Omelia nella Basilica della Salute in occasione della festa della Madonna della Salute (Venezia, 21 novembre 2011)
21-11-2011

FESTA DELLA MADONNA DELLA SALUTE

 

(Venezia, Basilica della Salute, 21 novembre 2011)

 

 

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,

 

venerato Capitolo Patriarcale,

 

venerati presbiteri e diaconi,

 

confratelli delle nove Congregazioni del Clero,

 

gentili Autorità civili e militari,

 

Signor Sindaco,

 

Gentile Signor Prefetto,

 

 

oggi, sciogliendo il secolare voto fatto dai nostri padri, per intercessione della Madonna della Salute, vogliamo affidare a Cristo Signore soprattutto le preoccupazioni e i problemi che ci pesano nel cuore.

 

         Le speranze delle nostre famiglie, della nostra Chiesa e della nostra splendida e fragile Città, ma anche le attese della nostra Italia e dell’intera famiglia umana, immersa nel travaglio di una trasformazione radicale e spesso dolorosa.

 

         Ancora una volta, ci lasciamo condurre dalla Parola di Dio, che è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino. La prima lettura ci parla degli ultimi anni di vita del re Davide, che non furono né facili né tranquilli; già si cominciavano a scorgere i primi segni dei conflitti che stavano per riesplodere fra le tribù del sud e quelle del nord. Per rafforzare l’unità del regno, Davide pensò di costruire un tempio al Signore, ma, per porre in atto un progetto tanto ambizioso, aveva bisogno dell’approvazione e del sostegno del profeta Natan, l’unico che, con la sua autorità morale, poteva convincere il popolo a collaborare all’impresa. Colto un po’ di sorpresa, Natan si lasciò convincere e approvò l’idea, ma in quella stessa notte si rese conto che i sacrifici imposti al popolo erano già troppi e che non era il momento di intraprendere una simile costruzione. Il giorno seguente il profeta si recò spontaneamente dal sovrano e gli comunicò la rivelazione che aveva avuto da Dio: ‘Non sarai tu a costruire una casa per il Signore, ma sarà Lui a costruire una casa, stabile, solida ed eterna per il popolo‘.

 

         Davide voleva costruire una casa a Dio e Dio promette di costruirgli un casato, una posterità, una discendenza. Per bocca del profeta, Dio stava impegnando la sua fedeltà in una solenne promessa: la dinastia davidica sarebbe durata per sempre. Infatti, Dio fece sorgere, nella famiglia di Davide, un re, Gesù, il figlio di Maria.

 

         Israele si aspettava un conquistatore di imperi, il Signore rispose inviando un bambino debole, povero e indifeso. Sono le sorprese di Dio. Beati coloro che, come Maria, sono in grado di accoglierle e si rendono disponibili al progetto di Dio: ‘Eccomi, sono la serva del Signore; si compia in me la tua volontà‘.

 

         Oggi siamo riuniti, numerosi, in questa splendida Basilica della Madonna della Salute per onorare il voto che i nostri padri hanno fatto durante la terribile peste del 1630, che sterminò quasi la metà della popolazione veneziana. Il tempio del Longhena, con la sua grandiosa cupola centrale, sembra quasi rappresentare la figura materna di Maria, che, come una chioccia, raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali, vigilando e proteggendo tutti coloro che vivono, lavorano e visitano la nostra amata Venezia.

 

         I nostri padri, come Davide, hanno inteso costruire tante case-chiese per il Signore, ma lui ha costruito per noi un casto, una comunità di credenti, che intende restare fedele e testimoniare con la vita  e con le opere il Vangelo di Cristo. E’ questo il senso della nostra folta presenza in questa Basilica.

 

         Poniamo ora la nostra attenzione alla narrazione evangelica, che ci parla del primo segno di Gesù compiuto durante un banchetto di nozze a Cana di Galilea. La Vergine Maria si accorge che gli sposi ‘non hanno più vino‘ e non ricorre, come può sembrare logico, al maestro di tavola, bensì a Gesù. Gesù le risponde che non è ancora giunta la sua ora, egli è solo all’inizio della sua vita pubblica. La sua missione è iniziata, ma avrà il suo culmine quando ‘giungerà la sua ora‘, quando, sul Calvario, manifesterà tutto il suo amore dando la vita per noi, quando dal suo costato trafitto sgorgherà ‘sangue e acqua‘.

