Omelia del Patriarca nella S. Messa per il quinto anniversario della morte del card. Marco Cè (Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 12 maggio 2019)
12-05-2019

S. Messa nel quinto anniversario della morte del card. Marco Cè

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 12 maggio 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

  

Cari presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici,

l’eucaristia domenicale è il ricordo vivo e più reale della Pasqua del Signore. Sono, quindi, contento che quest’anno il quinto anniversario della morte dell’indimenticabile cardinale Marco Cè, nostro amato patriarca, ricorra proprio in giorno di domenica.

Da sempre, infatti, la domenica è la piccola Pasqua settimanale; da essa ha avuto origine e poi si è progressivamente sviluppato l’intero anno liturgico. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella costituzione Sacrosanctum concilium, parla proprio in questi termini della domenica.

Il patriarca Marco fu discepolo fedele del Concilio e, in questo, seguì la strada già ampiamente tracciata dai suoi predecessori – i patriarchi Roncalli e Luciani, divenuti sommi pontefici – e il patriarca Urbani di cui, quest’anno, celebreremo i cinquant’anni dalla morte.

Il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla liturgia, a proposito della domenica si esprime con parole che legano in modo tutto particolare questo giorno alla celebrazione liturgica e alla Parola di Dio.

Il cardinale celebrava bene, con grande fede e cura, e voleva che i giovani preti si preparassero bene a celebrare l’Eucaristia, anche nel rispetto delle forme; per questo li seguiva e li accompagnava personalmente.

Mi ha dato gioia sentire tali testimonianze da preti ormai non più giovanissimi, ancor’oggi profondamente grati per quei suoi insegnamenti; il patriarca Marco era poi un vero innamorato della Parola di Dio di cui aveva anche competenza scientifica per gli studi fatti.

Il Concilio Vaticano II lega strettamente fra loro la liturgia, che considera espressione del mistero di Cristo nella vita dei fedeli, e la Parola di Dio in cui vede la condiscendenza dell’eterna sapienza; Parola di Dio ed Eucaristia, insieme, costituiscono la stessa sostanza della domenica, intesa come il giorno del Signore.

Leggiamo questo breve ma intenso passo della costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II: “Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente «giorno del Signore» o «domenica». In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare alla eucaristia e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio, che li « ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt 1,3)” (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, n.106).

Il patriarca Marco – che, come detto, aveva fatto studi biblici ed amava la Parola di Dio – certamente gioisce d’essere ricordato proprio a partire dalla centralità della Parola di Dio proclamata nella liturgia, soprattutto eucaristica.

Oggi – IV domenica del tempo pasquale – la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci pone innanzi l’episodio di cui sono protagonisti Paolo e Barnaba, ad Antiochia, e in cui ci viene mostrata la grande importanza e fecondità che la Parola di Dio riveste nella vita della Chiesa.

La Parola di Dio è viva ed efficace, crea una storia sempre nuova nella vita di chi l’ascolta con fede. La prima lettura ci pone dinanzi alla Parola di Dio presentandola come vera protagonista dell’evangelizzazione; è, infatti, la Parola di Dio che raduna e costituisce la comunità cristiana, ossia la Chiesa.

E questa domenica si presenta particolarmente idonea sotto questo aspetto; ci è, infatti, narrata l’infaticabile azione missionaria di Paolo e Barnaba, tutti intenti a predicare il Vangelo di Gesù. Paolo e Barnaba non proclamano parole umane ma, con fede e con parresia (franchezza e audacia), la Parola di Dio.

Riprendo il testo appena ascoltato: “In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero… i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13, 14. 48-52).

Paolo e Barnaba compiono una scelta che ha pure un valore simbolico: si recano nella sinagoga, luogo dove gli ebrei (le due comunità non erano, infatti, ancora distinte fra loro) proclamavano e ascoltavano la Parola di Dio. E così si afferma una priorità e si dice come il popolo di Dio nasca e si strutturi a partire proprio dalla Parola di Dio proclamata, ascoltata e celebrata.

Il Concilio Vaticano II, a cui guardava sempre il patriarca Marco, ci ricorda – nella Presbyterorum ordinis – come il popolo di Dio trovi nella Parola di Dio ciò che lo unisce e la Parola di Dio – essendo appunto Parola di Dio e non di uomini – è sempre viva.

Per questo i preti, soprattutto, devono averla sulle labbra e, prima ancora, nel cuore e così proclamandola sono gli autentici testimoni/annunciatori del Vangelo, la buona notizia che il mondo attende e che si propaga, appunto, con la testimonianza/predicazione che permette ad ogni uomo di buona volontà di credere (cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis, n.4).

La forza generativa della Parola di Dio fu la convinzione che animò sempre il patriarca Marco durante il suo ministero. Rimane tra l’altro fondamentale, nel suo episcopato a Venezia, l’istituzione dei gruppi d’ascolto della Parola nelle case. E poi quando, nel 2002, lasciò la guida pastorale della Chiesa veneziana, il patriarca Marco si dedicò tutto – “anima e corpo” – al ministero degli esercizi spirituali presso la Casa diocesana Santa Maria Assunta.

L’accompagnamento spirituale dei giovani, degli adulti e delle famiglie, partiva proprio dalla Parola di Dio predicata e dalla celebrazione della liturgia; in tutto coadiuvato sempre con amore e passione dall’amico e fedele segretario don Valerio.

La Casa diocesana di Cavallino è divenuta così, un piccolo cenacolo di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di celebrazione ed adorazione eucaristica. Chi vi partecipava e vi partecipa tuttora è invitato, infatti, a scoprire o a riscoprire la Parola di Dio e la liturgia ponendole al centro della propria vita personale e comunitaria per vivere così la novità del battesimo.

Sono certo che il patriarca Marco, con il suo sorriso e la sua amabilità, avrebbe desiderato sottolineare quello che oggi – quarta domenica del tempo pasquale – ci consegna (nella conclusione) la prima lettura tratta dal libro degli Atti degli Apostoli: “…i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero… – e ancora come – …la parola del Signore si diffondeva per tutta la regione… – e nonostante le difficoltà – …i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13,48-49.52).

Ringraziamo di aver avuto in dono il patriarca Marco al quale chiediamo che ci ricordi costantemente a Gesù Buon Pastore, nostro vero bene nella vita presente e in quella futura.