Omelia del Patriarca nella S. Messa per l’ordinazione diaconale di Jérémie M. Nain e Moïse K. Sakivuvu della Congregazione delle Scuole di Carità / Istituto Cavanis (Venezia / Chiesa Sant’Agnese, 2 maggio 2021)
02-05-2021

S. Messa per l’ordinazione diaconale di Jérémie M. Nain e Moïse K. Sakivuvu della Congregazione delle Scuole di Carità / Istituto Cavanis

(Venezia / Chiesa Sant’Agnese, 2 maggio 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi, in questo tempo pasquale – segnato ancora a livello personale e sociale da restrizioni e condizionamenti, tra prime riaperture e persistenti fatiche – abbiamo la certezza che il Signore Risorto, cammina ed opera in mezzo a noi, ci sostiene e non fa mancare segni del suo amore, con i frutti che lo Spirito suscita nella Chiesa.

Oggi l’intera comunità ecclesiale e la Congregazione delle Scuole di Carità / Istituto Cavanis sono in festa. Proprio a Venezia, per l’intuizione dei fratelli Marco e Antonio Cavanis, l’Istituto era nato e poi si è diffuso nel mondo, come è proprio dell’annuncio del Vangelo.

Il Salmo responsoriale dice bene il nostro stato d’animo: “A te la mia lode (la nostra lode), Signore, nella grande assemblea”. Rendiamo, oggi, grazie a Dio per Jérémie e Moïse che tra poco, come diaconi, riceveranno il primo grado del sacramento dell’ordine.

Questo avviene in un contesto e in un giorno particolari che arricchiscono il momento di grazia che viviamo. Ci troviamo infatti nella chiesa di Sant’Agnese, con a fianco la cappella del Crocifisso, in cui ogni cosa ha avuto inizio e dove anche, dal 1923, sono sepolti i Venerabili fondatori Marco e Antonio. E le cronache narrano che proprio “il 2 maggio 1802, a Venezia, un gruppo di giovani faceva il suo ingresso nella chiesa parrocchiale di S. Agnese e dava inizio alla Congregazione Mariana: l’inizio di tutto”; due anni dopo, nel 1804, nasceva la Scuola di Carità Cavanis.

Cari Jérémie e Moïse, nella vita del credente nulla accade a caso. Il significato di questo luogo e giorno per l’Istituto di cui fate parte, insieme al messaggio che l’odierna liturgia della Parola vi consegna, è qualcosa che Dio vi dona perché rimanga in voi, segni il vostro diaconato ed accompagni il vostro ministero nel cammino della vita consacrata.

La prima lettura (At 9,26-31) mostra il faticoso ingresso di Saulo/Paolo nella comunità dei discepoli e dice che vocazione e missione nascono da Dio, sono dono che viene dall’alto, ma poi tutto s’incammina per la strada (a volte tortuosa) degli uomini. Sono molto importanti le persone che il Signore pone accanto a ciascuno di noi per la vocazione.

Così Saulo / Paolo ha bisogno di Barnaba che lo introduce nella comunità dei discepoli perché sia accolto come autentico credente in grado di predicare, anche se non mancheranno diffidenze e ostilità, tanto che Saulo dovrà fuggire ed essere condotto in un luogo più sicuro.

La vita della prima comunità ci ricorda, quindi, che le fatiche e le difficoltà nel compiere insieme l’opera di evangelizzazione non sono mai mancate; così è dagli inizi e lo sarà in ogni tempo, anche nel nostro. Eppure, come conclude il testo degli Atti, la Chiesa “era in pace, si consolidava e camminava nel timore del Signore” (At 9,31), sostenuta dal conforto dello Spirito del Risorto.

La seconda lettura (1Gv 3,18-24) ci porta al cuore e nella verità profonda della fede e della vocazione di ciascuno: credere e amare Dio e i fratelli e le sorelle, riversando questa fede e carità in ogni momento della vita. I comandamenti ci chiedono “che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui” (1Gv 3,23-24).

Cari Jérémie e Moïse, da oggi potrete compiere tutto ciò con la forza del sacramento che vi è dato grazie alla nuova conformità a Gesù-servo del Padre e dei fratelli.

L’ordinazione diaconale vi inserisce infatti nel ministero del servizio e ci ricorda che nella Chiesa il servizio non è solo una virtù morale ma è anche un ministero ordinato per servire la Chiesa e il mondo.

Per voi, oggi, inizia il tempo in cui siete chiamati ad incarnare la spiritualità diaconale, vivendo la carità non solo come solidarietà umana ma come carità che nasce dal sacramento che avete ricevuto e, quindi, dall’altare del Signore.

Il diacono vive la sua vocazione e il suo ministero unendo il servizio all’altare (Eucaristia), l’annuncio della parola e i gesti concreti di carità che compie guardando alle nuove e vecchie povertà, materiali e spirituali.

La carità cristiana nasce dall’altare e ritorna all’altare dopo aver fasciato le ferite e soccorso i corpi e le anime delle persone più fragili. Per voi della Congregazione delle Scuole di Carità – in modo speciale – si tratta di operare nel fondamentale ambito della carità intellettuale (l’educazione) a favore dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, delle loro famiglie.

