Omelia del Patriarca nella S. Messa per le ordinazioni presbiterali (Venezia / Basilica della Madonna della Salute, 3 luglio 2021)
03-07-2021

S. Messa per le ordinazioni presbiterali

(Venezia / Basilica della Madonna della Salute, 3 luglio 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

     

 

 

Carissimi don Filippo (del Seminario Patriarcale), fra Riccardo e fra Marco (della Provincia Veneta dei Frati Minori Cappuccini),

la Chiesa che è in Venezia vive oggi con grande gioia, in questa basilica dedicata alla Madonna della Salute, la liturgia della vostra ordinazione presbiterale; è un dono che viene dall’alto e si realizza grazie al vostro sì.

Il Vangelo (Gv 20,24-29) ci riporta ai primi incontri della Chiesa nascente con Gesù risorto. Oggi, giorno della sua festa, siamo invitati a guardare all’apostolo Tommaso che non era presente quando il Risorto si manifestò per la prima volta ai suoi. Così, quando gli viene riferito che Gesù è apparso vivo, Tommaso si rifiuta di credere e pretende di vederlo e toccarlo.

Otto giorni dopo, Gesù viene di nuovo e questa volta c’è anche Tommaso. Gesù gli dice: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20, 27). Poi Gesù aggiunge: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29) Soffermiamoci sulla scena evangelica: Gesù vivo, in mezzo ai suoi.

Carissimi don Filippo, fra Riccardo e fra Marco, il sacerdote è colui che annuncia al mondo Gesù vincitore della morte che dona la vita. La vostra missione consisterà proprio nell’annunciare Gesù risorto! In tale annuncio è contenuto tutto e con esso “dite” tutto, perché Gesù risorto è la pienezza della salvezza.

In Gesù risorto c’è tutto: i discorsi ai discepoli e alle folle, i miracoli, le parabole, il rapporto che lo unisce al Padre e, poi, per i suoi discepoli l’essere “una cosa sola” con Gesù e il Padre (cfr. Gv 17), infine la rivelazione dello Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio, la missione della Chiesa (cfr. Mt 28,18-20).

In Gesù – il Risorto – c’è la pienezza della vita cristiana, i sacramenti (che plasmano l’identità dei discepoli e della Chiesa), l’immersione dei discepoli nella storia che va vissuta senza paure e nascondimenti portando a compimento la loro umanità.

Gesù – il Risorto – è tutto quello che siete chiamati ad annunciare. Gli antichi esegeti dicevano che tutta la storia della salvezza si riassume in una parola: Gesù Cristo.

Il prete, quindi, è l’uomo che crede in Gesù ed è mandato ad annunciarlo. La fede che ha ricevuto ora la trasmette.

La fede è, insieme, grazia ma anche libertà e responsabilità; è un abbandonarsi fiducioso ma anche un sapere; è il compiersi di un atto ragionevole che, però, non considera la ragione come un assoluto, come la misura di tutte le cose. “L’ultimo passo della ragione sta nel riconoscere che vi è una infinità di cose che la sorpassano”, amava dire Pascal.

La fede – annunciata e trasmessa – passa da persona a persona, da generazione a generazione, ed assume una connotazione comunitaria, anzi, ecclesiale. Ritornano le parole di Gesù: “…beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29).

Non vi sono solo le beatitudini riportate da Matteo e da Luca (cfr. Mt 5,1-12 e Lc 6,20-23), ma anche quella della fede riportata qui nel Vangelo di Giovanni e quella di Luca nel dialogo tra Elisabetta e Maria (cfr. Lc 1, 45).

Il Vangelo ci dice che la fede deve essere trasmessa e annunciata, per cui non si può pretendere di vedere e toccare Gesù come voleva fare Tommaso.

La Chiesa trasmette la fede di generazione in generazione e c’è uno stretto legame tra fede e Chiesa: “…beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29).

Tutti crediamo non perché abbiamo veduto e toccato il Signore risorto, ma perché Gesù risorto è stato annunciato e donato a noi da una comunità credente, da uomini e donne (genitori, parroci, catechisti, catechiste, consacrati) che sono stati la culla della nostra fede e ci hanno aiutato a crescere secondo il progetto che Dio aveva su ciascuno.

