Omelia del Patriarca nella S. Messa prenatalizia presso lo stabilimento del Petrolchimico (Porto Marghera, 17 dicembre 2019)
17-12-2019

S. Messa prenatalizia presso lo stabilimento del Petrolchimico

(Porto Marghera, 17 dicembre 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Oggi, 17 dicembre, entriamo nel periodo più intenso di preparazione al Natale e la preghiera della Chiesa è tutta rivolta alla notte santa di Betlemme.

Nella prima lettura (Gn 49,2.8-10) il patriarca Giacobbe – ossia il capo del popolo di Israele – fra i suoi dodici figli benedice Giuda, capo della tribù che ne portava il nome, tribù dalla quale nascerà Gesù.

Betlemme, uno dei capoluoghi di Giudea, era la città da cui proveniva questa porzione del popolo ebreo, la tribù di Giuda.

Il Vangelo (Mt 1,1-17) ci ha proposto un lunghissimo elenco di nonìmi che costituiscono la genealogia di Gesù. Perché questa serie interminabile di nomi? Cosa ha voluto dirci l’evangelista Mateo? Una cosa molto semplice ma essenziale: Gesù è veramente esistito, appartiene alla storia ed è inserito a pieno titolo in un popolo, quello ebreo.

Gesù, insomma, non è un mito né una favola! In altre parole, la fede non è una favola. Non è una fantasia, ma l’affidarsi alla persona di Gesù che realmente è nato, vissuto, morto e risorto.

Oggi, 17 dicembre, ad una settimana esatta dal Natale, questo è il senso delle letture appena ascoltate.

Ma come ci trova questo Natale 2019?

Stiamo celebrando la S. Messa – e ringrazio tutti Voi dell’invito e della presenza – nell’area di Porto Marghera dove vi sono 915 aziende operanti e oltre 11.000 addetti perlopiù impegnati nell’ambito manifatturiero, della logistica, dei servizi e dei trasporti.

Desidero, seppur brevemente, soffermarmi con Voi sulla recente fotografia che il Censis (Centro studi investimenti sociali) ha recentemente scattato del nostro Paese e, quindi, di noi.

Risulta che il nostro Paese e quindi noi, dopo gli anni faticosi della crisi, viviamo in modo ansioso e incerto; socialmente l’incertezza e l’ansia ci caratterizzano come Paese.

Un certo aumento dell’occupazione non produce ancora ricchezza. E se ci sono dati in recupero non crescono il reddito e la ricchezza del Paese. Aumentano gli occupati, ma sono crollate le ore lavorate (nel 2018 sono 2, 3 miliardi in meno rispetto all’anno 2017).

In Italia sono oggi aperti 160 tavoli di crisi aziendale e poi abbiamo l’ex Ilva di Taranto e l’Alitalia che, purtroppo, sono due “simboli” della situazione che l’economia e il lavoro stanno vivendo da troppo tempo nel nostro Paese.

Insomma, cresce l’occupazione ma non crescono le retribuzioni, i redditi e la ricchezza. E poi c’è la grande questione demografica che determina il peso specifico di un Paese sul piano internazionale. L’Italia è in recessione demografica e questo dato in economia non va sottovalutato.

Lavoro, il dato demografico, l’esodo soprattutto dal Mezzogiorno – nell’ultimo decennio sono emigrati quasi 500.000 italiani under 40 – ; queste, oggi, sono le questioni “collettive” di cui, come Paese, non siamo ancora riusciti a farci carico.

L’Italia si presenta rimpicciolita demograficamente, invecchiata, con pochi giovani e in recessione di nascite.

Il clima che si respiriamo, dicevo, è quello dell’incertezza; sentiamo di vivere non un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca. Ormai, archiviato il precedente modello di sviluppo, non vediamo ancora affermarsi il nuovo.

