Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della Giornata per la vita consacrata e dei Giubilei di professione religiosa (Venezia - Basilica S. Marco, 5 febbraio 2017)
05-02-2017

S. Messa in occasione della Giornata per la vita consacrata

e dei Giubilei di professione religiosa

(Venezia – Basilica S. Marco, 5 febbraio 2017)

 Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

esattamente vent’anni fa, san Giovanni Paolo II istituiva per tutta la Chiesa la Giornata della Vita Consacrata. In tale occasione, noi ricordiamo anche le date giubilari di molti di voi, ai quali porgiamo il nostro augurio e, insieme, diciamo il nostro grazie al Signore

La Giornata della Vita Consacrata, comunque, non riguarda solo i consacrati e le consacrate, ma tutta la Chiesa. Infatti, oggi, tutta la Chiesa è chiamata a riflettere su quanto sia necessaria la testimonianza di quei battezzati – uomini e donne – che vivono i consigli evangelici di  povertà, castità, obbedienza.

Questa celebrazione – che ricorda anche i vostri giubilei – cade al termine dell’Anno giubilare straordinario della Divina Misericordia in cui siamo stati invitati a riscoprire Dio misericordioso che un giorno – venticinque, cinquanta, sessanta, settanta o settantacinque anni fa – ha posato lo sguardo su di voi, come fece per il giovane ricco, vi amò e vi invitò a seguirlo per sempre (cfr. Mc 10, 17-27; Mt 19 16-30;Lc 18,18-30).

I consacrati e le consacrate sperimentano la misericordia di Dio non solo per sé ma, anche, per il mondo; portano le angosce e le attese di tutti gli uomini. Così, tanto nella vita religiosa quanto secolare, dicono con la loro scelta la misericordia del Signore che salva e, quindi, che il mondo è salvato.

Nella lettera ai consacrati e alle consacrate Papa Francesco aveva indicato gli obiettivi su cui compiere discernimento; riprendiamoli, di nuovo, uno ad uno.

Il primo obiettivo che il Santo Padre poneva era: guardare il passato con gratitudine. Ogni famiglia religiosa ha alle sue spalle una ricca storia di grazia, un carisma. In modo unico, alla sua origine, è presente l’azione di Dio che, attraverso lo Spirito, chiama alcuni alla sequela più ravvicinata di Suo Figlio per vivere ed esprimere il Vangelo in una particolare forma di vita e leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, rispondendo così – con fedeltà e creatività – al Vangelo e ai molti bisogni della comunità, della Chiesa e del mondo.

Il secondo obiettivo era vivere il presente con passione. La grata memoria del passato spinge, infatti, a un ascolto attento di quello che oggi lo Spirito dice alla Chiesa per realizzare in modo vero e concreto la vita consacrata.

Il terzo obiettivo chiedeva con insistenza di abbracciare il futuro con speranza. Tutti abbiamo innanzi le numerose difficoltà che oggi la vita consacrata incontra nelle sue molteplici forme. La diminuzione delle vocazioni, l’invecchiamento dei membri delle comunità, difficoltà presenti  soprattutto nel mondo occidentale, sono più che sufficienti a farci comprendere le difficoltà cui siamo chiamati a rispondere vivendo meglio – personalmente e comunitariamente – il carisma della nostra famiglia.

Il Vangelo di Luca ci propone le figure di Marta e Maria a Betania; questa scena evangelica deve essere più familiare e presente alla Chiesa di ogni tempo, anche alla nostra, perché il Vangelo è sempre Parola di Dio valida ieri, oggi e sempre: «Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”» (Lc 10,38-42).

Questa parola di Gesù, particolarmente in epoche in cui tutto si gioca sull’efficientismo che è cosa ben diversa dall’efficacia, sull’ “apparire” che è cosa diversa dall’esser presenti, sull’estetica che è altro dall’amore per la bellezza, intesa come la veritatis splendor.

Luca, così, ci ricorda che per Gesù c’è una “precedenza”, c’è un “meglio”, c’è un qualcosa che “mai verrà meno” e mai verrà tolto; Maria seduta ai piedi di Gesù è immagine evangelica del dono totale di sé a Gesù.

La particolare consacrazione non ritiene che preghiera e contemplazione siano solamente per le persone consacrate ma, piuttosto, che la vita si caratterizza per ciò che in essa viene prima (non cronologicamente), per una priorità che diventa “forma” dell’intera esistenza; nella vita religiosa Dio è, quindi, Colui col quale ci si rapporta direttamente ed è proprio attraverso tale priorità che ci possiamo incontrare col prossimo, con ogni altra realtà, con tutte le persone.

Non dobbiamo dimenticare che quanti nella Chiesa hanno condotto una vita attiva – i grandi missionari – sono stati sempre persone segnate  profondamente dalla preghiera, da un forte rapporto con Dio. Un legame strettissimo unì l’apostolo Paolo a Gesù dopo che, sulla via di Damasco, il giovane Saulo fu sbalzato dalla sua storia personale e dal radicamento alle sue convinzioni; tutto ciò che vi era prima in lui si fa ora chiaro e tutto si comprende ormai come attesa, preparazione della luce.

