Omelia del Patriarca nella S. Messa per la solennità del Santissimo Redentore (Venezia, Basilica del Santissimo Redentore - 15 luglio 2018)
15-07-2018

S. Messa nella solennità del Santissimo Redentore

(Venezia, Basilica del Santissimo Redentore – 15 luglio 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Stimate autorità, Capitolo Patriarcale, Congregazioni del Clero, Comunità cappuccina, cari fedeli,

come ogni anno, qui nella basilica del Redentore, viviamo un evento che appartiene alla nostra storia. Da oltre quattro secoli i veneziani vengono in pellegrinaggio all’isola della Giudecca per ringraziare il Redentore e rinnovare a Lui la loro domanda di aiuto e protezione.

Con tale gesto di fede vogliamo anche impegnarci ad una convivenza sociale che sia dignitosa per tutti e pervasa dai valori che, da sempre, appartengono a Venezia e alla sua storia: l’amore per la libertà e una carità accogliente che nasce dalla fede.

Venezia è la città dell’evangelista Marco e una comunità che ha una relazione profonda con Dio non può vivere un’etica personale e sociale minimalista. Il Redentore ci aiuti, nelle sfide dell’oggi, a compiere scelte sagge e – ad un tempo – sostenibili e generose, legali e accoglienti.

Per quanto riguarda il rapporto oggi delicatissimo con gli immigrati, per il cristiano vale il principio: generosità e legalità, integrazione sostenibile, come ribadisce con forza Papa Francesco. Non sono, quindi, accettabili i “sì” e i “no” a priori; qui è in gioco il nostro essere uomini, il rimanere umani, la necessità di sconfiggere l’indifferenza.

Nel recente incontro ecumenico di Bari per la pace in Medio Oriente Papa Francesco ha elevato un forte grido di preghiera: ”Sia pace: è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). L’indifferenza – ci ha ricordato il Santo Padre – uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze. Per i piccoli, i semplici, i feriti, per loro dalla cui parte sta Dio, noi imploriamo: sia pace!” (Francesco, Monizione introduttiva alla preghiera ecumenica per la pace, Bari – 7 luglio 2018).

Papa Francesco ha definito questi anni come un cambiamento d’epoca; sono anni che hanno segnato e segneranno in profondità (per alcune cose in male, per altre in bene) le persone, la famiglia – cellula fondamentale della società – e la società stessa.

La nostra città deve, inoltre, trovare risposte a questioni essenziali per il suo futuro: il flusso eccessivo dei visitatori in un territorio unico per bellezza ma anche per fragilità e il calo strutturale dei residenti. Le questioni si richiamano a vicenda e vanno affrontate insieme con sano realismo e giusta idealità, senza scaricare sugli altri le proprie utopie e prendendo le distanze da visioni ideologiche. Riconoscere dei limiti anche alle possibili fonti “illimitate” di ricchezza è una scelta onorevole a cui una società è chiamata in vista del bene comune, anche in rapporto alle future generazioni.

Nel Vangelo abbiamo ascoltato il dialogo tra Gesù e Nicodemo in cui si dice: “…come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,14-16).

Con gli occhi della fede siamo, allora, chiamati a contemplare in Gesù innalzato il Redentore; nel suo volto luminoso ci è dato il mistero splendido di Dio. Dostoevskij ha reso famosa l’affermazione: “La bellezza ci salverà”.

L’allora cardinale Joseph Ratzinger, in uno scritto intitolato Gesù tra la bellezza e il dolore”, affermava: “Ci si dimentica nella maggior parte dei casi di ricordare che Dostoevskij intende qui la bellezza redentrice di Cristo. Dobbiamo imparare a vederLo. Se noi Lo conosciamo non più solo a parole ma veniamo colpiti dallo strale della sua paradossale bellezza, allora facciamo veramente la Sua conoscenza e sappiamo di Lui non solo per averne sentito parlare da altri. Allora abbiamo incontrato la bellezza della verità, della verità redentrice” (Joseph Ratzinger, Messaggio al XXIII Meeting per l’amicizia fra i popoli, Rimini – 21 agosto 2002).

Carissimi, la dolorosa bellezza del Redentore appartiene al Vangelo e alla vita della Chiesa e ci porta a riflettere sulla bellezza drammatica che segna i cristiani martiri e le loro eroiche comunità ecclesiali.

Ancora Papa Francesco a Bari, circa il dramma dei cristiani perseguitati (a cui dovremmo fare più spesso menzione), ha detto: Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente” (Francesco, Monizione introduttiva alla preghiera ecumenica per la pace, Bari – 7 luglio 2018).

Venezia è, da sempre, porta d’Oriente ed è, per antonomasia, la città della Bellezza in cui si esprime in modo unico l’alleanza fra Dio e uomo! Michelangelo, nella volta della Cappella Sistina, ha fermato l’attimo della creazione di Adamo; tale gesto divino è anche l’inizio dell’alleanza che, in modo mirabile, si rende presente nella nostra città dove il bello è frutto prima dell’opera di Dio e poi del lavoro dell’uomo.

Il cielo, il mare, la laguna, le luci estive e invernali, le nebbie autunnali riverberano sensazioni inesprimibili nell’animo umano. Venezia è, insieme, questa opera di Dio e dell’uomo e la sua bellezza esercita un fascino indicibile. La nostra città è quel prezioso scrigno d’arte che si unisce al bello, opera del Creatore, ed è affidato però alla nostra cura; nella Laudato sì Papa Francesco ha scritto al riguardo pagine significative.