Sì, la carità cristiana tocca le ferite degli uomini e le porta all’altare unendole a quelle di Gesù. E la carità del diacono è la carità di Gesù, poiché il diacono è chiamato ad esprimere quella carità e nulla di meno, perché solo Gesù è in grado di sanare le ferite degli uomini e la carità cristiana va oltre la solidarietà umana, oltre il benessere del corpo e della psiche ed offre la salvezza a tutto l’uomo. Talvolta si confonde benessere con salvezza e vale la pena ricordare anche che il sentirsi bene non vuol dire ancora stare bene.

Il tema del “rimanere” in Cristo è tratto dal Vangelo di Giovanni (cfr. 15,1-8), con l’immagine del tralcio legato indissolubilmente alla vite. “Rimanere” è esigenza di vita, garanzia di fecondità e possibilità di uscire dalle secche delle nostre debolezze e dei nostri sforzi, spesso inconcludenti. Gesù ce lo ha detto chiaramente: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

Ogni vocazione nella Chiesa, e questo vale anche per voi che tra poco sarete diaconi, richiede un forte rapporto personale con Dio che nasce e cresce negli spazi della preghiera. Lo sottolineano con forza le vostre Costituzioni: “Tutti vivano la preghiera come esperienza di comunione con il Padre, il quale ci convoca ogni giorno e ci dà la grazia di benedirlo e di crescere nella carità” (Costituzioni e norme della Congregazione delle Scuole di Carità / Istituto Cavanis, n. 15).

Carissimi Jérémie e Moïse, la preghiera sia la prima pastorale e il primo apostolato nei confronti delle persone a voi affidate. Non cedete all’attivismo. Un‘intensa vita spirituale e di preghiera sarà la forza e la garanzia del vostro ministero, altrimenti non “rimarrete” in Cristo come vi chiede il Vangelo di oggi.

Solo così, del resto, potrete assolvere il ministero e il servizio di diaconi in forza della realtà sacramentale che, ora, vi è donata. Il vostro essere diaconi riguarderà tutti quegli ambiti nei quali la Chiesa deve risplendere come testimone di verità cristiana e umana, capace di operare nella carità spirituale e materiale con la stessa tenerezza e misericordia di Dio, senza dimenticare perciò tutte le opere di misericordia materiali e spirituali e, in modo particolare, quelle che oggi risultano più difficili e, proprio per questo, sono più urgenti.

La carità intellettuale che vi contraddistingue sin dall’inizio, come Istituto Cavanis, è l’impegno dell’educazione sia dei bambini sia dei giovani ed è bello ricordare che le Vostre costituzioni così definiscono l’educazione cristiana e ne delineano il fine: “L’educazione cristiana tende a far sì che i giovani raggiungano una conveniente maturità umana, in un ambiente permeato di spirito evangelico, di libertà e di carità, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità, vivendo la propria vita secondo l’uomo nuovo nella giustizia e nella santità”.

E, infine, si aggiunge: “Gli educatori Cavanis preparino i giovani al servizio per il Regno di Dio, aiutandoli ad inserirsi responsabilmente nella vita e attività della parrocchia e della scuola, nei movimenti ecclesiali e nelle diverse iniziative che promuovono la cultura e il bene della società” (Costituzioni e norme della Congregazione delle Scuole di Carità / Istituto Cavanis, n. 45 e 45a).

Carissimi, il sì che direte diventando diaconi – cioè “servitori” – vi proietti ancor più in questo impegno che comporta l’annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede cristiana a 360° e che domanda una vita tutta intessuta di verità e di carità, di cui siete in qualche modo “debitori” nei confronti dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie.

Questo promuoverà il compimento della vostra persona e contribuirà all’edificazione del Regno di Dio; è infatti il “sì” di chi, attraverso il sacramento dell’ordine (nel primo grado) vede plasmata la sua persona (carattere) in particolare nel servizio.

Anche a voi ricordo di tenere presente che, oltre alla stola, il diacono è chiamato ad avere sempre con sé il grembiule della lavanda dei piedi, ossia l’indumento di chi serve e non chiude gli occhi e il cuore, un indumento mai ostentato alla ricerca di consenso o popolarità ma cinto “attorno alla vita” esclusivamente per fede e amore.

Annuncio del Vangelo e servizio della carità camminano sempre insieme ed hanno bisogno l’uno dell’altro e questa sintesi si realizza nella vita delle persone e nelle relazioni “evangeliche” che riusciamo a realizzare e che “rinnovano” sia chi evangelizza e serve sia chi viene evangelizzato e riceve il servizio.

Ora come diaconi, carissimi Jérémie e Moïse, fate vostre le parole di Padre Marco e Antonio Cavanis: “Ci unisca la scambievole carità, ci animi il medesimo spirito, ci conforti la vocazione, ci guidi la volontà di Dio, la sua gloria, l’amore alla gioventù, e poi speriamo ogni più eletta benedizione”.

La Madonna Nicopeia – “operatrice di vittorie”, umile serva del Signore, come Ella stessa si è definita nel Magnificat (cfr. Lc 1,48) – guidi il vostro ministero, facendolo crescere come servizio d’amore nella verità.