Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione dell’inaugurazione della Scuola triveneta di formazione al diaconato permanente (Zelarino / Centro pastorale card. Urbani, 11 gennaio 2020)
11-01-2020

S. Messa in occasione dell’inaugurazione della Scuola triveneta di formazione al diaconato permanente

(Zelarino / Centro pastorale card. Urbani, 11 gennaio 2020)

Omelia del Presidente della Conferenza Episcopale Triveneto e Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Cari confratelli nell’episcopato e nel presbiterato, un saluto cordiale a tutti coloro che sono oggi qui presenti e, in modo particolare, ai nostri carissimi diaconi e diaconandi permanenti e alle loro spose.

Viviamo insieme l’Eucaristia nel giorno in cui – come Chiese del Nordest – inauguriamo quest’esperienza comune di formazione e preparazione al diaconato permanente e in un momento in cui siamo chiamati a ripensare e valorizzare tale ministero ordinato della Chiesa.

Costituire una Scuola triveneta con tale obiettivo è, insieme, certo un segno di unità e di comunione ecclesiale ma anche e soprattutto di attenzione e serietà nei confronti della vocazione e del ministero diaconale, nella consapevolezza del valore che il dono del diaconato rappresenta oggi per tutta la Chiesa ed in particolare per le nostre Chiese.

Il Vangelo (Lc 5, 12-16) che la liturgia della Parola di oggi ci ha posto davanti, nell’ultimo lembo di tempo natalizio, racconta uno dei molti incontri di Gesù con le ferite aperte della gente, con donne e uomini concreti, avvicinati nella loro umana e quotidiana singolarità, con tutte le povertà e le fragilità che accompagnano la vita di tutti.

L’intervento di Gesù appare pronto e diretto; la sua parola è efficace e subito “purifica” e salva. Nello stesso tempo – come annota l’evangelista Luca nella frase finale – Gesù si sottrae in modo deciso ad ogni tentativo di spettacolarizzare e strumentalizzazione sull’opera che compie, al punto che “si ritirava in luoghi deserti a pregare”.

L’ordinazione diaconale inserisce nel ministero del servizio e ci fa comprendere, appunto, che nella Chiesa il servizio non è solo inclinazione personale, dote umana o virtù morale ma è anche un ministero ordinato. L’ordinazione diaconale – che dona una nuova conformità a Gesù-servo del Padre e dei fratelli – è un sacramento, un ministro ordinato per servire la Chiesa e il mondo.

Chi è chiamato al ministero diaconale vive, così, la sua vocazione e il suo ministero unendo servizio all’altare (Eucaristia), annuncio della Parola e gesti concreti di carità che sa compiere guardando alle nuove e vecchie povertà, sia a quelle materiali che spirituali.

È tenendo insieme e vivendo insieme questo trittico – servizio all’altare, annuncio della Parola e gesti concreti di carità sapendola anche “organizzare” nel senso più nobile del termine – che il diacono annuncia la sua vocazione e contribuisce ad identificarla, facendola “crescere” nella Chiesa.

La carità cristiana – come sappiamo – nasce dall’altare e ritorna all’altare dopo aver fasciato le ferite dei corpi e delle anime; la carità cristiana incontra le ferite degli uomini e le porta all’altare unendole a quelle di Gesù; la carità del ministero diaconale è la carità stessa di Gesù, una carità che viene incontro, nel nostro oggi, lungo le strade delle nostre città e dei nostri paesi.

Solo Lui però è il Signore e il Salvatore, solo la Sua Parola e la Sua presenza sono in grado di sanare le ferite delle anime. E la carità cristiana compie – ossia porta a compimento – la solidarietà umana, andando oltre il benessere dei corpi per offrire la salvezza dell’uomo.

Nell’esercizio del ministero il diacono è chiamato, quindi, a vivere e ad annunciare le opere di misericordia corporali e spirituali, senza escluderne alcuna. Tali opere si sostengono a vicenda: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti danno linfa nuova a quelle corporali. E queste ultime esprimono la verità e la concretezza di quelle spirituali.

