Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Tarcisio Ghiotto (Campalto, Chiesa dei Ss. Benedetto e Martino - 30 ottobre 2018)
30-10-2018

S. Messa per i funerali di don Tarcisio Ghiotto

(Campalto, Chiesa dei Ss. Benedetto e Martino – 30 ottobre 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi presbiteri, diaconi, fratelli e sorelle,

in modo improvviso, alle prime luci dell’alba di martedì 23 ottobre, don Tarcisio ci ha lasciati.

In modo improvviso, sì, ma non imprevisto, perché da tempo la sua salute alternava momenti difficili, a volte critici, a periodi buoni che facevano seguito a recuperi inaspettati. Più volte le sue condizioni erano peggiorate ma don Tarcisio ci aveva abituato a riprendersi e sorprendeva poi tutti, anche i medici.

Ai nipoti, a don Giuseppe, ai familiari, agli amici e ai suoi vecchi parrocchiani, la nostra affettuosa vicinanza; insieme preghiamo per il nostro don Tarcisio.

Carissimi, la prima lettura è tratta dalla lettera di san Paolo agli Efesini; l’invito è guardare a Lui, al Signore Gesù, che, un giorno, trasformerà anche i nostri corpi mortali, conformandoli al suo corpo glorioso.

“Fratelli, la nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Ef 3,21-22).

Nella vita terrena – lunga o breve che sia – siamo chiamati a vivere il tempo presente sapendo che la scena di questo mondo passa. Noi siamo solo dei pellegrini incamminati verso una meta futura.

Don Tarcisio ebbe il dono di una vita lunga e così poté esercitare – secondo quanto gli consentiva l’età e la salute – il suo ministero sacerdotale per oltre sessantasei anni; tra gli altri incarichi ricordiamo che fu parroco a Lio Piccolo, a Ca’ Vio e a Tessera. Sempre volle essere e fu prete, solamente prete.

Di lui mi colpiva lo sguardo e il sorriso che dicevano un’anima serena, in pace con sé, con Dio e con il prossimo. Certo, solo Dio conosce il cuore dell’uomo ma l’impressione che ne ricavavo incontrandolo era questa. E via via questa impressione si confermava in me.

La lettura del suo testamento spirituale, una volta di più, ha rafforzato tale impressione. Sì, per il Vescovo e per i confratelli è una vera gioia quando si trova un confratello che esprime le virtù richieste ad un pastore.

Dicevo che la lettura del testamento spirituale è stata per me motivo di vera gioia; ne ringrazio il Signore.

Don Tarcisio, il 14 febbraio del 1967, appena quarantenne e prete da soli quindici anni, scriveva: “Varcato da alcuni giorni il mio quarantesimo anno di vita, ringraziando il Signore Dio… rinnovo la mia aperta, devota filiale professione di fede Cattolica, Apostolica, Romana, la mia totale devozione e sottomissione al Papa, Vicario di Cristo, successore di Pietro, pastore e guida delle anime, la mia incondizionata obbedienza al Patriarca, mio diretto superiore, l’espressione della mia sincera fraternità ai confratelli del Presbiterio…”. Poi aggiungeva: “Sono sacerdote di Cristo… e in questo stato di vita donata, desidero morire senza rimpianti di sorta… felice d’essere stato povero strumento di Gesù… nell’accettazione gioiosa del celibato sacerdotale, perché così ho voluto il Sacerdozio, per essere tutto di Dio e delle anime sia pure nei condizionamenti negativi e possibili miserie di questa natura umana ribelle alle esigenze di una totale consacrazione a Dio”.

Un altro significativo passo del testamento spirituale mi ha colpito. Vi ho trovato lo spirito delle Beatitudini che esprimono la vera forza rivoluzionaria del Vangelo, l’unica possibile e reale forza che nasce e si origina dalla grazia del santo battesimo che è immersione in Gesù Cristo morto e risorto.

È proprio in forza di tale rivoluzione che alla calunnia si risponde col perdono, all’animosità con la gentilezza, all’indifferenza con la premura e l’attenzione.

Questo è il cristianesimo che, chiamato in causa, risponde alla prova della vita; questo è il realismo del Vangelo che, posto dinanzi alle sfide del mondo, non viene meno.

È un Vangelo vissuto, espressione di una fede che si oppone alla tendenza insita nell’uomo di rispondere al male col male.

Il Vangelo secondo Matteo appena ascoltato – le Beatitudini – dichiara felici coloro che il mondo considera sfortunati, quelli a cui mai si vorrebbe assomigliare: i poveri, gli afflitti, gli insultati, i calunniati, i perseguitati… Si dà una reale rivoluzione o, meglio, conversione che si esprime in queste semplici parole: “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,12).

Proprio secondo tale logica, il 25 agosto 1994 don Tarcisio scriveva: “Il travaglio, poi, che ho dovuto sopportare nel clima della contestazione nell’ambito della comunità… posso dire di aver sofferto a causa di prese di posizione di persone a cui avevo sempre cercato di fare del bene… il Signore ha voluto mettere alla prova il mio debole carattere, facendomi soffrire per la reazione immotivata anche di certi buoni…  a quanti mi avessero fatto soffrire, offeso calunniato, criticato a tutti perdono di cuore assicurandoli del mio fraterno ricordo dal cielo”.

Nel salmo 96 (95) preghiamo dicendo: [il Signore] giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli” (Sal 96,13). Sì, alla fine, Dio sarà il giudice del mondo e il suo giudizio sarà secondo giustizia e verità; tutti saranno giudicati, nessuno escluso, attraverso l’atto vero e giusto che Dio, il Fedele, si è gelosamente riservato. L’evangelista Matteo ci avverte, quindi, su ciò che in quel momento varrà e non verrà meno e soprattutto si mostrerà resistente nel tempo.

Riporto, infine, ancora un passo che don Tarcisio scriveva sempre il 14 dicembre del 1967. Era il periodo in cui si avvertivano appieno gli effetti del boom economico, il consumismo, ed era anche il tempo della contestazione (il ‘68 era dietro l’angolo) in cui la protesta, in alcuni casi giusta, dilagò nella comunità civile e religiosa e per alcuni identificò la cifra stessa del vivere, portando ad uno spirito pregiudiziale di critica che li avrebbe poi limitati nel costruire.

“Ho cercato – scrive don Tarcisio – d’amare tutti, come Gesù ci comanda… senza escludere alcuno… di una cosa sola ci dobbiamo vergognare: di fare il male… Amate il Signore, servitelo fedelmente. Lottate con spirito di sacrificio per testimoniarlo nella realtà della vita, nel vostro ambiente. Siate fieri di essere cristiani, figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, membra della Chiesa. Ai miei parrocchiani… dico: vi porto nel mio cuore e vi offrirò sull’altare di Dio in cielo… Ricordatevi che quello che vale è la salvezza dell’anima, perché la vita è breve ed è l’eternità che vi deve preoccupare e interessare… Siate semplici e non lasciatevi ingannare dalla corsa al benessere… Conservate e consolidate la fede… esercitate la carità… Sappiate amare nel perdono delle offese. Guardiamo al Crocifisso, efficace punto di riferimento… Vi affido alla Madonna… onoratela in vita per averla avvocata in morte. A Lei, o mamme, affidate i vostri figli. Tutti mettetevi sotto la sua materna protezione”.

Caro don Tarcisio, ti portiamo nella nostra preghiera e sappiamo, dal tuo testamento, che tu ci ricordi al Signore dall’altare del cielo, quel cielo al quale tenevi fisso lo sguardo già durante gli anni della vita terrena.