Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di monsignor Angelo Centenaro (Mestre / Duomo S. Lorenzo, 2 settembre 2020)
02-09-2020

S. Messa per i funerali di monsignor Angelo Centenaro

(Mestre / Duomo S. Lorenzo, 2 settembre 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi,

siamo riuniti come comunità ecclesiale per dare il saluto cristiano al nostro carissimo monsignor Angelo Centenaro che ci ha lasciati, per un veloce “precipitare” delle condizioni di salute, nelle prime ore di sabato scorso. La nostra vicinanza affettuosa va ai nipoti che, con amore, hanno accompagnato lo zio don Angelo; grazie per la vostra bella testimonianza.

Alle soglie dei 90 anni, è giunto così al termine di una vita tutta scandita dal suo servizio sacerdotale svolto fedelmente e con intelligenza (queste due caratteristiche non sempre ci sono, in don Angelo c’erano) – in differenti compiti e luoghi – per oltre 66 anni, ossia da quando aveva ricevuto l’ordinazione dall’allora Patriarca Roncalli, oggi san Giovanni XXIII. E possiamo dire che un po’ di quei tratti di bontà e amabilità che, insieme al sorriso, tanto caratterizzarono Roncalli li abbiamo poi ritrovati e si sono riversati anche nella vita di monsignor Centenaro rimanendo ora fissi nel ricordo, come molti potrebbero testimoniare.

Anche nell’odierna celebrazione – come abbiamo ascoltato nel Vangelo che è stato appena proclamato (Mt 28, 1-10) – risuona forte l’annuncio della Pasqua e, quindi, la notizia che la vita vince la morte; è la nostra identità cristiana: noi nasciamo nella Pasqua, la vera vita inizia dopo questa vita terrena.

E ciò che abbiamo ascoltato nel Vangelo – soprattutto l’esortazione a non avere paura – lo dobbiamo far nostro, adesso, in questo momento. Abbiamo sentito attraverso le parole rivolte dall’angelo alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto… Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto» (Mt 28, 5-7).

In ogni Eucaristia (e quante ne ha presiedute don Angelo proprio su quest’altare!) abbiamo la conferma, nella storia, che in Gesù risorto si ritorna a vivere e questa è la certezza che deve guidarci anche in questo momento pur contraddistinto dal lutto e dal dolore per il distacco umano.

Sì, la vita è più forte della morte e la morte non è l’ultima parola sull’uomo. A Pasqua si compie il progetto di Dio che è Gesù risorto il quale vince la morte e va oltre i pensieri, le speranze e le opinioni degli uomini. O noi cristiani riusciamo a dare questa testimonianza o dobbiamo rivedere la nostra adesione pasquale a Cristo; in un mondo in cui conta solo quello che si tocca, si vede e si verifica, noi dobbiamo essere testimoni credibili di una speranza.

Nella Pasqua del Signore Gesù si attua per ogni giusto, per ogni discepolo buono e fedele (e solo Dio può dire chi è giusto, buono e fedele!), ciò che già il libro della Sapienza – la prima lettura di oggi – proclamava: “Le anime dei giusti (…) sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà… essi sono nella pace. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l’offerta di un olocausto” (Sap 3,1-6). Don Angelo è in buone mani. Anche lui è stato provato, soprattutto negli ultimi anni, ma sono convinto che è stato trovato degno.

Il salmo responsoriale, poi, ci ha ricordato il volto e il “cuore” del nostro Dio: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore… Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono… “ (Sal 103, 8.13). E io penso che il Signore abbia saputo, anche negli anni del “ritiro” della vita di don Angelo, esser per Lui un Padre tenero. Lo ricordo ancora, in alcune visite, con il breviario vicino e la corona del rosario.

La vita e il sacerdozio di don Angelo hanno fatto trasparire molti elementi di sensibilità e paternità spirituale che egli ha saputo mettere in campo dovunque era mandato, soprattutto nei lunghi – e da lui amatissimi – tempi trascorsi in parrocchia, in particolare come parroco a S. Maria Goretti (comunità che ha, di fatto, fondato e dove anche – nella cappella dell’adorazione perpetua – è stato vegliato in queste ultime ore) e poi qui a S. Lorenzo.

In tutto ciò – nell’amore appassionato per la gente che gli era stata affidata – risaltava il contenuto e lo stile del suo essere prete (questo è ciò che la gente desidera anche se non sa esprimerlo in termini teologici), capace di accompagnare ed educare alla fede e alla vita tante generazioni di ragazzi, giovani e famiglie con cui ha sempre stabilito legami di affetto e amicizia pastorale. Lo possono attestare anche quanti dell’Azione cattolica lo hanno apprezzato, come assistente diocesano, per un tempo prolungato e particolarmente fiorente.

Chi l’ha conosciuto da vicino ricorda anche la sua attenzione e la sua generosità (espresse sempre in silenzio e con totale discrezione) verso i più piccoli, i più poveri e più bisognosi; molte persone e famiglie – ed anche sacerdoti – hanno ricevuto da lui piccoli o grandi aiuti nel momento della necessità. Quando gli si parlava o gli si chiedeva un consiglio su cose che conosceva – per età o per i compiti da lui svolti -, si vedeva tutta la carità, l’intelligenza e la giustizia della persona.

Amava stare con le persone e stare bene con loro, in modo familiare e umanamente caloroso. Forse per questo ha sempre avuto una speciale cura anche per l’edificio-chiesa, per la dignità negli ambienti parrocchiali in cui si trovava e per tutte le strutture che gli erano affidate, proprio perché potessero essere sempre più belle e funzionali allo stare insieme della comunità e, quindi, più accoglienti nei confronti delle persone.

