Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne del giorno di Natale (Venezia, Basilica San Marco - 25 dicembre 2016)
25-12-2016

S. Messa del giorno di Natale

(Venezia, Basilica San Marco – 25 dicembre 2016)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi fratelli e sorelle, buon Natale a tutti!

Il Natale ci mette dinanzi un piccolo Bambino bisognoso di tutto; la Misericordia di Dio si manifesta proprio così.

Ringraziamo, allora, Papa Francesco per averci fatto vivere l’Anno della Misericordia. Ci ha aiutato, infatti, a porre di nuovo al centro della vita della Chiesa la Misericordia di Dio e questo è il primo messaggio del Natale, il quale non necessita di invenzioni o aggiunte umane ma, piuttosto, domanda soltanto d’esser accolto e riscoperto attraverso una fede più semplice e libera. Un discepolo non è, infatti, più del suo maestro (cfr. Mt 10,24-25).

Papa Francesco nella bolla d’indizione del Giubileo delineava così i tratti della Misericordia di Dio: “Nella « pienezza del tempo »… mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre. Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio” (Papa Francesco, Misericordiae Vultus. Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 1).

Il Natale è, ad un tempo, espressione umile e potente della Divina Misericordia. Il Bambino adagiato sulla paglia è la Misericordia di Dio rivelata ad ogni uomo, ad ogni tempo, ad ogni cultura e questa è la scelta dirompente di Dio: aprirsi a tutti e non escludere nessuno attraverso un Bambino bisognoso di tutto, che  domanda solo d’esser accolto.

Chi, allora, meglio di questo Bambino racconta il dramma dell’umanità del nostro tempo? Chi meglio di Lui può esprimere l’accoglienza della vita minacciata di morte in ogni sua fase: il profugo, il nascituro, il malato terminale, colui che è prigioniero delle ideologie, colui che dubita, colui che pecca. Sì, le opere di misericordia corporali e spirituali sono il Natale vissuto.

È triste che a Natale, dinanzi all’invito di Dio all’accoglienza e all’ospitalità, qualcuno – e tra questi c’è anche chi si dice cristiano – possa vedere nel Bambino di Betlemme un pericolo, una prevaricazione e, quindi, ad esempio si dichiari contro il presepio; anche così si alzano i muri, offendendo la sensibilità di molti. È difficile comprendere come non si capisca il messaggio d’accoglienza, fraternità e apertura che viene proprio dal Bambino e dal presepio.

Altri, invece, si pongono contro il presepio in nome di una laicità che non si fonda sulla vera e piena libertà dell’uomo che, ovviamente, riguarda anche la sfera religiosa; siamo qui di fronte, quindi, ad un’idea di laicità che è – a ben vedere – una forma di laicismo secondo cui la religione deve essere chiusa all’interno della coscienza o del privato.

La storia si ripete in maniera monotona e, non di rado, talune vecchie idee sono presentate come “novità”. Quanti vecchi discorsi coperti di polvere vengono presentati come modernità!

C’è, infine, chi scorge nel presepio l’espressione di una festa sacrale del mondo e che deve, perciò, trasformarsi nella più “politicamente corretta” festa delle luci o festa d’inverno o di babbo gelo… E sono stati fatti anche calendari con tali espressioni.

In proposito, viene in mente quanto G. K. Chesterton scrive dell’uomo non credente, considerato più emancipato del credente: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, in realtà comincia a credere a tutto”.

Ad ogni modo, risulta difficile scorgere nel presepio e poi, per estensione, nel crocifisso simboli d’intolleranza o prevaricazione religiosa, culturale, etnica che ostacolano l’accoglienza e l’integrazione. Al contrario, se si riflette in modo obiettivo e non ideologico, si vede come è proprio grazie al presepio e al crocifisso – a ciò che esprimono – che in Occidente, e in modo particolare in Italia, è cresciuta una società capace d’accoglienza, di inclusione e di laicità vera. Ma l’Europa oggi, innanzi alla questione dei migranti si mostra insensibile; ben altra attenzione mostra alle questioni economiche e finanziarie.

Qui l’Italia appare sempre più isolata e questo dà vero dispiacere  ma anche un senso di grande fierezza. L’accoglienza e la disponibilità non sono mai frutto del caso; proprio in questi frangenti l’Italia esprime, nonostante il secolarismo diffuso, una cultura che s’ispira con forza al Vangelo e, quindi, rende vive quelle opere di misericordia spirituali e corporali che più volte Papa Francesco ha richiamato nel corso dell’anno della Misericordia. La cultura dell’accoglienza è davvero viva nella nostra gente anche perché, nella sua storia, il nostro stesso popolo ha conosciuto le strade faticose della migrazione.

