Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne con l’offerta dei diademi votivi e l’atto di ringraziamento e consacrazione alla Madonna della Salute nel centenario dell’incoronazione dell’immagine della Mesopanditissa (Venezia / Basilica della Madonna della Salute, 21 maggio 2022)
21-05-2022

S. Messa solenne con l’offerta dei diademi votivi e l’atto di ringraziamento e consacrazione alla Madonna della Salute nel centenario dell’incoronazione dell’immagine della Mesopanditissa

(Venezia / Basilica della Madonna della Salute, 21 maggio 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Saluto le autorità presenti, i confratelli, i diaconi, le religiose, i religiosi, le famiglie che hanno animato poco fa il Rosario – e testimoniano la bellezza del Vangelo del matrimonio – e i fedeli laici qui convenuti nella basilica della Salute davanti alla bella e, a noi veneziani, carissima immagine della Madonna “Mesopanditissa”. E consentitemi di ringraziare chi ha reso possibile questo momento importante: la comunità del Seminario e il Rettore don Fabrizio.

Poco più di un secolo fa – e per noi fare memoria vuol dire amare – questa chiesa riceveva da Papa Benedetto XV (nato a Genova) il titolo di “basilica”; poco dopo, era il 23 aprile 1922, ci fu la solenne incoronazione della Vergine e del Bambino ad opera del Patriarca il cardinale Pietro La Fontaine.

Fu una sorta di rinnovato voto della Serenissima, intendendo anche riparare antichi oltraggi perpetrati alla venerata immagine; soprattutto volle essere il ringraziamento per la protezione accordata con grande cura dalla Madre del Redentore che, ancora una volta, aveva protetto questa nostra amata città di Venezia durante la terribile Prima Guerra Mondiale terminata da pochi anni. Voleva anche essere un atto di affidamento a Lei di fronte all’epidemia di febbre “spagnola” che seminava in Europa milioni di morti e di cui furono tra l’altro vittime i due piccoli veggenti di Fatima, Francesco e Giacinta, ora venerati dalla Chiesa come santi.

Oggi, quindi, ripeteremo con animo grato a Dio questo gesto con una nuova incoronazione, resa possibile dalla fusione di alcuni gioielli già precedentemente donati alla basilica della Salute da alcuni veneziani devoti e trasformati con vera perizia artistica in due corone che orneranno, nelle feste più solenni, il capo della Vergine Maria e del suo Figlio, Gesù, nostro Redentore.

È un ulteriore segno della fedeltà e dell’affetto della nostra Chiesa e della nostra città a Maria e, soprattutto, un rinnovato affidarsi a Lei per chiedere che ci guidi e ci sostenga con il suo amore di Madre in questi tempi travagliati – ancora segnati dalle conseguenze dell’acqua granda e della pandemia da Covid 19 – e perché ci ottenga da Dio il dono della riconciliazione e della pace per il mondo ed in particolar modo per quel lembo d’Europa che è l’Ucraina.

Il pensiero sempre rivolto alla tragedia umana della guerra aveva accompagnato, proprio cento anni fa, il Patriarca Pietro La Fontaine e non dimentichiamo che ancora a lui, per lo scioglimento di un voto legato alla protezione della città, durante quel primo conflitto mondiale che fu definito da Papa Benedetto XV “inutile strage”, è direttamente connessa la realizzazione del Tempio Votivo del Lido intitolato a Maria Immacolata.

Le sofferenze della guerra, però, drammaticamente appartengono purtroppo anche a noi oggi, in modo diverso ma non meno lancinante. Quando credevamo di non doverle più sperimentare, dopo la lezione terribile del XX secolo, abbiamo scoperto invece che esse fanno parte anche della cronaca di questi nostri giorni. L’uomo non capisce ancora, noi uomini non capiamo…

Quanto stiamo vivendo, oggi, non è solo un anniversario “cronologico”, una data storica ormai lontana; è piuttosto una rivisitazione “esistenziale” di avvenimenti che, con modalità differenti, si ripropongono a noi oggi.

Allora c’erano la grande guerra e la pandemia della “spagnola”, adesso siamo stati e siamo tuttora alle prese con la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina.

C’è come un demone che l’uomo porta dentro di sé e che la fede cristiana chiama “peccato originale”. Il peccato originale, a volte lo dimentichiamo, ci costituisce come esseri peccatori e fragili. Se noi tenessimo conto di questo dato, allora le nostre leggi, la nostra politica ed anche il nostro modo di educare e formare le nuove generazioni sarebbero molto più sapienti e concreti. E otterrebbero più risultati. Un uomo non peccatore è una visione ideologica e non esiste.

Tocchiamo così di nuovo con mano, attraverso le violenze e le morti di queste settimane, come la pretesa di un “uomo” che si vuole affermare su tutto e su tutti possa sempre ritornare e farsi largo in modo dirompente e devastante; l’uomo al posto di Dio, l’uomo che si crede Dio, l’uomo che finirà per essere sepolto dalla sua ebbrezza di potere e superbia.