Nutriva uno spiccato amore per la liturgia ben celebrata – con sobrietà e con gioia, in modo partecipato – e so che tra i suoi ricordi più indelebili c’erano sicuramente le curate e affollate celebrazioni della Settimana Santa e della Pasqua in questo Duomo, con il canto e l’animazione dei “suoi” giovani e degli adulti della comunità parrocchiale.

Don Angelo è stato un uomo buono e di pace, un uomo che ha saputo perdonare. E per questo ha raccolto la simpatia e la stima di tanti, anche da parte delle autorità e di parecchi non credenti che hanno condiviso con lui un tratto di strada. In molti lo hanno apprezzato e lo ricordano tuttora per il periodo in cui è stato vicario episcopale del Patriarca per la terraferma e durante il quale – sempre in maniera pacata ma autorevole – ha rivolto a tutti una parola di speranza e di carità sollecitando talvolta più giustizia e verità nei comportamenti personali e sociali; ha saputo, inoltre, sostenere e valorizzare con equilibrio il ruolo e le esigenze di questa città di Mestre.

Mi piace sottolineare qui, però, in particolare quello che è stato il suo ultimo incarico e che – in qualche modo ma effettivamente – sembra poterne riassumere l’intera esistenza. Dopo essere stato per un quinquennio vicario episcopale per l’azione sociale e caritativa, don Angelo è stato nominato nel 2007 Penitenziere Patriarcale ed ha continuato a svolgere tale compito fino a poche settimane fa – con impegno e fedeltà, in modo paterno e saggio – in varie parrocchie ed anche agli esercizi spirituali diocesani a Cavallino.

In tutto il suo sacerdozio, del resto, don Angelo ha sempre dedicato molte ore delle sue giornate e settimane al confessionale; lì continuava ad incontrare, accogliere ed accompagnare le persone verso la misericordia, l’amore e la giustizia di Dio e continuava in tale ministero ad esprimere il suo amore, la sua fedeltà ed obbedienza nei confronti della Chiesa.

Don Angelo, inoltre, nutriva fin da piccolo una devozione e un affetto grandissimo per la Vergine Maria, la “Madonna Mora” della sua natìa Borbiago dove era venuto alla luce nel 1930 e dove ha poi trascorso una parte di questi ultimi anni prima di trasferirsi, più recentemente, al Centro Don Vecchi. Sempre con gioia, tra l’altro, don Angelo ha guidato tanti viaggi dell’Unitalsi a Lourdes mettendosi a servizio dei pellegrini e invitandoli a volgere lo sguardo e il cuore a Colei che è “beata perché ha creduto”.

Ora noi lo vogliamo affidare all’amorevole e materna intercessione della Vergine Maria, perché lo prenda per mano e lo conduca all’incontro pieno e gioioso con Gesù così che don Angelo possa trovare anche la pace e le consolazioni che ha meritato (e che, come capita spesso agli uomini, non sempre si ricevono nel cammino terreno…) e di cui sentiva sempre più il bisogno, soprattutto in questi ultimi anni nei quali avvertiva e lamentava come un senso di solitudine.

Mi sembra bello concludere con alcune frasi di una lettera che don Angelo aveva preparato di recente per gli ospiti, come lui, del Centro Don Vecchi, e che avrebbe voluto visitare personalmente nei rispettivi appartamenti – appena usciti dall’emergenza per il Covid-19 – per portare la benedizione del Signore. Sono parole che rivelano, una volta di più, il suo cuore buono e di pastore.

Don Angelo scriveva così: “Un giorno lontano – il 27 giugno del 1954 – l’allora Patriarca di Venezia Angelo Roncalli ha consacrato le mie mani e da allora ho predicato il Vangelo, ho guidato le Comunità che mi sono state affidate, ho gioito con chi era nella gioia e pianto con chi era nel dolore. Ho pregato per gli ammalati e ho imposto le mani, come ci ha comandato di fare il Signore… Essendomi stata affidata la cura pastorale di questo Centro, rientra nei miei compiti venire in ogni appartamento a portare la benedizione del Signore… Vi assicuro che, nonostante la sua gravosità, mi accingo ad affrontare questo impegno con gioia, perché so che ognuno di noi ha voglia di essere incontrato e ascoltato. So anche che tra noi potrebbero esserci persone di altra religione o non credenti; la cosa non ci deve turbare, la pace e la gioia di vivere sono per tutti. Per questo, chiedo di essere accolto da chi desidera e attende la visita del sacerdote; con me porterò una parola di conforto, di incoraggiamento, una preghiera e la benedizione del Signore”.

Dio ha disposto in modo diverso e don Angelo non ha potuto andare a visitare quelle persone, ma questo diventa il “testamento spirituale” di chi è stato prete non perché legato ad un ufficio ma perché preti si è e si rimane sempre al di là degli uffici che, di volta in volta, il Vescovo, il presbiterio e la Chiesa per cui siamo stati ordinati ci chiedono di assumere.

Caro don Angelo, grazie per la tua testimonianza. Mentre noi eleviamo per te una riconoscente preghiera di suffragio, tu continua ora dal cielo ad implorare su di noi e sulla tua amata Chiesa di Venezia – sulle parrocchie e realtà che hai conosciuto e servito – la pienezza delle benedizioni del Signore, il Crocifisso Risorto.

Prega per noi. Ti affido, soprattutto in questo momento, due sacerdoti che ho sentito questa mattina e che non possono essere qui presenti per motivi di salute: il caro don Guido e il caro don Luigi, tuo compagno di ordinazione sacerdotale in quell’ormai lontano 1954, in quel giorno particolarmente benedetto per chi ti ha incontrato, come prete, nella sua vita.