Se poi non si tengono nella giusta considerazione la cultura, la storia di un popolo e le caratteristiche di un territorio, facciamo un’operazione irrazionale e anti-storica. E sostenere posizioni “a-storiche” e “a-culturali” significa non capire che, alla fine, non sarà Dio a patirne le conseguenze ma l’uomo. Sì, il vero sconfitto, alla fine, sarà l’uomo e non è difficile vederne già i segni.

Le letture appena ascoltate ci propongono un testo dell’Antico Testamento e uno del Nuovo – il libro di Isaia e la lettera agli Ebrei -; in modi diversi parlano del Natale come opera della Misericordia di Dio, qualcosa che viene dall’alto, da Lui, e che noi dobbiamo solo accogliere.

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza… il Signore ha consolato il suo popolo.”; questo è il messaggio di Isaia (cfr. Is 52, 7-10), mentre la lettera agli Ebrei ci ricorda come ”Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…“ (Eb 1,1-6).

Il Vangelo di Giovanni, poi, ribadisce come la Misericordia di Dio ci sia veramente donata e realmente ci raggiunga: ”In principio era il Verbo… il Verbo era Dio… il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria… dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia“ (Gv 1,1.14.16).

La Misericordia di Dio – lo sappiamo – è Sua opera e non invenzione dell’uomo, quasi come se Dio fosse a corto d’idee e avesse bisogno dei nostri consigli… La Misericordia di Dio si esprime nell’umanità di Gesù, nel suo sguardo, nelle sue parole, nei suoi gesti, nel suo modo di parlare di Dio e dell’uomo ma, ancor più, la Misericordia è lasciarsi guardare da Lui, ascoltarlo, dire sì al Suo progetto.

Vivere il Natale consiste, prima di tutto, nel lasciare che Lui posi il suo sguardo su di noi, come duemila anni fece con l’apostolo Natanaele, dicendogli: prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto quando eri sotto il fico (cfr. Gv 1, 48). O quando fissò il giovane ricco e lo invitò a seguirlo (cfr. Mc 10, 21).

I pastori che rispondono alla chiamata degli angeli e vanno a Betlemme sono le vere guide al Mistero di Dio. Mistero è segno e presenza. Il segno svela e, nello stesso tempo, protegge da sguardi indiscreti; ecco perché, se guardiamo il Bambino come chi già tutto sa e conosce, non arriveremo mai a leggervi, col cuore, il Mistero di Dio.

Ricordo ancora un pensiero di Chesterton che fa riflettere chi è sempre e continuamente dubbioso: “Trovi il vero con la logica (ossia con la ragione) solo se già lo hai trovato senza di essa”.

Il Natale cristiano è Dio che entra nella storia per salvarla; così, da una parte, Egli attira e suscita vicinanza, dall’altra respinge e crea lontananza. Alla presenza di Maria, di Giuseppe, dei pastori si contrappone l’assenza dei potenti, degli appagati e sazi della vita, di coloro che si sentono già salvi. Non vi sono i potenti e i poteri forti del tempo, quelli che, come il fariseo, si consideravano superiori agli altri uomini e ringraziavano Dio perché non erano peccatori; così, a Betlemme, non troviamo il potere imperiale di Roma o la teocrazia di Israele.

Il Natale non si può ridurre al fascino delle luci, dei suoni e dei regali perché, in tal modo, verrebbe non solo svilito ma tradito. A Natale va presa sul serio l’affermazione: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria…” (Gv 1,14). Ciò comporta quel realissimo abbassamento e svuotamento che segneranno tutta la vita di Gesù: i trent’anni della vita a Nazareth (ossia la quasi totalità), i tre anni della vita pubblica e, infine, la passione e la morte.

La Misericordia di Dio è la condivisione che Dio fa di sé con l’umanità, è Lui che ha tempo per noi e costruisce con noi progetti camminando al nostro fianco, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Questo è il realismo del Natale e del cristiano: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi “ (Gv 1,14). Un realismo che si attua nelle storia.