Una città si offre allo sguardo di chi la abita e la visita in molti modi; uno di questi è il suo profilo urbano. Alcuni salmi – 8 e 18 – cantano la bellezza del creato, altri – 120 e 121 – la bellezza di Gerusalemme, la città per eccellenza, la meta di innumerevoli pellegrini che salgono il monte di Sion.

Il salmo 121, in particolare, recita: “Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!». Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme! Gerusalemme è costruita come città unita e compatta. È là che salgono le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge d’Israele, per lodare il nome del Signore” (Sal 121, 1-4).

Venezia è la città dei ponti ed “essere ponte” è la sua vocazione; così il Bello è ponte verso gli altri e verso l’Altro. Per questo, il Bello (pittura, scultura, architettura, musica, poesia), il Bene (chiese, ospedali, mense, dormitori), il Vero (scuole, università, biblioteche, archivi) sono ponti gettati verso gli altri ma, soprattutto, verso l’Altro. E solo nell’incontro con Chi è il Bene, il Buono e il Vero l’uomo si ritrova, ritrovando prima di tutto Dio e ritrovando il fratello.

Dio va, quindi, riscoperto e posto al centro della vita del singolo e della città – la fede è un fatto pubblico – perché Dio è garanzia di libertà per tutti (pensiamo all’obiezione di coscienza e forse, per il futuro, ce ne sarà bisogno e in molti campi…) e del rispetto tra le persone, senza discriminazioni, affinché nessuno si innalzi sopra gli altri (e pensiamo qui alla tragedia del Novecento, il “secolo breve”, che ha fatto più milioni di morti di tutti gli altri secoli messi insieme).

Richiamo qui quanto il cardinale Karl Lehmann ha scritto nel suo testamento spirituale: una società che ha prospettive solo o prevalentemente “orizzontali” (efficienza, produttività, guadagno ecc.) mai potrà rinnovarsi.

“Ringrazio Dio – scriveva – per tutti i doni, specialmente per le persone che mi ha donato, in particolare i miei genitori, gli insegnanti e la mia patria… Tutti noi, anche la Chiesa, specialmente nell’epoca successiva al 1945, ci siamo immersi nel mondo e abbiamo sepolto e occultato l’aldilà. Questo vale anche per me. Chiedo perdono a Dio e alla gente. Il rinnovamento deve venire profondamente dalla fede, speranza e carità” (Cardinale Karl Lehmann, Testamento spirituale). Sì, la novità viene dalle virtù teologali: fede, speranza e carità.

E noi, osservando la nostra città, percepiamo ancora in mezzo a noi la presenza di un Altro, di un Redentore in grado di appagare quella sete d’infinito – il più delle volte inconscia – che divora l’uomo postmoderno?

Per salvare la nostra umanità e una convivenza rispettosa dell’altro siamo chiamati a valorizzare gli spazi di silenzio ad iniziare dalla preghiera che è momento d’incontro con Dio, con se stessi e con gli altri. Auguro a tutti voi di riscoprire la preghiera, ben prima di arrivare alla fine della vostra vita; la giornata scorre meglio se inizia pregando e, soprattutto, se abbiamo responsabilità di altri.

Troppo spesso cediamo alla tentazione di postare un nuovo tweet o di cercare un ultimo contatto in rete… per sentire che siamo ancora vivi e, quindi, contiamo ancora… E non ci accorgiamo che ci parliamo addosso!

Il Servo di Dio Giorgio La Pira usava queste parole oggi attualissime: “La società industriale crea una civiltà planetaria dove si elabora un tipo di uomo di cui si ritrova il modello dappertutto a scapito della sopravvivenza dei costumi, delle tradizioni e delle lingue” (Giorgio La Pira, Preambolo e conclusioni allo Statuto del Congresso Mediterraneo della Cultura, 19 febbraio 1960).

La società industriale oggi ha ceduto il posto a quella dell’immagine e della comunicazione; tutto in esse è più sfumato, articolato e pervasivo e perciò ha bisogno d’un supplemento d’umanità e, soprattutto, di Vangelo.

Ma ogni incontro – che sia degno di tale nome – avviene non attraverso un “contatto virtuale” in rete ma attraverso un “dialogo reale” tra persone disponibili a percorrere strade non facili, mai scontate o banali. Pensiamo anche ai nostri giovani.

Sì, bisogna riscoprire il valore dell’incontro reale, del dialogo, della fraternità e dell’accoglienza, con anche la possibilità di rimanere della propria opinione dopo il dialogo ma, appunto, solo dopo aver incontrato l’altro e averne discusso. Soprattutto oggi. Ma questo presuppone di riscoprire il valore dell’incontro con la paternità di Dio, perché da qui fiorisce ogni altro incontro e rapporto.

La Madonna della Salute – così cara ai Veneziani – interceda per noi presso Suo Figlio, il Santissimo Redentore, così da poter camminare come singoli e comunità che guardano al rispetto dell’altro, all’accoglienza e alla legalità come a principi che si imparano prima di tutto in famiglia – prima cellula della società -, dove si impara il senso della relazione e della responsabilità, dove si impara ad avere dei diritti ma anche dei doveri.

Il Redentore ci aiuti e ci accompagni!