Omelia del Patriarca nella Solennità del Corpus Domini (Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco - 18 giugno 2017)
18-06-2017

Solennità del Corpus Domini

(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 18 giugno 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

consentitemi di rivolgermi a voi con questo saluto, mentre ringrazio le autorità presenti, perché di fronte all’unico Signore siamo tutti – e dobbiamo tutti sentirci – solamente fratelli e sorelle. Lui è il Signore. E il discernimento primo è riconoscere Lui.

San Paolo dice ai Corinzi: riconoscete il Signore nelle vostre assemblee, negli atteggiamenti che vi legano gli uni agli altri perché si corre il rischio di mangiare indegnamente il corpo del Signore e di bere indegnamente il suo sangue. Oggi dobbiamo interrogarci se siamo discepoli e comunità che nascono dall’Eucaristia, che celebrano l’Eucaristia, che vivono l’Eucaristia.

La solennità odierna non è una ripetizione del Giovedì Santo, nasce storicamente – e la cosa è mirabile – dalla Chiesa, dalla fede della Chiesa in tutte le sue componenti: il Papa Urbano IV, i teologi… Abbiamo ascoltato la mirabile sequenza di san Tommaso d’Aquino; quando un teologo è veramente tale, è uomo di preghiera e uomo eucaristico.

Ma la solennità d oggi nasce anche dalla mistica. Mi ha sempre colpito il raffronto con un’altra festa liturgica recentemente istituita (da Giovanni Paolo II), quella della Divina Misericordia. Nella festa della Divina Misericordia una suora, Faustina Kowalska, riceve l’ispirazione: entriamo in un’epoca – gli anni Trenta del XX secolo – in cui solo la Misericordia potrà fare qualcosa. Ci si stava incamminando verso la seconda guerra mondiale.

Ma torniamo alla festa dell’Eucaristia. Nel 1208 una monaca di 16/17 anni ha una visione: vede la Chiesa rappresentata come una luna piena. Era una monaca istruita nella lettura dei santi Agostino e Bernardo. Quella luna piena è, secondo i Padri, proprio l’immagine della Chiesa: il sole è Cristo e la luna vive di luce riflessa. Questa monaca vede, però, nell’immagine della luna una macchia oscura.

Nella preghiera, di fronte a Dio, si interroga e finalmente capisce: manca qualcosa nella celebrazione della Chiesa perché la Chiesa possa essere veramente riflesso dello splendore del sole che è Cristo. E allora scrive ai grandi teologi dell’epoca, ma soprattutto scrive al suo vescovo di Liegi e all’arcidiacono, sempre di Liegi, Giacomo di Pantaléon.

Siamo nel XIII secolo e di lì ad una decina d’anni matura la fede eucaristica. Francesco d’Assisi, quando fanno i Capitoli generali dell’Ordine, userà quest’espressione: “Se io dovessi esser comandato dall’obbedienza di andare in qualche monastero, io risponderei in Belgio. Se dovessi lasciare l’Italia, voglio andare nella Francia belgica”. Gli domandano: perché? “Perché lì c’è un culto particolare dell’Eucaristia”.

Una monaca – che poi diverrà santa e verrà ricordata come santa Giuliana di Cornillon o di Liegi – aveva suscitato nella Chiesa di Liegi questa fede particolare nell’Eucaristia che nel 1246 si tradusse, per la prima volta, nella festa liturgica del Corpus Domuni celebrata appunto nella Chiesa di Liegi. Diciotto anni dopo quell’arcidiacono, di cui accennavo prima, divenne Papa col nome di Urbano IV.

C’è poi il miracolo di Bolsena, siamo nel 1263. Un prete che aveva perso la fede nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia fa un pellegrinaggio da Praga a Roma proprio per recuperare la fede. Sulla via del ritorno, nella chiesa di Santa Cristiana a Bolsena, celebrando la messa e spezzando l’ostia, sgorga sangue.

Papa Urbano si trovava ad Orvieto, a pochi chilometri di distanza, e ne viene informato. La teologia, le lettere che aveva ricevuto dalla monaca, l’istituzione particolare della festa della Santissima Eucaristia nella sua Diocesi di provenienza (dove era Arcidiacono) lo portano a decidere di istituire, per tutta la Chiesa, la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo.

La Chiesa è di Dio e Dio si serve dei teologi, delle suore, degli arcidiaconi, dei papi, del popolo di Dio. Sentiamo la bellezza di questa solennità, certo per il contenuto di fede che ci chiede di celebrare ma anche per come è nata, perché ci dice – una volta di più – che la Chiesa è guidata dallo Spirito, che la Chiesa è di Gesù Cristo. La Chiesa è di Dio!

Carissimi fratelli e sorelle, non possiamo allora ritornare nelle nostre case e non lasciarci interpellare sulla nostra fede eucaristica e su come celebriamo l’Eucaristia; è l’assemblea tutta che celebra in forza del battesimo, è il prete che la presiede e consacra. C’è un discernimento – che dobbiamo fare individualmente e come comunità – su come celebriamo, quanto adoriamo e come riceviamo l’Eucaristia.

L’Eucaristia è una sintesi tra celebrazione e adorazione. Quando celebriamo bene, sentiamo il bisogno di avere momenti di adorazione. E quando adoriamo l’Eucaristia non possiamo non celebrarla. È la presenza, è la celebrazione, è la realtà dell’ultimo dono che il Signore ci ha fatto e che dice la qualità, la significanza (o l’insignificanza) di una Chiesa, di una comunità, di un vescovo, di un prete, di laici che vivono il loro battesimo.

Chiediamo al Signore di essere una Chiesa eucaristica, di essere comunità eucaristiche, di mangiare e bere degnamente il corpo e il sangue del Signore.