Omelia del Patriarca nella S. Messa per la solennità dell’Ascensione del Signore nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò (Lido di Venezia, 29 maggio 2022)
29-05-2022

S. Messa nella solennità dell’Ascensione del Signore nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò

(Lido di Venezia, 29 maggio 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 Rivolgo un cordiale saluto al Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, all’Ambasciatore d’Ucraina in Italia Yaroslav Melnyk, alle stimate autorità civili e militari, al parroco e ai confratelli sacerdoti, ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i presenti.

Abbiamo rinnovato – in questa giornata di festa della Sensa – lo sposalizio di Venezia col mare che, mai come quest’anno, vuole essere anche e soprattutto un’invocazione e un grido di pace e di speranza: pace tra gli uomini e pace con il creato, speranza non in senso “consolatorio” ma come impegno concreto volto ad operare, nella consapevolezza dei nostri limiti, con una “visione” integrale e armoniosa della realtà che viviamo.

Il gemellaggio realizzato in tale occasione con la città ucraina di Odessa, in questo legame d’amicizia e solidarietà che dal Mare Adriatico arriva fino al Mar Nero, ci porta ad esprimere anche nella preghiera il nostro desiderio profondo: cessino di risuonare le armi e le violenze e si percorra finalmente – dopo oltre tre mesi di guerra – la via del dialogo e della concordia, coniugando le ragioni del diritto e della pacifica convivenza.

In questi giorni, tra l’altro, ho avuto modo di incontrare a Roma l’Esarca dei cattolici ucraini di rito bizantino in Italia, monsignor Dionisio Paulo Lachovicz, che mi ha voluto ringraziare per quanto si è fatto e si sta facendo a Venezia attraverso la Caritas, le realtà diocesane ed altre istituzioni pubbliche e private per i profughi provenienti dall’Ucraina. Nel colloquio si è anche parlato dell’imminente arrivo ed accoglienza di una comunità monastica nel nostro territorio, in terraferma, che sarà ulteriore punto di riferimento per i fedeli ucraini che vivono nell’area veneziana.

Viviamo oggi la solennità liturgica dell’Ascensione al cielo del Signore ed è importante perché ci aiuta a comprendere meglio la Pasqua. L’evento di Cristo – che muore, risorge e dona lo Spirito – viene vissuto nei 50 giorni del tempo pasquale che culmina nell’Ascensione e nella Pentecoste; è un percorso utile per far entrare in noi la logica del “nuovo mondo” inaugurato con la risurrezione di Gesù e il dono dello Spirito Santo.

Le letture appena proclamate presentano l’Ascensione nel racconto dell’evangelista Luca, autore non solo del Vangelo ma anche degli Atti degli Apostoli. E, proprio negli Atti, Luca unisce la comunità degli Apostoli al momento dell’Ascensione di Gesù.

Si riparte da qui, ossia dal termine delle apparizioni del Risorto che sono il venire incontro di Gesù ad una comunità in difficoltà e bisognosa d’essere rivitalizzata nella fede nella risurrezione.

Il Risorto visita i discepoli e si fa riconoscere da loro, sta con loro in atteggiamento conviviale e addirittura – in una apparizione – invita l’incredulo Tommaso a toccare le ferite ancora presenti e aperte. Si tratta di una catechesi che Gesù rivolge ai suoi; in un determinato momento, però, tutto lascia il posto all’Ascensione che è un passo verso la pienezza della Pasqua, la Pentecoste.

Cristo lega, d’ora in poi, la sua presenza allo Spirito Santo e l’attesa di questo dono si compie mentre Maria, con la sua presenza, esercita la sua maternità ecclesiale: Maria è madre della Chiesa.

Luca, per parlare dell’Ascensione, si serve di categorie e schemi spaziali: “…fu elevato in alto” (At 1,9). L’andare in alto e il cielo richiamano il mistero di Dio e il senso di Dio. Il salire in alto, infatti, va compreso in modo simbolico sapendo che l’uomo vive di simboli e gli stessi supporti informatici che noi oggi usiamo si servono di simboli che noi digitiamo sulla tastiera. L’ “alto” e il “cielo” indicano un qualcosa di ulteriore come quando, appunto, schiacciando un tasto accedo ad una realtà nuova, al di là del gesto compiuto.

