Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della “peregrinatio” della reliquia di Sant’Antonio da Venezia a Padova (Padova / Basilica di Sant’Antonio, 13 giugno 2021)
13-06-2021

S. Messa in occasione della “peregrinatio” della reliquia di Sant’Antonio da Venezia a Padova

(Padova / Basilica di Sant’Antonio, 13 giugno 2021)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

l’Eucaristia che stiamo per celebrare nell’odierna solennità di sant’Antonio è il momento culminante di una giornata che ci ha visto pellegrini dalla basilica della Madonna della Salute a Venezia alla Basilica del Santo qui a Padova, attraversando non solo territori ma luoghi che, in quest’anno di pandemia, sono diventati spazi umani di sofferenza, di cura, di lutto e guarigione e che ora sono per noi luoghi della memoria e del riscatto, perché il futuro non ci sorprenda più.

Il senso e il valore del pellegrinaggio – dal Medio Evo, quando il suo carattere penitenziale era fortissimo – richiama anche oggi la volontà di ritornare a Dio, di rivolgersi a Lui, di convertirsi, ossia di camminare lungo le strade di Dio che ci fanno incontrare gli uomini.

Non è stato e non è un gesto folcloristico ma un andare, con gli altri, verso Dio, anche tramite il gesto fisico del camminare percorrendo le molte strade che attraversano le nostre città, i nostri paesi, proprio dove la gente vive le fatiche e le gioie quotidiane. Strade di terra e di acqua; ciò che ci sta a cuore è che sono le strade che vogliamo diventino di più i luoghi d’incontro e comunione.

Durante il tragitto ho ricordato coloro che hanno sofferto e chi ha pagato con la vita; in particolare – passando dalle parti di Mira e Borbiago – la dottoressa Samar Sinjab, medico di base, amata dai suoi pazienti, morta di Covid nell’aprile 2020 e poi sostituita dal figlio, anch’egli medico. Con lei vogliamo ricordare il sacrificio e il lavoro di tante persone (dalla sanità alle forze dell’ordine, da chi ha compiti di gestione e amministrazione della cosa pubblica alla protezione civile ecc.) che si adoperano per il bene e la salute di intere comunità locali.

Desidero anche rivolgere un pensiero a Marco Zennaro, veneziano, papà di tre bambini, che da oltre due mesi si trova in Sudan in stato di detenzione; la sua salute fisica e psicologica desta gravi preoccupazioni e confidiamo che le iniziative poste in atto a suo favore permettano di risolvere la complicata vicenda. Preghiamo affinché Marco possa al più presto essere restituito alla sua famiglia, così duramente provata da tale drammatica vicenda.

Farsi pellegrini risponde a un atto di fede che richiede l’impegno della conversione, un cambiamento di vita.

Il pellegrinaggio sulle orme di sant’Antonio ci ha condotti, come detto, da Venezia a Padova; il motivo è la peregrinatio della reliquia del Santo che da oltre tre secoli e mezzo è custodita presso la basilica della Madonna della Salute, amatissima dai Veneziani e dalle genti venete, e che (per la prima volta) viene solennemente esposta a Padova, per una settimana, prima di far ritorno – questa volta via acqua – in laguna.

Lasciamoci guidare dall’odierna liturgia e da Antonio per ricevere il “tesoro inestimabile”, ossia lo “spirito di sapienza” di cui ci ha parlato la prima lettura, tratta proprio dal libro della Sapienza (Sap 7,7-14).

Lo “spirito di sapienza” è necessario, soprattutto per noi, oggi, per discernere il tempo presente cogliendone le provocazioni, le sfide, le fatiche e le opportunità. Non nascondiamocelo: la ripresa sarà difficile, soprattutto per i più fragili.

La preghiera di colletta – all’inizio della Messa – ci ha ricordato che sant’Antonio ci è “donato” da Dio come “insigne predicatore e un patrono dei poveri e dei sofferenti” affinché “seguiamo gli insegnamenti del Vangelo e sperimentiamo nella prova il soccorso della… misericordia”.

Insigne e appassionato predicatore, tanto da essere proclamato da Pio XII “Dottore evangelico” per i suoi continui richiami al Vangelo, dotato di grande capacità d’attrarre la gente del suo tempo, Antonio ha portato quella Parola di Dio di cui noi oggi abbiamo più bisogno di ieri.

Sì, soprattutto coloro che vivono il tempo della prova e della sofferenza, ma tutti abbiamo bisogno d’esser “ristorati” in primo luogo dalla Parola di Dio, perché il “ristoro” che ci serve per ripartire davvero non è solo quello economico (pur necessario) ma dell’anima, del cuore.

Abbiamo bisogno di recuperare le motivazioni forti della vita cristiana e di una cittadinanza che sia degna della fede che professiamo, una fede non confessionale ma che rispetta e vede la religione come riferimento importante non solo per il passato ma anche per la coscienza attuale dei cittadini.

È quel “ristoro” che dà senso e forza e fa amare la vera sapienza, come s’esprime la prima lettura: “La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto… L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile” (Sap 7,8.10-11).

È quell’intreccio mirabile, ispirato dal Vangelo, che la tradizione cristiana ha sintetizzato nelle opere di misericordia materiali e spirituali, ad evidenziare la profonda unità dell’uomo e di come la fede cristiana tocchi profondamente ogni dimensione della vita.

