Omelia del Patriarca nella S. Messa per il 150° anniversario della morte di Giovanni Querini Stampalia (Venezia / Chiesa S. Maria Formosa, 16 maggio 2019)
16-05-2019

S. Messa nel 150° anniversario della morte di Giovanni Querini Stampalia

(Venezia / Chiesa S. Maria Formosa, 16 maggio 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Stimato presidente, gentili autorità, cari fedeli,

ringrazio per l’invito a presiedere l’Eucaristia in occasione del 150° anniversario della morte di Giovanni Querini Stampalia avvenuta a Venezia il 25 maggio 1869.

Mi soffermo innanzitutto sulla prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, e che ci ricorda – quasi di sfuggita – un evento che segnò in maniera traumatica il rapporto fra Paolo e Barnaba. Infatti, durante il primo viaggio missionario, si consumò fra loro una frattura e il motivo fu Marco, il futuro evangelista, nipote di Barnaba.

Luca scrive infatti: “…Paolo e i suoi compagni [tra cui Barnaba] giunsero a Perge, in Panfìlia. Ma Giovanni [detto Marco] si separò da loro e ritornò a Gerusalemme. Essi invece, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia…” (At 13,13-14). Giovanni – detto Marco – che accompagnava Paolo e Barnaba (cfr. At 12,25) ad un certo momento, quindi, abbandona la missione e ritorna a Gerusalemme (cfr. At 13,13).

Tale rottura non fu cosa da poco se, nel viaggio successivo, Paolo e Barnaba presero strade diverse: ”Il dissenso – leggiamo sempre nel libro degli Atti – fu tale che si separarono l’uno dall’altro. Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. Paolo invece scelse Sila e partì, affidato dai fratelli alla grazia del Signore” (At 15, 39-40).

In seguito troveremo Marco a Roma come collaboratore, forse segretario, dell’apostolo Pietro e, infine, lo vedremo di nuovo accanto a Paolo durante la prigionia dell’Apostolo.

Questo fatto, da una parte, dice l’umanità della Chiesa, ossia i limiti degli uomini. E, di fronte a tali limiti, è necessario lasciarsi afferrare da Colui che solo può liberarci dal nostro uomo vecchio.

Paolo, proseguendo la lettura odierna, sa d’aver innanzi un uditorio non facile. Si trova in una città abitata da gentili ma sta parlando nella sinagoga e la comunità cristiana è percorsa da tensioni: da una parte il gruppo dei giudaizzanti, dall’altra quello degli ellenisti.

L’Apostolo offre un riscontro di tutto ciò, con chiarezza, nella prima lettera ai Corinzi: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1, 22-25).

L’avvenimento di Gesù è stato dirompente per gli uni e per gli altri; che cosa fare? Paolo manifesta tutta la sua fede in Gesù Cristo – centro e fine della storia – guardando alla storia della salvezza, ossia all’agire di Dio, che rilegge nel momento che sta vivendo; in tal modo risponde alla chiamata della Divina Misericordia e giunge alla salvezza. Paolo riconduce tutto a Gesù, riconosciuto come Colui nelle cui mani il Padre ha posto ogni cosa.

Ed è proprio questo il tema del Vangelo di oggi. Ecco le parole di Gesù: “Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato” (Gv 13, 19-20).

Certo, di fronte a queste parole, si avverte come sia difficile essere discepoli del Signore. Si tratta, infatti, di una chiamata impegnativa eppure, da parte del discepolo che vuole rimanere fedele, non è possibile chiamarsi fuori. La grande risorsa del cristiano – che talvolta, però, sembra dimenticarlo – è la grazia donata nel battesimo e fatta propria attraverso una vita umile in cui Gesù possa trovare sempre più posto e accoglienza.

Il discepolo “gravato” da tale compito è ’“inviato” a fare suo lo stile di Gesù; diventa così decisiva la parola del Vangelo in cui si dice che non siamo stati noi a scegliere Lui ma è Lui che ha scelto noi.

Certo, il confronto con Lui è improponibile e quasi ci schiaccia ma, nello stesso tempo, quello che viene posto sulle nostre spalle è un “peso” che possiamo portare perché è Lui che se ne fa carico ed è proprio questo che attestano i martiri dai primi secoli ad oggi. Non siamo poi noi ad esserci proposti ma è Lui che ci ha eletti.

La risposta di Gesù ai discepoli che chiedevano come mai non erano riusciti a guarire un malato ci indica un percorso da intraprendere: << … «Per la vostra poca fede – rispose loro Gesù –. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile» (Mt 17, 20-21).

Questa celebrazione eucaristica – voluta dalla presidenza della Fondazione che ringrazio nuovamente del cortese invito – fa parte delle celebrazioni per i 150 anni dalla morte di Giovanni Querini Stampalia, figura di spicco nella Venezia dell’Ottocento.

Il conte Giovanni apparteneva al prestigioso ramo dei patrizi Querini e fu uomo di vastissima cultura; giurista, studioso di economia, conosceva il latino e il greco, si interessava di scienze naturali e numismatica; come imprenditore fu aperto a tutte le innovazioni del tempo partecipando, in prima persona, alla gestione dei beni di famiglia ed, infine, fu anche un generosissimo filantropo.

Fu una figura veramente poliedrica, amante della cultura, che si adoperò affinché la cultura diventasse bene fruibile da parte di tutti; per questo, alla sua morte, lasciò alla città la ricchissima biblioteca e pinacoteca.

Il suo desiderio di rendere fruibile la cultura al popolo dice così una visione “democratica”, certamente precorritrice dei tempi, e tale intenzione si evince pure dalla volontà d’ampliare l’orario d’accesso al ricchissimo patrimonio librario familiare anche in ore tarde e nei giorni festivi.

Il Conte dispose che, alla sua morte, l’immenso patrimonio confluisse nella costituenda Fondazione Querini Stampalia, offrendo così alla collettività un bene inestimabile. Non dimentichiamo, inoltre, i lasciti per costituire doti in favore di fanciulle bisognose, il fondo per finanziare gli studi di un giovane povero all’università di Padova e le somme per letterati e scienziati caduti in miseria.

Tutto questo dice un’attenzione particolarissima alla persona e, insieme, lo stretto legame che lo univa alla città di Venezia di cui Giovanni Querini Stampalia si sentiva parte viva.

E proprio dalla sua attenzione e dal rispetto alla persona nasce il suo interesse al bene comune che non è solo condivisione di beni materiali ma – come abbiamo visto – anche intellettuali e spirituali, ampliando sempre più la cerchia di coloro che ne beneficiano.

D’altra parte, le opere di misericordia secondo il Vangelo sono non solo materiali ma anche spirituali.

La Fondazione Querini Stampalia – secondo l’originaria volontà – mira così a “promuovere il culto dei buoni studj e delle utili discipline” e, grazie all’opera intelligente e fedele alla volontà del fondatore di chi oggi la governa, continua a guardare con attenzione alla persona e alla sua formazione come al principale obiettivo da perseguire.

L’augurio che rivolgiamo oggi alla Fondazione Querini Stampalia è di essere sempre luogo di confronto e agorà del sapere nella città di Venezia che – come dice tutta la sua storia – è da sempre contesto propositivo d’incontro fra culture, nella condivisione di un sapere fruibile da tutti e inteso non solo come “conoscenza” ma anche come “sapienza”.