Le letture degli Atti degli Apostoli (At 1,12-14) e del Vangelo di Giovanni (Gv 19,25-27) ci portano al cuore della rivelazione cristiana.

Il brano di Luca ci ha introdotti all’elemento portante che plasmerà e guiderà poi tutti i seguenti capitoli del libro degli Atti degli Apostoli, che narra i primi anni della vita della Chiesa: il dono dello Spirito Santo, con la Pentecoste, che rappresenta il vertice e il compimento della Pasqua. Nella tradizione giovannea i due eventi coincidono; l’evangelista racconta la morte di Gesù in croce, dicendo: “E, chinato il capo, consegnò lo spirito” (Gv 19,30).

Nei due brani liturgici campeggia la presenza determinante della Vergine Maria. Negli Atti appare come Colei che, maternamente, accompagna la vita della prima Chiesa nell’attesa dello Spirito Santo. È appena avvenuta l’ascensione al cielo di Gesù che non è più visibilmente presente tra i suoi e così gli apostoli e alcune donne si stringono attorno alla Madre di Gesù e ne chiedono la protezione e il conforto.

Il Vangelo ci ha condotti nell’ “ora” di Gesù che è stata il filo conduttore di tutto il racconto del Vangelo di san Giovanni, fin dall’inizio. Basti pensare alla risposta che Gesù dà a sua madre durante l’episodio delle nozze di Cana: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). E poi, proprio lì, diede inizio ai suoi “segni” tramutando l’acqua in vino mentre in diversi passi di questo Vangelo troveremo l’appunto che “non era ancora giunta la sua ora” (Gv 7,30). Solo all’inizio del capitolo 13 di Giovanni apprenderemo che quell’ “ora” è, infine, giunta: “…sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).

L’ “ora” di Gesù è l’ora dell’innalzamento – nella croce e nella risurrezione – ed è il punto verso il quale il Vangelo di Giovanni è tutto indirizzato, portando il lettore (il discepolo, l’apostolo) verso tale realtà. E quando si compie l’ “ora” di Gesù, sotto la croce, è presente la Vergine Santissima che ci appare sempre più come madre.

Tutta la tradizione di fede del popolo veneziano attesta il legame con la Vergine, Madre di Dio, nei vari momenti della storia della città e (oltre al suo dies natalis che corrisponde al 25 marzo, giorno dell’Annunciazione) anche questa basilica intitolata alla Madonna della Salute lo mostra con evidenza, essendo nata per sciogliere il voto pronunciato quasi quattro secoli fa in occasione di una drammatica epidemia di peste che decimava la popolazione. La Vergine Santissima, quindi, appartiene a Venezia e Venezia appartiene alla Vergine Santissima!

Il popolo veneziano, così, vive il rapporto con Maria come ci viene indicato dalle Scritture perché la gente, magari anche inconsapevolmente, ha l’intuito della fede. I discepoli stanno con Lei, la Madre di Gesù, in attesa dello Spirito Santo. Non restano da soli; con gli apostoli e intorno a loro c’è la presenza di Maria (insieme anche ad altre donne). Maria è con la Chiesa nascente, Lei che è – per eccellenza – la Chiesa nascente!

La maternità di Maria risplende soprattutto nel Vangelo dove espressamente viene chiamata così e affidata al discepolo: “Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé” (Gv 19,26-27). Maria, nella nuova creazione, è la nuova Eva e diventa così la madre non solo del suo Figlio Gesù ma anche di quel figlio che è il discepolo.

In questa prospettiva, davvero, la madre è colei che prende per mano i suoi figli – anche quelli più attempati, scapestrati o che hanno condotto un’esistenza molto “lontana” – e li conduce verso la maturità e la pienezza della vita che è Gesù Cristo. Maria ci conduce a Lui attraverso l’esempio, che è dato dall’ascolto, dall’essere sempre presente – soprattutto nei momenti più difficili -; lo ha fatto con Gesù, fino alla croce, e lo fa con il suo Corpo che è la Chiesa, nel cenacolo insieme ai discepoli e alle altre donne che avevano seguito il Signore.

Maria appartiene, quindi, non solo alla devozione ma al cuore della rivelazione e della salvezza cristiana e noi – anche con l’odierno atto di celebrazione – vogliamo rinnovare il nostro sicuro affidamento in Colei che è sempre Madre forte e coraggiosa, di un’onnipotenza supplice che non pretende ma ottiene, premurosa e affettuosa verso tutti i suoi figli, e il nostro voto di fiducia e di invocazione affinché ci riconduca a Suo Figlio, Gesù Redentore, e ci doni la pace e la gioia che solo Lui ci può offrire.

Affidiamo alla Madonna della Salute le nostre persone, la città di Venezia e il mondo intero, la Chiesa e il Santo Padre.