Dopo la caduta del muro di Berlino – trent’anni fa – si pensava che si fosse completato un periodo storico di frattura e separazione e invece… oggi siamo di fronte ad una nuova guerra fredda, di cui è espressione la guerra dei dazi; assistiamo al crescere dei nazionalismi che oggi, XXI secolo, sono di tipo protettivo (i dazi, appunto) mentre nel secolo scorso (‘900) miravano a sostenere le varie politiche colonialiste e quelli dell’800, invece, puntavano a fortificare le posizioni degli Stati nazionali.

Negli ultimi decenni, poi, non si è saputo o si è preferito non decidere. Si è navigato a vista e la politica non è stata in grado di calibrare i poteri e comporre gli interessi.

Non avendo avuto la capacità di decidere, la politica ha finito per mettersi in questione da sola e così sempre più rischia di perdere consenso tra i cittadini. I movimenti che riempiono le piazze sono più di protesta che di proposta, eppure la società ha bisogno – noi abbiamo bisogno – della politica e chiediamo alla politica di avere il coraggio di scegliere e decidere per il bene del Paese.

La convinzione che il benessere individuale dipende non solo dall’affermazione di sé ma dalla capacità di assumere responsabilità collettive è qualcosa su cui dobbiamo investire culturalmente, soprattutto presso i giovani che sono il nostro domani; è stato bello vedere a Venezia, durante i giorni dell’acqua alta, molti ragazzi che si sono rimboccate le maniche per aiutare.

La società – che viene prima della politica e dello stato – si capisce più da ciò che spera piuttosto che da quello che fa. L’auspicio è riuscire a superare orientamenti di tipo individualistico per entrare in una logica di responsabilità collettive, condivise, capaci di progettualità di ampio respiro.

È importante poi muovere verso una cultura politica capace di ricalibrare i poteri, i ruoli e le leve decisionali di tutti gli attori sociali pubblici e provati per vedere di affermare una nuova concertazione della rappresentanza.

L’auspicio è che questo “protagonismo equilibrato” dei vari corpi intermedi abbia come principio fondante la dignità della persona e, poi, il bene comune, la equa redistribuzione della ricchezza prodotta dal Paese, la sostenibilità di un welfare che non escluda persone o categorie, un mercato del lavoro flessibile ma che in alcun modo ceda alla precarietà.

Oggi, inoltre, si è molto sensibili ai temi ecologici e quindi al rispetto dell’ambiente e ad un rapporto sostenibile fra clima e politiche industriali. So che qui si è investito, con intelligenza e lungimiranza, in termini in green economy o economia ambientale in cui il prodotto si commisura con l’impatto ambientale. Sì, nonostante l’ultimo fallimento della conferenza Onu di Madrid sull’ambiente, vi è un’ecologia che riguarda l’economia!

L’economia si condanna da sé se non trova un nuovo equilibro, un vero rispetto e una reale sostenibilità, innanzitutto nei confronti della forza lavoro (l’uomo / la persona) e, di conseguenza, dell’ambiente e dell’uso saggio e prudente delle risorse del pianeta.

E tutto ciò va pensato e messo in atto non solo nei confronti della nostra generazione ma anche di quelle future, i vostri figli e i nostri nipoti; verso queste generazioni la nostra è debitrice. L’economia, l’organizzazione del lavoro e le nuove tecniche – che sempre più imitano i comportamenti umani – pongono tutte queste attività umane di fronte al tema dell’etica.

Non è più accettabile, insomma, ripetere situazioni come quella che si vive a Taranto; è inaccettabile l’alternativa salute / occupazione! La salute, il lavoro e un’economia capace di operare in termini di efficienza produttiva sono aspetti che appartengono alla vita dell’uomo e al diritto a vivere degnamente.

Il lavoro – che occupa uno spazio così rilevante nella vita di una persona ed ha ricadute fondamentali sulla collettività, ad incominciare però dalle famiglie di chi lavora – deve vederci attenti e coinvolti in qualcosa che ha sempre a che fare con la dignità dell’uomo.

A voi e alle vostre famiglie auguro un sereno Natale e un felice anno nuovo. Vi assicuro sin d’ora un ricordo particolare nella Messa della notte santa.

A tutti buon Natale!