva la sua profonda vita di pietà, sapeva alzarsi presto alla mattina per pregare… l’esperienza della missione l’ha segnato profondamente… vero amico, bravo sacerdote”.

A questa scelta e “conversione” missionaria, don Mario è stato fedele fino alla fine. All’Africa e al Kenya ha dedicato più di 50 anni della sua vita, da quando, nel 1968, ha preso a collaborare con la diocesi di Embu nella parrocchia di Ishiara (dove è rimasto per oltre un ventennio) e, poi, sempre nel territorio di quella diocesi, a partire dal 1989, nella parrocchia di Gwakaithi dove si è fermato per un lungo periodo prima di passare, nel 2002, nella parrocchia e nella diocesi di Isiolo – sempre in Kenya – dove si è speso per dar vita all’Istituto secolare femminile intitolato alla SS. Trinità ed è rimasto sino ad un paio d’anni fa quando il venir meno della sua salute l’ha convinto a ritornare nella natìa Oriago.

Don Mario, insomma, è stato un vero missionario che aveva nel cuore – e questo mi risultava evidente ogni volta che lo incontravo – il desiderio d’evangelizzare, di trasmettere il Vangelo a tutti, di promuovere e far praticare la vita cristiana. A questo compito ha messo a servizio tutta la sua esistenza, il suo carattere deciso, la sua intelligenza e forza di volontà, la sua profonda spiritualità.

L’impegno che ha caratterizzato soprattutto l’ultimo tratto della sua esperienza missionaria in Kenya è stato la costituzione e la cura di un istituto religioso attraverso il quale ragazze e donne del luogo potessero trovare una strada di autentica consacrazione, un’adeguata formazione e regola di vita, un’impronta spirituale e religiosa forte. Questo ci dice come don Mario non avesse solo in mente le opere di misericordia materiali (con strutture da realizzare, aiuti economici da raccogliere e portare, ecc.) ma le opere di misericordia spirituali e le virtù teologali, l’accompagnamento spirituale delle persone, l’avere tempo per loro, il non correre sempre e comunque. La sua azione missionaria era qualcosa di “integrale” e compiuto.

Riprendo di seguito le parole di don Giovanni Volpato che ha condiviso con lui il ministero sacerdotale in terra d’Africa per circa otto anni: ”…don Mario aveva una personalità variegata, tra il mistico e il sognatore, animato sempre da grande zelo ed entusiasmo per le missioni; tra i suoi sogni una stazione radio per l’evangelizzazione, che non si poté mai realizzare (a quei tempi con un regime autoritario era impossibile), la scuola secondaria per le ragazze, che fu costruita con i finanziamenti della festa dei giovani, la scuola magistrale e molti altri progetti. Aveva una devozione speciale per la Ss. Trinità e questo è il motivo per cui il monastero di vita contemplativa di Ishiara e la comunità di suore di vita attiva fondata in Isiolo furono dedicati alla SS. Trinità. Si era inserito bene nella lingua e nella cultura, padroneggiando alla perfezione la lingua Kikuyu”.

Soffermiamoci ora, sulla liturgia della Parola. La prima lettura (2Cor 5,1.6-10) apre uno squarcio sull’ultimo difficile periodo di vita di don Mario, quello segnato da sempre maggiori sofferenze fisiche; negli ultimi tempi era stato anche prostrato dalla morte della sorella maggiore, con cui viveva.

L’apostolo Paolo in questa parte della lettera affronta, in modo lucido, la questione della morte, la continua tensione fra la vita del corpo – soggetto a debolezza progressiva che fa gemere e sospirare – e il desiderio della pienezza di vita in Dio poiché “riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli” (2Cor 5,1), stretto tra la sensazione di vivere in una sorta di continuo “esilio” e invece la grande fiducia, ricca di forza di volontà, di camminare in quella fede che – attraverso la trasformazione interiore operata dallo Spirito Santo già con il nostro battesimo – ci porta ad agire, a pensare, a parlare e, quindi, a vivere “in” Gesù Cristo, ossia come Gesù Cristo, con le sue mani, le sue orecchie, i suoi occhi.

Anche in don Mario è cresciuto sempre più il desiderio di “abitare presso il Signore” (2Cor 5,8); lo avvertiva come vero anelito. Chi l’ha accompagnato, nell’ultimo periodo, lo può attestare. Penso a don Cristiano e alla sorella Maria Luisa; un ricordo lo rivolgo al fratello Giovanni infermo.

Il Vangelo (Mc 15,33-39;16,1-6) narra la morte e la risurrezione di Cristo. Tra le ultime parole di Gesù vi sono quelle tratte dal salmo 21 che inizia con la domanda: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. La morte per Gesù non è stata cosa da poco, trascurabile, quasi a dire: tanto fra tre giorni c’è la risurrezione… No, la morte entrò lacerandolo nell’intimo.

Per Gesù la morte è stato evento drammatico e angosciante, l’abbandono totale, perché quando la morte entra nella carne del Figlio dell’uomo – l’umanità perfetta – è ancora più dirompente e straziante.

Ma il Vangelo deve essere letto in ogni sua parola, sino alla fine, e allora, siamo posti dinanzi all’alba del primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione, quando le donne vanno al sepolcro e lo trovano vuoto. L’annuncio che ricevono – “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto” (Mc 16,6) – contiene il senso della verità e della novità cristiana, il senso di pienezza di vita che introduce nella fede che don Mario ha sempre annunciato, in terre lontane, nei tanti anni del suo ministero missionario.

Per don Mario è scoccata l’ora della verità, il momento dell’incontro col Signore Risorto, incontro atteso e preparato, incontro ricco di gioia, come abbiamo pregato insieme poco fa nel salmo responsoriale (Sal 121) che proclama il nascere, il vivere e il morire del discepolo come un “andare verso”, un pellegrinaggio (verso l’alto) alla casa del Signore, la Gerusalemme celeste.

In questo cammino verso la casa del Signore non si è mai soli; si sale insieme, si percorre la strada con altri. E questo vale per tutti, ma in particolare per i preti e i missionari che – come don Mario – hanno preso per mano tanti fratelli e sorelle, annunciando il Vangelo, aprendo le porte della grazia, accompagnandoli attraverso il battesimo e la formazione alla vita cristiana e in alcuni casi – come le giovani donne dell’istituto fondato da don Mario – a percorrere la via della consacrazione religiosa. Il vero “lavoro” del prete si dà, appunto, attraverso la grazia del Signore e consiste nell’edificare la vita delle persone; poi ricade sulle realtà esteriori.

Alla sorella, al fratello, ai nipoti e ai parenti tutti rivolgo le mie condoglianze. A don Mario, con questa celebrazione eucaristica, vogliamo dire grazie per la sua testimonianza di fede e per la generosità che ha saputo esprimere fino alla fine.

Nel Vangelo di Marco, rispondendo a Pietro, Gesù dice: “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10,29-30).

Caro don Mario, possa tu ricevere ora la pienezza di questa promessa, mentre, con gioia, vai incontro al tuo e nostro amato Signore!