Gesù, davvero, lo s’incontra nella Chiesa e attraverso la Chiesa.

Della trasmissione della fede dà attestazione l’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Vi proclamo (…), fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto…” (1Cor 15,1-3).

Il Concilio Vaticano II insegna nella Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione (“Dei Verbum”): Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando così ad essi i doni divini” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum n. 7). E di seguito: “Ciò che fu trasmesso dagli apostoli (…) comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all’incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum n. 8).

Carissimi, noi abbiamo creduto in Gesù perché abbiamo incontrato la Chiesa che l’annuncia e celebra l’Eucaristia; abbiamo imparato a riconoscere Gesù realmente presente nel pane eucaristico e, insieme, a chinarci sui poveri. È il tema della stola e del grembiule (Eucaristia e servizio ai poveri) che va richiamato ad ogni ordinazione sacerdotale.

Carissimi, oggi venite ordinati presbiteri perché, un giorno, avete incontrato una comunità che già credeva in Gesù.

La presenza o l’assenza di vocazioni al ministero ordinato – e ad altre vocazioni – ci interroga sulla fede delle nostre comunità e sulla genuinità del loro annuncio.

Carissimi don Filippo, fra Riccardo e fra Marco, di fronte alla Chiesa state per assumere gli impegni propri delle promesse sacerdotali; esse caratterizzeranno, plasmeranno e faranno crescere il vostro sacerdozio.

Con questo gesto che liberamente state per compiere vi impegnate ad aderire a ciò che vi verrà, di volta in volta, chiesto dalla Chiesa e ad andare dove sarà necessario.

È bello, quando si è interpellati, dire semplicemente: sì. Un sì anche faticoso, che però genererà in chi lo dice una gioia profonda di cui voi stessi rimarrete sorpresi. Gesù, lo sappiamo, ha promesso il centuplo in questa vita e, poi, la vita eterna (cfr. Mt 19, 29).

È essenziale la sincerità con cui si dice “sì” e “prometto”; sarà infatti proprio nella fedeltà agli impegni oggi assunti (celibato e obbedienza) che, in voi, si farà evidente la fecondità e la forza del sacramento dell’ordine. Queste promesse siano, d’ora in poi, criterio di discernimento; ogni giorno, nel libro del vostro ministero presbiterale, sappiate scrivere pagine che, rilette, vi ispirino gioia, serenità e pace. Coraggio, con la grazia di Dio tutto è possibile!

Oggi diventate più “intimi” del Signore e per questo sappiate stringervi di più a Lui per essere – per il popolo di Dio a cui sarete inviati – “concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù”, così come ha parlato la prima lettura (Ef 2,19-20).

C’è un legame strettissimo fra sacerdozio universale (dei battezzati) e sacerdozio ordinato (dei presbiteri e del vescovo).

Il prete è a servizio della Chiesa e della gente per annunciare – con sapienza e, se è il caso, con l’offerta della vita – il Signore Gesù, il Vivente.

Siete preti per la missione, mandati a coloro che ancora attendono il buon annuncio di Gesù, suscitando quella fede che permette a Dio d’agire. Sì, è la fede che “scioglie” l’onnipotenza di Dio.

Nella preghiera d’inizio, abbiamo chiesto che don Filippo, fra Riccardo e fra Marco siano “perseveranti nel servire la [divina] volontà, perché nel ministero e nella vita possano renderti gloria in Cristo”.

Fare la volontà di Dio – iniziando dalla propria esistenza – significa “sciogliere” e rendere manifesta l’onnipotenza di Dio.

Dio è onnipotente, ma per agire vuole il “sì” dell’uomo. La fede è dono di grazia e atto libero e responsabile che chiede il coinvolgimento della persona e della comunità perché, come detto, è atto ecclesiale.

Carissimi don Filippo, fra Riccardo e fra Marco, la Madonna della Salute – così cara ai preti veneziani -, san Francesco e san Tommaso veglino su di voi, vi guidino e vi accompagnino nel cammino sacerdotale che oggi ha il suo inizio.