 

         A Cana, egli compie solo un segno di ciò che farà nell’ora in cui passerà da questo mondo al Padre. La mancanza del vino fa pensare a momenti in cui, nella vita personale, ecclesiale o sociale, viene meno la gioia, la contentezza di vivere e subentra la tristezza e lo sconforto. Tante sono le situazioni umane in cui si verifica questo capovolgimento di situazione, sia a livello personale che comunitario. Ne possiamo evocare alcune: il passaggio dalla salute alla malattia, dal lavoro alla disoccupazione, dal benessere alla povertà, dalla gioia alla depressione e così via. Ma dal momento che il racconto del Vangelo è costruito sull’esperienza di uno sposalizio, di un banchetto di nozze, desidero rivolgermi oggi alle tante coppie di sposi e alle tante famiglie segnate dalla crisi del Matrimonio e intendo farmi vicino a questi fratelli e sorelle con grande delicatezza, in spirito di verità e di carità, nel desiderio di poter ritrovare insieme a loro la gioia della comunione ricostruita.

 

         Certamente, ai nostri giorni, costatiamo, nei nostri incontri e nei nostri dialoghi di vescovi, di sacerdoti e di laici con le famiglie, con gli sposi e con i figli, crisi coniugali serie e gravi. Da una parte la crisi coniugale, soprattutto nella sua fase più acuta e dolorosa, si presenta come un fallimento, come la prova che il sogno è finito e si è trasformato in una delusione profonda. Ma dall’altra parte ogni crisi può aprire ad una nuova fase di vita, nella misura in cui i coniugi sono disposti a confidare in una speranza più grande della disperazione. Siamo retti dall’inaudita e certa promessa che san Paolo formula ai cristiani di Roma: ‘Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno‘.

 

         Nei momenti più oscuri c’è bisogno di una compagnia di amici che, nel massimo rispetto, ma anche con sincera volontà di bene, siano pronti a condividere un po’ della propria speranza con chi l’ha perduta. Non in modo sentimentale o velleitario, ma organizzato e realistico. Ho presente tutta l’azione della pastorale degli sposi e della famiglia, i consultori familiari, la case-famiglia, la cura dei piccoli in difficoltà, gli asili-nido e le scuole d’infanzia e così via. Ma c’è soprattutto bisogno di sposi che, con la grazia di Dio, sono riusciti a vivere bene il dono del Matrimonio, gioie e fatiche, e hanno deciso di mettere la propria esperienza a servizio degli altri.

 

         Sposi e famiglie a servizio di altri sposi e di altre famiglie, nella ricostruzione di relazioni buone e costruttive, nell’educazione dei figli, nella preghiera comune e nella condivisione anche delle difficoltà economiche. La crisi, dunque, come passaggio di crescita. In questa prospettiva si può leggere il racconto delle nozze di Cana (Gv. 2,1-11). La Vergine Maria si accorge che gli sposi ‘non hanno più vino‘ e lo dice a Gesù. Questa mancanza del vino fa pensare al momento in cui, nella vita della coppia, finisce l’amore, si esaurisce la gioia e cala bruscamente l’entusiasmo del Matrimonio.

 

         Dopo che Gesù ebbe trasformato l’acqua in vino, fecero i complimenti allo sposo, perché, dicevano, aveva conservato fino a quel momento ‘il vino buono‘. Sappiamo che questo ‘vino buono‘ è simbolo della salvezza, della nuova alleanza nuziale che Gesù è venuto a realizzare con l’umanità. Ma proprio di questa alleanza nuziale è simbolo e sacramento ogni Matrimonio cristiano, anche il più fragile e vacillante, e può sempre trovare nell’umiltà il coraggio di chiedere aiuto al Signore.

 

         Ci aiuti, in questo delicato e decisivo impegno, la Santa Famiglia di Nazareth e tutti insieme affidiamo a Maria, Madonna della Salute, Regina della Famiglia, i nostri sposi e le nostre famiglie. Amen.