Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne in occasione della festa patronale di S. Pietro di Castello (Venezia - 1 luglio 2018)
01-07-2018

S. Messa solenne in occasione della festa patronale

(Venezia / Basilica di S. Pietro di Castello – 1 luglio 2018)

 Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Ringrazio il parroco don Narciso per le parole che ci ha rivolto, le autorità civili e militari qui presenti e saluto soprattutto voi, cari fedeli della collaborazione pastorale di Castello. Vorrei, con voi, cogliere l’occasione della festa patronale per riflettere sulla fede.

 

La fede è l’inizio del nostro rapporto personale con Dio Padre; ce ne ha parlato poco fa don Narciso. Vorrei riflettere sulla fede facendoci guidare dal cammino – oggi celebriamo la solennità di San Pietro – che l’apostolo Pietro stesso ha fatto per giungere ad essere uomo di fede.

 

Possiamo dire che, con Pietro, si passa da una fede che è ancora ricerca del proprio io e dell’affermazione del proprio progetto a una fede che è accoglienza del disegno di Dio, cioè di Gesù. Questo è il cammino che siamo invitati a fare insieme all’apostolo Pietro e che Pietro ha fatto prima di noi. Una prima riflessione, allora, cari amici, è questa: colui che è stato scelto dal Signore come il primo, nel servizio, è stato colui che ha imparato anche dolorosamente (v. rinnegamento di Gesù) che cosa è la fede.

 

Il brano del Vangelo proclamato dal diacono, rappresenta il termine di questo cammino, un cammino che possiamo definire arduo e faticoso. Per tre volte Pietro aveva rinnegato (“Non conosco, non so chi sia costui…”) e, dopo una domanda ripetuta tre volte, alla terza volta Gesù si sente dire: Maestro, tu sai tutto, lo sai che sono fragile e debole, ma sai anche che ti voglio bene… (cfr. Gv. 21, 15-19).

 

Cari amici, il cammino della fede inizia con il capitolo quinto del Vangelo di Luca. Gesù predica, c’è tanta gente e allora ad uno dei pescatori domanda di poter salire sulla sua barca. Così, dinanzi a questra folla, Gesù può predicare, può parlare… E, alla fine di quell’annuncio, Gesù dice: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (Lc 5,4).

 

La reazione di Pietro è molto chiara: io sono un pescatore, ho pescato tutta la notte e non ho preso niente, non farmi uscire fuori di nuovo, ho – fin da ragazzo – imparato che si pesca di notte, non di giorno…

 

Ma Gesù – ecco il cammino di fede – non dà delle risposte; chiede a Pietro di fidarsi di Lui. E Pietro, allora, dice: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5).

 

La fede è questa fiducia nel Signore, una fiducia che cresce, una fiducia che nessuno di noi possiede all’inizio, spontaneamente, ma che deve crescere. Pietro si presenta come la persona presa per mano dal Signore per iniziare un cammino che riguarda l’unione dei tre atteggiamenti fondamentali del cristiano: la fede, la speranza e la carità.

 

Molte volte siamo abituati a dividere fede, speranza e carità; molte volte diciamo che il cristiano è l’uomo della speranza, ma come potrebbe esser uomo di speranza se non fosse anche uomo di fede? La fede è il fondamento delle cose che si sperano ma a che cosa serve la fede senza le opere, senza la carità?

 

La fede, in Pietro, è rispondere alla domanda: chi è Gesù? Il cristiano è colui che riconosce in Gesù non un profeta o un grande uomo o un taumaturgo o un saggio perché i profeti sono stati tanti e di grandi uomini è piena la storia… La risposta di Pietro è: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).

 

Pietro, poi, ci aiuta a crescere anche nella fede che si esprime come  speranza. In un momento difficile per la vita della comunità apostolica, quando molti incominciano a lasciare Gesù, perché le cose che Gesù proclama non vanno d’accordo con il buon senso umano, Pietro diventa uomo di speranza. Tutti noi, ad un certo punto, siamo posti di fronte ad una scelta fondamentale: ma il tuo buon senso è quello che dice il mondo o quello che dice il Vangelo?