Fa quasi sorridere il pensare come l’ideologia – prodotto, allora, da un ateismo di Stato, quello della Unione Sovietica, insegnato e inculcato come “bene” per il popolo – abbia portato il primo astronauta della storia (Jurij Gagarin) ad affermare di non aver visto nello spazio nessun Dio… Comprendiamo bene come una simile affermazione, attribuita a Gagarin, non sia, in alcun modo, convincente per giungere all’affermazione della non esistenza di Dio.

Di certo, l’evento dell’Ascensione ci suggerisce la necessità di recuperare la capacità simbolica, altrimenti nulla ha più gusto, neanche leggere una poesia e – se tutto deve essere visibile e toccabile – non hanno senso le affermazioni più umane che caratterizzano la vita di una persona e di una comunità; i sentimenti, il bene e il male, la giustizia e la verità diventerebbero incomprensibili. Pilato, uomo cinico e interessato solo al potere, si chiede infatti che cosa sia la verità…

Il cristiano si muove in un mondo che è stato inaugurato il giorno dell’Ascensione, segnato così dal “già” e dal “non ancora”; l’impegno che nasce dal Battesimo è di essere “in Cristo” ma vivendo “nel mondo”.

Non stupisce, allora, la raccomandazione di Gesù che abbiamo sentito risuonare in questo tempo di Pasqua e che spinge all’amore fraterno unito sempre all’amore per Dio, per il Padre, al punto che Giovanni, nella sua prima lettera, scrive: “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).

Se Dio è Amore, questo comporta che tu entri nell’amore di Dio ed è l’amore di Dio che salva l’umanità se c’è, in te, la volontà della conversione, al di là delle caratteristiche e qualità degli uomini.

Il cristiano è chiamato a vivere la realtà del “già” e del “non ancora”. Lo stesso sagrato delle chiese è, in fondo, immagine del luogo in cui si vive e si respira ciò che si è appena celebrato poiché la preghiera e l’azione liturgica non possono essere ridotte ad autoconsolazione.

C’era una storiella che si raccontava nelle facoltà tedesche di Teologia negli anni ’60, quando era in voga il tema della rivisitazione del marxismo anche in ambito cattolico (sull’onda, ad esempio, del pensiero da un lato del filosofo marxista Ernst Bloch e, dall’altro, del teologo protestante Jürgen Moltmann). La storiella, una barzelletta, era questa. Una nave sta affondando e il comandante grida e dà un ordine che risuona negli altoparlanti: “Gli atei alle pompe, i cristiani preghino”.

La realtà, però, è ben diversa: il cristiano sa di vivere nella storia (anche se non s’identifica con la storia), cooperando con Dio. Gesù, asceso in cielo, diventa Colui che opera con i discepoli lasciando che la sua comunità Lo renda presente nella storia. Possiamo qui richiamare la conclusione del Vangelo di Marco: “…il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20).

La vita cristiana non guarda solo ad un futuro ultimo “escatologico” che, certamente, è al di là di questa terra. La vita cristiana tocca ed interessa la storia, l’oggi, che è solo un tassello di un mosaico più ampio.

Anche nella vicenda di Paolo ritroviamo tutto ciò: l’Apostolo si opponeva a Cristo ma Cristo lo butta a terra e per qualche tempo lo acceca per poi dargli una vista “nuova”. Alla fine Paolo, in pagine che hanno la forza di un testamento spirituale, dirà: “…so in chi ho posto la mia fede” (2Tm 1,12) e ancora “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…” (2Tm 4,7).

Risaltano, allora, la realtà e lo stile di vita del discepolo e della comunità cristiana: operare con il Risorto ed offrire la propria umanità a Lui sapendo, però, che Gesù agisce in momenti, tempi e modi differenti dai nostri.

Buona festa della Sensa a tutti!