L’uomo è un’unità vitale e attraverso questo suo essere – materiale e spirituale – si rapporta con Dio, con gli altri e la realtà che lo circonda. L’antropologia biblica – la visione dell’uomo secondo la Scrittura – ci dice che l’uomo è nefesh (respiro e soffio vitale), è dotato di ruâch (vento e soffio divino, forza che viene dall’alto) e anche basâr (carne, relazione sociale, l’umanità che ci accomuna non senza debolezze e fragilità). Ma l’uomo rimane un tutto, distinto e non separabile, anche se già ai tempi di Gesù accanto al concetto di “carne” dell’antica concezione ebraica compare una nuova espressione – guf – che significa “essere cavo, incavato” che richiama un qualcosa, un corpo, che ha bisogno d’essere riempito, abitato e completato da un’anima.

Praticare le opere di misericordia corporali e spirituali ci fa ritrovare l’unità e – per dirla con san Paolo – giungere “fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13).

Patrono dei poveri e dei sofferenti, Antonio è stato presto definito il “Santo dei miracoli” perché la sua fama di compiere prodigi – quando era in vita, subito dopo la morte e poi grazie alla sua continua intercessione – è stata sempre ben presente nel culto a lui riservato.

Parecchi miracoli furono attribuiti lui vivente – anche se ci sono storici che dibattono sulla veridicità di taluni fatti – ed alcuni sono stati immortalati col linguaggio e le raffigurazioni dell’arte (la predica ai pesci, la mula che si prostra davanti alle specie eucaristiche, le guarigioni ecc.).

Non mancano, peraltro, fonti antiche che attestano fatti prodigiosi con Antonio ancora in vita – alcune predizioni e profezie, la guarigione di una bambina rattrappita al passaggio del Santo per le vie di Padova ecc. – mentre non sussistono dubbi (ci furono ben due inchieste in proposito) sui miracoli operati dal Santo a favore di persone colpite da diversi tipi di infermità immediatamente dopo la sua morte e in occasione della traslazione della sua salma. Le inchieste arrivarono anche ad elencare, a mo’ di esempio e solo come alcune tra le tante, le più sicure, il numero e la tipologia di guarigioni operate “per i meriti del beato Antonio”.

Ma questa serie di prodigi non si è fermata – i frati del Santo potrebbero testimoniarlo per esperienza diretta – ed anzi arriva ininterrotta sino a noi, oggi, confermando ed anzi rafforzando il carattere di “taumaturgo” proprio di sant’Antonio, invocato, venerato, ringraziato e amato da fedeli di tutto il mondo.

La pagina del Vangelo di Marco ci presenta l’invio degli Apostoli alle genti, la missione loro affidata di annunciare il Vangelo a tutti e, insieme, “i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16, 17-18).

Qui ritroviamo la vita e la santità di Antonio, con i tanti prodigi che l’hanno accompagnato; soprattutto ci viene detto che Dio – di fronte a tante sofferenze e fatiche, non ultima la vicenda del Covid – non fa mai mancare il sostegno e la protezione ai suoi, in ogni tempo, ad ogni creatura che si riferisce a Lui con fede e fiducia.

Guai se la nostra preghiera fosse solo domande, ma guai anche se la nostra non fosse domanda! Il Padre nostro è una serie di domande e non domandare nella preghiera vuole dire mancare di umiltà. Non vergogniamoci, perciò, di domandare al Santo di intercedere per il nostro tempo, per le nostre famiglie, per i giovani e per gli anziani, per chi ha sacrificato la sua vita e per i tanti lutti che hanno segnato questi mesi.

Sì, anche oggi il Signore agisce in mezzo a noi e conferma il Vangelo con segni concreti del suo amore e della sua misericordia (cfr. Mc 16,20).

Per questo, il nostro peregrinaggio da Venezia a Padova con la reliquia di Antonio non ha nulla di magico o folcloristico; piuttosto, ci rimanda al Santo e soprattutto a Dio ed esprime la nostra fede nel Signore Gesù. Indica che Lui è presente e vicino a noi uomini e donne di oggi (anche nelle sofferenze e incertezze più grandi) e fa emergere il desiderio della santità, ossia di una vita piena e realizzata, capace di generare frutti di pace e bene, come è avvenuto per sant’Antonio.

Il pellegrinaggio ci ha permesso di vivere una vicinanza intensa col Santo e ci ha avvicinati, in modo più forte, a lui e all’unico nostro Signore.

La festa del Santo, vissuta secondo la modalità della peregrinatio, ci aiuti a comprendere che la santità è un percorso di crescita nella verità e nella carità, come Antonio ha ben attestato. È un percorso di salvezza che, dal dono sacramentale del Battesimo in poi, è affidato a ciascuno di noi affinché – come esorta la lettera agli Efesini – “agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, (..) cresce in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef 4, 15-16).

La santità è un cammino quotidiano, un cammino per tutti, un cammino di popolo. Sant’Antonio ci accompagni sempre lungo questo cammino e non ci faccia mai mancare la sua potentissima intercessione, per il bene e la salvezza di tutti noi e delle nostre comunità ecclesiali e civili.

Buona festa di sant’Antonio a tutti!