Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione del 350° anniversario della dedicazione del Duomo di San Nicola a Motta di Livenza (Motta di Livenza, 25 giugno 2022)
25-06-2022

S. Messa in occasione del 350° anniversario della dedicazione del Duomo di San Nicola a Motta di Livenza

(Motta di Livenza, 25 giugno 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Ringrazio Sua Eccellenza Monsignor Corrado Pizziolo per l’invito a presiedere l’Eucaristia in questo giorno di festa per la comunità ecclesiale di Motta di Livenza. Saluto l’arciprete e le autorità, i confratelli sacerdoti, i diaconi, le persone consacrate, i fedeli laici.

Si ricorda, oggi, il 350° anniversario della dedicazione di questo luogo di culto intitolato a san Nicola; qui la storia si intreccia con la vita di una comunità, ne racconta la fede ed è occasione per “ricentrare” la nostra vita personale e comunitaria sul Signore Gesù.  È da Lui che tutto prende senso, è in Lui che noi celebriamo il culto “in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano”; sono queste le parole, tratte dal Vangelo appena proclamato (cfr. Gv 4,19-24), che Gesù rivolge alla donna samaritana.

Il culto è, secondo la rivelazione cristiana, l’atto con cui una creatura raggiunge la sua pienezza, il suo fine ultimo; liturgia – nel suo significato originario (greco) – significa azione per il popolo e del popolo.

È il gesto con cui la comunità ecclesiale è unita a Cristo nell’atto in cui Egli si offre al Padre; è, per eccellenza, l’atto in favore del popolo di Dio e che il popolo di Dio può compiere. Questo è il senso della dossologia che il celebrante recita o canta al termine della preghiera del canone: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli”.

E il Catechismo della Chiesa Cattolica lo esprime con queste parole: “Gesù ha rivelato che Dio è «Padre» in un senso inaudito: non lo è soltanto in quanto Creatore; egli è eternamente Padre in relazione al Figlio suo unigenito, il quale non è eternamente Figlio se non in relazione al Padre suo: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27)” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 240).  

Lo spazio dell’edificio liturgico, quindi, non è tanto un luogo fisico costruito per accogliere i fedeli; in realtà è – o dovrebbe essere – è uno spazio plasmato dall’azione sacra che vi si celebra. Cristo risorto e rivolto al Padre è il vero sacerdote celebrante, il vero liturgo.

Dio non può essere contenuto in uno spazio circoscritto, “costretto” in una chiesa, perché – come ci ha ricordato la lettura tratta dagli Atti degli Apostoli – Dio “non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo” (cfr. At 7,44-50); nonostante ciò, un tale luogo è importante perché esprime – per una comunità e in un territorio – il richiamo a Dio.

A tutti i cristiani e in particolare ai seminaristi prima dell’ordinazione, chiedo di partecipare – almeno una volta – alla liturgia della consacrazione di una chiesa. Si tratta di una liturgia e, quindi, di un’azione viva (con testi, riti, gesti, simboli) che, più di tante disquisizioni teologiche, introduce nel mistero del sacro come sorgente di vita per la comunità ecclesiale.

Celebrare la festa della dedicazione di una chiesa – tanto più se è il Duomo o, meglio, una chiesa cattedrale – richiede perciò di non considerare l’edificio-chiesa come una realtà funzionale alla recezione di un certo numero di persone. Una chiesa è luogo sacro che racconta la fede della comunità che vi si ritrova e che rimane fedele a quel gesto nei secoli.

Lo spazio sacro è ricco di segni ed ognuno di essi merita un’attenzione specifica: l’altare con le reliquie dei martiri o dei santi, l’ambone da cui viene annunciata la Parola, il tabernacolo, il confessionale luogo della riconciliazione, il campanile col rintocco delle campane, la porta e lo stesso sagrato. Sono come rivi preziosi che vanno a formare il grande fiume della grazia di Dio che si riversa attraverso la celebrazione dei sacramenti.