Carissimi, su un punto – ancora – desidero soffermarmi: tutti ricordate il vostro impegno di fedeltà e, per la Chiesa, siete segni eloquenti dell’unione esclusiva e immediata fra la Chiesa-Sposa e Gesù-Sposo.

L’apostolo Paolo, come richiamato, è stato prima uomo di preghiera. All’inizio della sua vita missionaria – inspiegabile, se rimaniamo solo sul piano umano – si dà la scelta della preghiera, del silenzio, del ritiro dal clamore del mondo; insomma, la scelta di Dio è al primo posto. Lui stesso lo attesta all’inizio della lettera ai Galati (cfr. 1,17); l’Apostolo delle genti, pone così il silenzio, il nascondimento, l’orazione, ovvero Dio, prima di ogni impegno missionario.

Questa è l’esperienza che, prima di lui, hanno fatto nell’Antico Testamento grandi personaggi della storia della salvezza come Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Elia e che, dopo di loro, hanno fatto Pietro, Paolo, Andrea e, poi, Agostino, Benedetto, Scolastica, Francesco, Chiara, Teresa, Giovanni della Croce.

Il deserto è, per eccellenza, luogo biblico dell’incontro con Dio, dove si è chiamati a far esperienza del Signore e del suo Mistero, dove il popolo vive, insieme, fedeltà e ribellione, intimità e lontananza da Dio.

Nella lettera ai Galati leggiamo: “…quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da color che erano stati apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme” (Gal. 1,15-18).

Si tratta di un vero monito sempre attuale e sempre valido per i cristiani di ogni epoca e, quindi, anche per noi oggi. Paolo – il più grande missionario della Chiesa – ha posto all’inizio e prima di ogni attività apostolica il silenzio, l’intimità e l’incontro col Signore; per tre anni, in silenzio, da solo, immerso nella contemplazione, sotto lo sguardo di Dio. L’Arabia – di cui parla la lettera ai Galati – va individuata, molto probabilmente, nella zona desertica a sud di Damasco; lì Paolo stette alla presenza di Dio che gli si era manifestato al di là di ogni percorso e sapere umano.

Carissime sorelle e carissimi fratelli, la vita di speciale consacrazione – la vostra vita – è preziosa, è necessaria alla Chiesa, l’arricchisce; con essa esprimete in modo tutto particolare la vostra personale e piena donazione a Cristo-Sposo nella fedeltà a Lui per sempre.

Per Suo amore siete chiamati a essere segno vivente della libertà cristiana, attraverso la scelta della povertà, verginità e obbedienza affrancati da voi. Il vostro non è, quindi, un no rivolto ad un legittimo uso delle cose (che però possono sempre arrivare a dominarci); non è neppure un no – nel senso “negativo” – detto all’amore fra l’uomo e la donna (immagine di Dio); non è, infine, un no che viene detto a quanti limitano la nostra libertà per non cadere nell’arbitrio.

Carissime sorelle e fratelli, voi rinunciate liberamente a tante cose perché il vostro cuore è già colmo di Dio, di Lui, l’unico necessario che quando è incontrato attraverso voti realmente vissuti è il bene della propria vita.

È stato così per Teresina di Lisieux. Scegliendo di vivere in un ambito circoscritto – la clausura – rinunziò, per così dire, anche allo “spazio” e, con esso, a contatti legittimi e buoni; tutto ciò per vivere in modo ancora più oblativo la corporeità. E la clausura diventa, quindi, per le sorelle e i fratelli che la scelgono, un modo di donare il proprio corpo al Signore immettendosi e ritrovandosi più intimamente nel Mistero Eucaristico che è il corpo-reale di Gesù (cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, n. 59).

Qualunque cosa faccia un consacrato o una consacrata – attraverso il libero dono o consacrazione di sé -, essi si trovano al centro della Chiesa che, continuamente, viene edificata dalla Santissima Eucaristia: il Corpo di Gesù dato e il Sangue effuso per la salvezza del mondo.

Alla vostra preghiera, carissime sorelle, carissimi fratelli, affido la nostra amata Chiesa che è in Venezia, in modo particolare i sacerdoti e i seminaristi. E vi esorto a farvi carico nella preghiera, soprattutto, delle vocazioni al ministero ordinato, di speciale consacrazione a Dio, oltre a quelle matrimoniali.

Maria, la piena di grazia, vi conduca tutte e tutti sulla vostra via di Damasco, così da vivere l’intimità con Dio nella quotidiana fedeltà al carisma della vostra famiglia religiosa e dei vostri istituti di consacrazione.

Concludiamo col riferimento a Maria che troviamo al termine della lettera di Papa Francesco ai consacrati e alle consacrate: “A Lei, figlia prediletta del Padre e rivestita di tutti i doni di grazia, guardiamo come modello insuperabile di sequela nell’amore a Dio e nel servizio al prossimo” (Papa Francesco, Lettera Apostolica del Santo Padre a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, III, 5).