A somiglianza e in conformità con Gesù, anche i diaconi – oltre al servizio liturgico che rimane culminante nella vita della Chiesa, come insegna il Concilio Vaticano II – sono chiamati a percorrere le strade degli uomini e delle donne del nostro tempo che sono le strade delle anime, dei cuori, delle menti, dei corpi piagati e sofferenti che si incontrano spesso nelle pieghe dei nostri territori.

Ma per fare questo il diacono deve, innanzitutto, aver percorso con equilibrio, discernimento e consapevolezza – sotto la mano del Dio che è Misericordia – le strade della propria umanità e, attraverso di essa, riuscire a testimoniare la propria fede, carità e speranza.

Come ho avuto già modo di dire durante il Convegno delle Comunità diaconali tenutosi a Vicenza a fine luglio scorso, i diaconi sono chiamati a “testimoniare attraendo” e questo è possibile attraverso un modo d’essere pienamente umano che esprime, innanzitutto, affidamento a Dio insieme alla gioia e alla libertà nei confronti del mondo.

È importante che i diaconi e la comunità diaconale siano capaci di una testimonianza ricca di umanità e di sapienza, che confida in Dio più che negli uomini, capaci d’essere evangelicamente sale della terra e luce del mondo, abitando tutte le situazioni di oscurità che – per usare le parole di Papa Francesco – sono le periferie del mondo.

I diaconi, insomma, non temono di sporcarsi le mani camminando lungo le strade del nostro oggi per annunciare il Vangelo e portare la salvezza – ossia Gesù – che avvicina, si fa incontrare, tocca, parla, guarisce… E questo significa far crescere la Chiesa per “attrazione” e suscitare la fede in coloro che ancora non credono.

Come sono evangelicamente belle le figure di diaconi (e anche quelle di presbiteri, consacrati e fedeli laici) sereni, pazienti, non in balia dei loro stati d’animo, forti ed equilibrati nelle diverse situazioni della vita! Questo, però, dipende sempre da un atteggiamento di fondo: essere liberi, essere preparati e ben formati, essere distaccati da sé e dal giudizio degli altri, non voler fare notizia e non voler, per forza, stupire gli altri.

E quanto è importante che le persone e le comunità che beneficiano del servizio dei diaconi, ossia di coloro che hanno il compito di servire i poveri, percepiscano che – nel momento in cui essi pongono in essere i gesti propri del ministero diaconale – vi è una sintonia profonda con l’uomo interiore sanato dalla grazia e dall’esercizio di un ministero autentico.

Le parole invocate nella preghiera di consacrazione dei diaconi sono forti, solenni e impegnative. Le richiamo: “Ti supplichiamo, o Signore, effondi in loro lo Spirito Santo, che li fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compiano fedelmente l’opera del ministero. Siano pieni di ogni virtù: sinceri nella carità, premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel loro servizio, retti e puri di cuore, vigilanti e fedeli nello spirito” (Rito dell’Ordinazione dei diaconi, p. 145).

Per questo – per essere in grado di accogliere il dono di tale specifica chiamata ecclesiale, con l’impegnativo e connesso compito – diventa preziosa e fondante l’iniziativa della Scuola triveneta di formazione al diaconato permanente che oggi viene inaugurata ponendola sotto la protezione della Vergine Madre, la prima servitrice di Gesù e della Chiesa.

Ringrazio tutti coloro che, da tempo e a differenti livelli, hanno messo mano a questa Scuola per poterla ideare ed ora avviarla e sperimentarla, ad iniziare dall’arcivescovo delegato mons. Andrea Bruno Mazzocato e il coordinatore della commissione per il diaconato permanente della Cet mons. Dino Bressan, il preside della Facoltà Teologica del Triveneto mons. Roberto Tommasi, il direttore della Scuola mons. Matteo Ferrari e il segretario della Scuola il diacono Tiziano Civettini.

Il tempo del Natale ci ha più volte proposto l’immagine di Maria – la Madre di Gesù e Madre nostra – tutta presa nell’atteggiamento di chi, di fronte ai grandi avvenimenti della vita personale e della storia dell’umanità, “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

Proprio a Lei ci rivolgiamo oggi, nell’aprire quest’esperienza formativa, e alla Sua intercessione ci affidiamo perché ci conduca sempre e nuovamente al Suo Figlio Gesù e ci ottenga il dono di numerose e sante vocazioni al diaconato permanente.