Omelia del Patriarca nella S. Messa per il terzo anniversario della morte del card. Marco Cè (Venezia / Basilica Cattedrale di S. Marco, 12 maggio 2017)
12-05-2017

S. Messa nel terzo anniversario della morte del card. Marco Cè

(Venezia / Basilica Cattedrale di S. Marco, 12 maggio 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, persone consacrate e fedeli,

un saluto cordiale a tutti voi qui presenti e ai confratelli che si sono giustificati non avendo potuto partecipare a questa celebrazione con cui la Chiesa che è in Venezia ricorda, con vero affetto, l’amato patriarca Marco. Infine, un saluto particolare al caro don Valerio che oggi non può essere con noi.

Cari amici, abbiamo ascoltato dallo stesso Gesù una parola che ci riempie di gioia. Gesù, infatti, ha detto ai suoi discepoli e quindi anche a noi oggi: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via» (Gv 14, 1-4).

Siamo, quindi, rassicurati dallo stesso Gesù che il nostro amato Patriarca ci ha preceduti là dove, un giorno, tutti speriamo di poter giungere e così essere per sempre insieme col Signore, vero e – alla fine – unico motivo della nostra vita.

Il nostro grazie s’innalza a Dio per l’amato pastore, grati di averlo avuto per ventitré anni – dal dicembre del 1978 al marzo del 2002 – come guida saggia, paterna, amorevole, vero esempio sacerdotale. Un uomo ricco di fede e profonda carità; il suo modo sincero e fraterno di stare in mezzo a noi è ben presente in quanti ebbero il dono grande di incontrarlo. Desidero, in questo terzo anniversario della sua morte, ricordarlo soprattutto come sacerdote e questo perché, proprio nel 2017, ricorre una data importante per il nostro Seminario.

Molti fra quanti, oggi, sono qui in Basilica a pregare per lui ricordano la sua stima e considerazione per il sacerdozio. Risuonano ancora vive, in chi le ha potute udire, le parole che più volte disse sul sacerdote e sul sacerdozio.

Volentieri richiamo quelle che pronunciò in conclusione del suo mandato come Patriarca, al momento del commiato: “Nella mia vita  -diceva il Cardinale – non ho voluto fare altro che il sacerdote. Ho avuto i miei momenti di conversione a Dio, ma in una grande continuità”. E aggiungeva: “I ricordi più belli sono nelle cose umili, in tanti incontri in cui ho visto che la mia vita, la mia presenza, diventava significativa per le persone” (Marco Cè: Vescovo, padre e fratello, Edizioni CID 2002, pp. 15-16).

Ho scelto – in questo terzo anniversario del suo pio transito – di soffermarmi su talune sue lucide riflessioni sul sacerdozio perché a noi preti fa sempre bene sentire parlare del dono che abbiamo ricevuto e anche perché – come prima accennavo – quest’anno ricorrono i duecento anni di presenza del Seminario diocesano nell’attuale sede, il complesso della Basilica della Salute nella Punta della Dogana.

Il cardinale Cè – come ben sappiamo – ebbe un’attenzione particolarissima per il Seminario e i seminaristi; nei seminaristi vedeva i futuri primi collaboratori del Vescovo e, quindi, si dedicava loro con tutto se stesso e voleva che tale sua dedizione fosse da loro percepita in modo che lo avvertissero, oltre che come guida loro data dal Signore, anche come padre e come amico. Mai dimenticò nel suo ministero episcopale d’esser stato, da prete, prima insegnante e poi rettore del Seminario di Crema, sua diocesi di provenienza.

Non stupisce, allora, quando Egli scrisse una lettera veramente paterna ed affettuosa in occasione dell’ordinazione dei quattro sacerdoti che – come si dice – “presero messa” nell’anno 1999. Siamo quasi al termine del suo servizio episcopale e, quindi, siamo di fronte ad uno scritto che dice tutta la sua maturità di pastore.

Tra i vari consigli, ecco cosa il Patriarca Marco raccomandava personalmente a ogni novello sacerdote: ”Carissimo, carissimo (sì, l’aggettivo sostantivato veniva ripetuto due volte!), il 19 giugno u.s. ti ho imposto le mani e tu sei stato costituito presbitero della nostra santa Chiesa. Poi ti ho conferito il primo “mandato”: da quel momento la tua vita e il tuo cammino di fedeltà al Signore – la tua “sequela Christi” – saranno determinati dal tuo concreto servizio alla nostra Chiesa particolare”. E poi continuava: “La carità pastorale – tale è il nome di questa fedeltà – sarà croce su cui si consuma la tua vita, ma pure la tua gioia; sarà anche la forza più genuina della tua crescita verso una maturità – umana e non solo spirituale – sempre più piena” (Marco Cè, Lettera a quattro nuovi presbiteri, 19 giugno 1999).

In questo inizio di lettera c’è già tutto l’animo di chi vive realmente il suo sacerdozio e riflette, a voce alta, ripetendo ai giovani confratelli quello che ripeteva frequentemente al Signore nella sua preghiera.

Dopo aver dato numerosi e saggi consigli spirituali, con indicazioni pratiche utili al prete per la vita di ogni giorno, come può fare solo chi è pienamente conscio del suo delicato ruolo di padre e amico ma anche di maestro e responsabile ultimo del presbiterio, egli conclude la sua accorata lettera con queste parole: ”Figlio carissimo, ricordati che sei sempre nelle mani buone di Dio; accanto a te cammina Gesù; su di te veglia Maria, sua e nostra Madre. Non avere paura; non permettere che il turbamento si impossessi del tuo cuore. Cammina nella fede, cammina sicuro, cammina nella gioia del cuore” (Marco Cè, Lettera a quattro nuovi presbiteri, 19 giugno 1999).

Insieme, al termine del servizio episcopale, il Patriarca Marco si presenta come l’uomo dell’Eucaristia e della Parola di Dio amata e annunciata.

Vogliamo infine, ricordarlo, in questo terzo anniversario della sua pia morte, come colui che ha sempre posto il Signore al centro di tutto; Gesù era per lui il riferimento reale, concreto, costante della sua vita e del suo ministero.

Il modo in cui si esercita il ministero dice quali sono i riferimenti reali del singolo sacerdote; il Cardinale lo ricordiamo come un vero prete, in ogni momento.