Natale manifesta, in modo semplice e forte, quel realismo cristiano che – secondo la prospettiva dell’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium – chiede che si esca, si annunci, si abiti, si educhi e si trasfiguri tutto per includere ogni cosa nella logica di Dio che va incontro all’uomo.

Così la spiritualità del Natale ci domanda d’esser fedeli al Maestro e, quindi, di “farsi carne”; oggi tale spiritualità è attuale e sempre più ci viene richiesta da una cultura che è in crescente difficoltà nel riconoscere l’uomo e accoglierlo. Questo farsi carne, sull’esempio di Dio che si fa uomo, ci porta ad essere nel mondo pur non essendo del mondo e ad amarlo col giudizio di Cristo che è la Misericordia stessa, ossia il perdono e la conversione.

La novità cristiana è stare nel mondo amandolo non perché si è amati o se ne tragga qualche vantaggio, ma perché l’amore che ci genera, a sua volta, genera amore; le opere di misericordia spirituali e corporali danno concretezza al Natale sia nei rapporti personali sia in quelli sociali e chiedono di costruire relazioni umane a partire dal Verbo che si fa carne.

Il Natale non può accendersi e spegnersi con le luci di una notte, ma chiede d’esser testimoniato lungo l’intero anno facendo nostro l’interesse che Dio ha per l’umanità.

Il Suo farsi carne diventa, così, il nostro farci carne e questo si manifesta anche nella preghiera che, in quanto cristiana, partecipa della peculiarità dell’incarnazione, ossia del Natale. Una preghiera che sia cristiana – come insegna Teresa d’Avila, maestra d’orazione – chiede quindi di tener lo sguardo anche sulla totalità del mistero dell’umanità di Cristo, di contemplare la luce della risurrezione ma, anche, l’oscurità e le tenebre del mistero della Sua passione e, infine, non solo ciò che Egli ha portato sul suo corpo di carne ma anche quello che continua a segnare la Chiesa, Suo corpo mistico. Dobbiamo, così, riscoprire la preghiera nella prospettiva realista del Natale.

Anche quest’anno il Natale ci interpella sul modo in cui lo viviamo. Sì, anche il nostro Natale potrebbe esser un Natale post-cristiano; è facile, infatti, mandare in soffitta – tra le cose superate – anche Gesù, oltre al presepe e al crocifisso. Tanta festa per il Natale ma l’escluso sarebbe proprio Lui, Gesù… Natale, invece, è Gesù con noi destinatari della Sua salvezza!

Il Vangelo che s’esprime, concretamente, nelle opere di misericordia spirituali e corporali non si improvvisa. Il Natale ci rende più umani e accende in noi la speranza, che non è un indeterminato desiderio di futuro ma è l’attesa certa di un compimento “già” iniziato seppur “non ancora” compiuto.

Con il profeta Isaia diciamo la nostra speranza: ”Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…” (Is 9,1). E con l’apostolo Paolo ribadiamo: ”… è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini…“ (Tt 2,11).

A Maria, Madre della Misericordia, che ha portato Gesù al mondo, affidiamoci con piena fiducia in questo giorno di Natale e nell’ormai imminente 2017.

 

 

 

In lingua inglese:

Christmas shows the reality of Christianity in a simple and powerful manner; God enters into history for Salvation. Christmas is, at the same time, both a humble and a powerful expression of the Divine Mercy. The Child lying on the straw is the Mercy of God revealed to every man, in every time, in every culture and this is God’s disruptive choice, open to everyone and not excluding anyone, mediated through a Child in need of everything, that only asks to be made welcome. Who better than this Child to recount the drama of humanity in our time? The spiritual and physical acts of mercy give substance to Christmas through personal relationships and in those social situations where we can seek to build human relations from the Word made flesh. Merry Christmas to you all!

 

In lingua francese:

Noël demontre dans une façon simple et forte le réalisme chrétien; il est Dieu qui entre dans l’histoire pour la sauver. Noël c’est l’expression humble et puissante de la Divine Miséricorde, car c’est le choix bouleversant de Dieu: être ouvert à tout le monde et n’exclure personne, par l’Enfant qui a besoin de tout, et qui demande seulement d’être accuelli. Qui mieux que cet Enfant raconte le drame de l’humanité à notre époque? Les oeuvres spirituelles et corporelles de Miséricorde donnent concrétude à Noël, à la fois dans les rapports personnels et dans ceux sociaux, et elles cherchent à construire des relations humaines de la Parole faite Chair. Joyeux Noël à tous!