 

«Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Gesù stava parlando dell’Eucaristia – un discorso duro, difficile – e molti se ne vanno, ma Gesù non dice: scusate, ritornate, mi sono spiegato male… No, Gesù dice ai Dodici: io vi ho detto la verità, non sono venuto ad insegnarvi il buon senso degli uomini ma la verità di Dio. «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). E Pietro replica subito: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). La speranza del cristiano! Si crede e si sta con il Signore, in attesa di starci per sempre.

 

Pietro – come abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi – è anche uomo di carità. Gesù affida la sua Chiesa a Pietro perché è più intelligente degli altri? Allora avrebbe potuto darla a Giovanni… Se noi leggiamo il quarto Vangelo (di Giovanni), vediamo che è più profondo e ricco degli scritti di Pietro. Avrebbe potuto ancora  affidare la sua Chiesa a Paolo, che è più “teologo” di Pietro come riconosce lo stesso apostolo Pietro…

 

Invece Gesù affida la sua Chiesa a Pietro ponendogli la domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?» (Gv 21,15). Con tutto quello che comporta, sei disposto a mettermi per primo nella tua vita? Perché l’amore è questo!

 

“Amore”, purtroppo, è una parola così svalutata e inflazionata; oggi con amore si intende tutto e il contrario di tutto. Gesù invece dice: mi ami tu più di costoro, mi metti al primo posto nella tua vita? Pietro risponde: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17).

 

E allora Pietro diventa colui che ci insegna che la fede genera la speranza e la fede si verifica nella carità. Madre Teresa, don Bosco, il Murialdo, santa Caterina da Genova hanno fatto cose che noi non sappiamo fare, non perché erano più intelligenti di noi; forse qualcuno di noi è anche più intelligente di loro, non penso di don Bosco perché era dotato di un’intelligenza superiore, ma di tanti altri santi sì… Le cose che loro sono riusciti a fare, noi non le sappiamo fare perché erano persone di fede e perché la loro fede faceva mettere Dio al primo posto. E quando una persona mette Dio al primo posto non dimentica mai i fratelli.

 

Pietro è quest’uomo che ci insegna come la fede non ci è data all’inizio ma è una conquista, è una verifica, è qualcosa che cresce in noi affrontando le stesse prove della fede. I grandi credenti dell’Antico Testamento – Abramo, Isacco, Giacobbe ecc. – divennero amici di Dio e quindi credenti, perché “provati” nella fede.

 

Pietro è colui che diventa l’uomo di fede; sì, bisogna essere uomini e donne di speranza, comunità di speranza, ma di quella speranza soprannaturale che non è il risultato di un nostro “speriamo di cavarcela” ma il risultato di chi sa che il Signore non ci lascia soli.

 

Pietro diventa anche uomo di carità, perché alla fine darà la sua vita per il Signore. Cerchiamo, allora, di meditare su Pietro uomo di fede, uomo che cammina verso il traguardo della fede, attraverso un amore più grande che gli viene chiesto esplicitamente da Gesù e che si compie attraverso la speranza, ossia il fondarsi in qualcosa di più grande della speranza degli uomini.

 

Anche quando non abbiamo motivi umani per sperare, ricordiamoci della parola del Signore. Mettiamo perciò al centro della vita e anche delle collaborazioni pastorali questo cammino di fede, questa crescita, questo affaticarci nella vita di tutti i giorni. Scopriremo, allora, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere; è qualcosa che Paolo dice, proprio lui che alla fine della vita confesserà alla Chiesa: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede (2Tm 4,7).

 

Quello che si sente dire Pietro, oggi, da Gesù nel Vangelo – «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?» (Gv 21,15) -, Gesù lo dice anche a ciascuno di noi. E a ciascuno di noi dice, come ha detto a Pietro: realizza la tua presenza nella Chiesa. Pietro dovrà pascolare tutto il gregge; noi non siamo, magari, chiamati a questo ma siamo certamente chiamati a verificare la nostra fede personale in una presenza, in una testimonianza, in un servizio ecclesiale.