Tutta la chiesa è – per eccellenza – il luogo della preghiera, del silenzio e dell’adorazione, del canto, del dialogo liturgico; è lo spazio che invita a far nostra la dimensione “verticale” della vita oltre a quella “orizzontale”.

In una società sempre rivolta alle cose “terrene” ed incline al fare e al possedere, l’edificio-chiesa si pone all’attenzione dei cristiani e della città come spazio rivolto alla trascendenza, un orizzonte offerto alla nostra vita, uno squarcio verso il cielo, un luogo per tornare a guardare il buon Dio ed essere guardati da Lui.

Questo Duomo – di cui ricorrono i 350 anni dalla dedicazione – è intitolato a san Nicola e le reliquie di questo Santo legato alla devozione del popolo – custodite nella chiesa di S. Nicolò del Lido di Venezia – hanno compiuto una vera peregrinatio fidei rinfrancando la fede di molti.

Il culto dei santi fa parte della nostra fede e queste nostre terre hanno sempre coltivato e portato avanti, in rapporto con la vita quotidiana, una viva religiosità popolare che – pur richiedendo una continua purificazione – rappresenta un valore fondamentale nella trasmissione della fede, di generazione in generazione.

Attorno alle memorie dei santi e alle feste dei patroni – nello scorrere dei secoli – si è costruita la vita di singoli e di comunità, di paesi, contrade e città. Anche nella nostra memoria sono sicuramente presenti tanti di questi momenti.

Riferirsi ad un Santo, in questo caso Nicola, ci riporta soprattutto ad una fede che – in diversi momenti della storia, non meno facili di quelli odierni – ha segnato persone e comunità, generando una testimonianza di santità che ha segnato la vita quotidiana della gente dicendo qualcosa di significativo e popolare, in un linguaggio accessibile a tutti.

Sì, pure i pellegrinaggi nei luoghi santi delle nostre contrade conservano valore e significato; sono un cammino di vita e fede da percorrere in compagnia dei santi venerati dalla Chiesa – “amici di Dio” -, al seguito della Vergine Maria, la prima discepola, la Regina di tutti i santi.

Pellegrini in compagnia dei santi: è la nostra “condizione” umana. Pellegrini con lo sguardo rivolto a coloro che hanno guardato Gesù e il Suo Vangelo, giungendo a cambiare la loro vita, convertendosi e quindi lasciando il male.

Percorrendo una via di santità anche la nostra vita può cambiare e far fiorire quei doni di grazia che, dal battesimo, ci sono offerti e che in questo luogo, da secoli, sono continuamente vissuti ed elargiti.

Sappiamo – lo attesta la storia di questa terra – che se l’anniversario odierno parla dei 350 anni della dedicazione dell’attuale chiesa, la presenza cristiana, a Motta, è ben più antica – basti pensare alla prima chiesa paleocristiana (l’antica pieve matrice intitolata a S. Giovanni Battista) – e ci riporta ai secoli originari delle prime comunità cristiane. A Motta attorno al X secolo già vi era una pieve intitolata proprio a san Nicolò.

La vita del patrono, san Nicola, mostra che egli fu una persona libera, capace di indicare strade nuove o anche ingiustizie e storture da emendare.

Colpisce la “popolarità” di san Nicola in Triveneto ed è un legame vissuto con gioia perché un santo rasserena e dà forza, genera unità e comunione tra le persone e le famiglie, atteggiamenti oggi particolarmente utili e, prima ancora, doverosi. La santità lascia sempre dei segni e regala a tutti qualcosa che non è quantificabile in modo strettamente razionale ma fa emergere la nostalgia del bene da cui può nascere una nuova visione e modalità di vita.

Ricordare l’anniversario della consacrazione del Duomo, tenendo fisso lo sguardo su un santo come Nicola, ci dà l’opportunità di ritornare alla nostra originaria (battesimale) adesione al Signore Gesù che è, nella sua persona, il vero tempio. In Lui, infatti, scrive l’Apostolo Paolo, “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza” (Col 2, 9-10).