Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della Tredicina di Sant’Antonio nella solennità della SS. Trinità (Padova / Basilica di Sant’Antonio, 12 giugno 2022)
12-06-2022

S. Messa in occasione della Tredicina di Sant’Antonio nella solennità della SS. Trinità

(Padova / Basilica di Sant’Antonio, 12 giugno 2022)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

con questa domenica, in cui la Chiesa celebra la solennità della Santissima Trinità, giunge a compimento la Tredicina di preparazione alla festa di Sant’Antonio che è, ormai, alle porte.

È stata sottolineata la forza e la profondità della predicazione del nostro Santo – iniziata 800 anni fa a Forlì e proseguita in tante parti d’Italia e nel Sud della Francia -, la sua capacità di parlare entrando in sintonia con ogni persona, facendo così comprendere, a chi lo ascoltava, la bontà e la verità di Dio e insieme la bellezza del mondo, opera della sua mano creatrice ponendo, in tal modo, i suoi carismi di predicatore a servizio dei poveri, dei deboli, degli indifesi e delle vittime delle ingiustizie.

In Antonio le opere di misericordia corporali (da cui deriva, in fondo, il pane benedetto) non furono mai separate dalla dottrina predicata con amore ed anche sacrificio personale.

Testimone del Vangelo con la parola e con la vita, uomo di pace e di giustizia, di concordia e di riconciliazione nell’esistenza quotidiana delle persone ed anche nelle vicende, spesso turbolente e tragiche (in quel tempo come oggi), delle città e del mondo intero, sant’Antonio è ancora davanti a noi come modello ed esempio.

In particolare, la sua personalità e le sue vicende umane ci insegnano che da un intenso e corretto rapporto con Dio – cercato, amato, adorato – discende un rapporto altrettanto bello e fecondo con le persone a cui si porta amore e pace; è la caratteristica propria dei santi – pensiamo a Caterina da Siena, Faustina Kowalska, Teresa di Calcutta, Charles de Foucauld, ma anche a Rosario Livatino e Pino Puglisi –, che sono riusciti a far scaturire dalla loro fede e dal rapporto con Dio una sorgente di vita nuova per le persone e la società, per le vicende personali, comunitarie, familiari e politiche.

“Il luogo dell’uomo è Dio; non ci sarà mai pace se non in lui, e quindi a lui si deve tornare” così si esprimeva il nostro santo (Sant’Antonio, Sermoni domenicali. L’Ascensione del Signore, paragrafo 5). Bisogna tornare a fare pace con Dio per acquisire quella pace “del tempo” – col prossimo – e “del cuore” – con se stessi – di cui ancora Antonio parlava spesso.

Bisogna riscoprire, quindi, il sacramento della riconciliazione, nella gioia di una vera – anche se ardua – conversione, come abbandono del peccato.

Attenzione: la nostra fede nel Dio Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo che è, insieme, unità e relazione ed è amore ricevuto, condiviso e donato – non è riconducibile e riducibile ad un’etica/ad una morale; non è un manuale di buone pratiche personali e sociali, non è un’idea o una filosofia di vita.

Eppure l’incontro col Dio Trinità che ha generato la nostra fede, a partire dal Battesimo, e la fede di quanti ce l’hanno trasmessa ha, a sua volta, suscitato una serie di azioni e movimenti capaci di trasformare la vita ed incidere sulla storia degli uomini.

La fede cristiana, infatti, non può rimanere una semplice istanza etica o morale; è sempre “teologica” e ci lega direttamente a Dio, che irrompe nella storia e la cambia con le sue conseguenze ed implicanze.

Per il discepolo la più piccola azione in favore di chi è nel bisogno (un gesto di vicinanza, segno di concreta di sussidiarietà) richiama, sempre, l’atto di fede; è un atto religioso, è un atto di valenza teologica, è il segno di quell’amore di Dio che – lo abbiamo sentito poco fa nella seconda lettura – “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).

Lo stesso brano evangelico, molto noto, del giudizio finale (Mt 25,31-46) ci dice che il criterio ultimo e fondamentale è ancora una volta Cristo: “…tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Ed anche la bella tradizione del “pane benedetto” di sant’Antonio dice, insieme, vicinanza concreta alle persone e riferimento costante (primo e ultimo) a Dio da cui viene ogni grazia e benedizione.

Anche in questo tempo non facile, Antonio ci viene incontro con il suo esempio; la sua parola di verità e di amore (frutto e dono dello Spirito, segno di docilità all’opera della Trinità in noi) e il suo pensiero teologico e spirituale scuotono le nostre scelte personali, sociali ed ecclesiali.

Ci aiuti oggi a comprendere il mistero della Santissima Trinità, ossia – per usare le parole del Santo – “un solo Dio Padre dal quale proveniamo, un unico Figlio per mezzo del quale esistiamo e un solo Spirito Santo nel quale viviamo; vale a dire: il principio al quale ci riferiamo, la forma, il modello al quale tendiamo e la grazia con la quale veniamo riconciliati“ (Sant’Antonio, Sermoni domenicali. Domenica VI dopo Pasqua, paragrafo 3).

Sant’Antonio, nella sua predicazione, diceva inoltre che “come nel denaro è impressa l’effigie del re, così nell’anima nostra è impressa l’immagine della Trinità (…) L’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di tutta la Trinità: per la memoria è simile al Padre, per l’intelligenza al Figlio, per l’amore allo Spirito Santo” (Sant’Antonio, Sermoni domenicali. Domenica XXIII dopo Pentecoste, paragrafo 10).

All’intercessione del Santo affidiamo oggi – giunti ormai ad oltre 100 giorni di guerra alle porte dell’Europa – la nostra invocazione e il nostro desiderio di pace, una pace non separata dalla giustizia e dal rispetto dei diritti umani ed internazionali fondamentali.

Con Antonio “preghiamo e supplichiamo la misericordia di Gesù Cristo perché venga e si fermi in mezzo a noi, ci conceda la pace, ci liberi dai peccati, estirpi dal nostro cuore ogni dubbio e imprima nella nostra anima la fede nella sua passione e risurrezione, affinché con gli apostoli e i fedeli della Chiesa possiamo conseguire la vita eterna” (Sant’Antonio, Sermoni domenicali. Domenica dell’Ottava di Pasqua, paragrafo 13).