Omelia del Patriarca nella S. Messa durante la Tredicina del Santo (Padova / Basilica di S. Antonio, 10 giugno 2017)
10-06-2017

S. Messa durante la Tredicina del Santo

(Padova / Basilica di S. Antonio, 10 giugno 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

Per la liturgia della Chiesa – che manifesta, nella preghiera, la fede della Chiesa – è oggi la Solennità della Santissima Trinità. I santi hanno a che fare con Dio e il mondo ha bisogno dei santi perché i santi hanno la loro storia con Dio da comunicare a noi.

Vorrei qui riflettere su alcune caratteristiche della vita di Antonio perché ci aiutino a portare a casa un pensiero che ci accompagni e dia un senso alla nostra vita in questi giorni.

Sappiamo che Antonio ha avuto vita breve, circa 36 anni in tutto, e sappiamo anche che è legato alla città di Padova in modo unico; nato a Lisbona è però conosciuto come Sant’Antonio “di” Padova. Tanto che si dice: il Santo, la città del Santo, la basilica del Santo.

La cosa che colpisce è che Antonio, al di là della sua vita breve, rimase a Padova solo tre anni. Cosa vuol dire per la nostra vita cristiana di tutti i giorni? Vuol dire che la santità – la grazia – è agile, non ha bisogno di tempi lunghi.

Noi uomini siamo appesantiti – e anche arricchiti, certo! – dal corpo che si muove secondo le leggi di spazio e tempo. La santità allora è un invito ad andare oltre e a capire che ciò che conta nella vita, in una comunità e in una persona non è la lunghezza del tempo.

Noi abbiamo dei santi che ebbero una vita lunghissima, centenaria (mi viene in mente, ad esempio, san Raimondo di Peñafort) ma abbiamo anche dei santi che il Signore ha chiamato a sé prestissimo (come san Luigi Gonzaga o santa Teresina di Lisieux). È, questo, un messaggio importante che ci dà il Signore: misurare secondo lo spazio e il tempo appartiene sì all’uomo ma noi siamo anche invitati a capire che ciò che conta, nella vita cristiana, è l’intensità dell’amore.

Perché sant’Antonio è legata indissolubilmente  alla città di Padova pur essendoci rimasto per soli tre anni, dal 1228 al 1231, tanto da essere noto e indicato come Antonio “di” Padova? Perché ha amato intensamente questa città!

In questa intensità d’amore ecco anche i miracoli, che sono così faticosi da accettare per una mentalità odierna che tutto vuol verificare e sperimentare – e, in parte, questo è anche giusto – anche se la ragione è veramente tale se riconosce che si sono un’infinità di cose che la superano. Ma il miracolo è il segno dell’amore di Dio. I santi non hanno mai enfatizzato il dono del miracolo, hanno semplicemente invitato chi era beneficato da quel gesto ad andare sempre a Colui che l’aveva originato e, cioè, l’Amore.

Quella prima Quaresima di Antonio a Padova, nel 1228, corrisponde al periodo cosiddetto della “rifondazione cristiana” di Padova, una città ormai rinata dopo l’incendio di 50 anni prima e da poco era stata fondata l’Università.

Così Antonio, nel 1228, si dona completamente alla città di Padova annunciando le meraviglie di Dio, con una predicazione che ha il coraggio di dire le meraviglie di Dio e che non si appiattisce su luoghi comuni. E che ha il coraggio di dire che l’uomo diventa grande quando riconosce la grandezza di Dio.

Antonio ebbe questo coraggio e rifondò cristianamente la città di Padova che stava rinascendo e stava compiendo passi importanti nell’ambito della cultura ma che era vicina anche a quella Marca trevigiana che era definita la “Marca dell’amore” a causa della vita abbastanza spensierata dei suoi abitanti.

Antonio ebbe il coraggio di dire Gesù Cristo e di dirlo con amore! E allora le chiese non bastavano a contenere le persone del popolo che si recavano ad ascoltare colui che Francesco d’Assisi aveva definito “il mio vescovo”.

E sappiamo come quest’uomo (Antonio), con la sua sapienza e capacità di predicatore, fu tirato fuori quasi “a forza” da un certo anonimato quando si trovava in un monastero di Forlì e c’era bisogno, con l’aiuto dello Spirito Santo, di un nuovo predicatore. Lo trovarono in questo giovane frate che, prima, era impegnato in cucina e in lavori anche molto umili.

Guardiamo a questa figura, allora, come si deve guardare ai santi, ossia gli amici di Dio. I santi sono coloro che trascorrono molto tempo in preghiera vivendo la verità della carità e vivendo la carità nella verità, perché la carità senza verità non “gira” e la verità senza carità ferisce. I santi sono coloro che hanno passato le notti in preghiera e le giornate ad annunciare la verità della carità e la carità della verità

Guardiamo ad Antonio come dobbiamo guardare a tutti i santi e crediamo che la santità è per noi, è iscritta per ciascuno di noi nel “contratto” battesimale. Perciò san Paolo si riferiva ai cristiani di Corinto, o di Efeso, chiamandoli semplicemente “santi”.

E allora la cosa più importante da fare, tornando nelle nostre case, è comprendere che qualunque vocazione stiamo vivendo nella Chiesa –  papà, mamma, operai, professionisti, religiosi, sacerdoti, giovani, anziani, malati, sani ecc. – abbiamo un compito preciso: essere santi, cioè vicino alla gente e dicendo alla gente le “cose mirabili” di Dio. E portando a Dio, soprattutto nella nostra preghiera, le ferite e le sofferenze della nostra vita e delle persone che abbiamo incontrato e che ancora incontreremo.

Sant’Antonio ci aiuti ad essere fondati nella santità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.