Omelia del Patriarca nella S. Messa durante il pellegrinaggio mariano diocesano a Catene / Marghera (4 marzo 2017)
04-03-2017

S. Messa durante il pellegrinaggio mariano diocesano a Catene / Marghera

(4 marzo 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Stiamo vivendo il pellegrinaggio mariano nel tempo di Quaresima. La Quaresima è un itinerario; è quindi un camminare, un andare con il Signore Gesù e salire con Lui a Gerusalemme. Questo pellegrinaggio non ha, quindi, bisogno di nostre indicazioni particolari perché è la liturgia stessa di questi giorni, di queste settimane, a dare l’indicazione stradale ad ogni cristiano.

Molte volte noi riduciamo il cristianesimo ad una teoria e dovremmo avere anche il coraggio di dire che certe altre volte lo riduciamo a una serie di norme che abbiamo ereditato; dei gesti e degli adempimenti che, però, non ci mettono più in contatto col Signore. Qualche volta ci può capitare di dire una preghiera abituale – come l’Ave Maria, il Padre nostro – e… alla fine non sapere neppure cosa abbiamo detto. Dobbiamo, allora, cercare di entrare nella vita cristiana pensando che la vita cristiana è una realtà: è stare con il Signore.

Il nostro battesimo non può essere un certificato ingiallito in un registro di qualche archivio parrocchiale della Diocesi. Certo, c’è una memoria: quando siamo stati battezzati, chi ci ha battezzato, chi ha chiesto il nostro battesimo, chi era il padrino o chi era la madrina… Ma – guardate – o il battesimo mi accompagna al mattino quando mi alzo, durante la giornata, nei momenti felici e in quelle infelici oppure il cristianesimo è ridotto a dei gesti e ad una fatica umana… Ecco perché, molte volte, non “sentiamo” Gesù nella nostra vita.

Al cristiano, in fondo, basterebbe seguire bene la liturgia: l’anno liturgico. la domenica, la preghiera quotidiana. La preghiera ci “porta” e cambia la nostra vita; se nella nostra vita non c’è la preghiera o se la preghiera illanguidisce, si appanna o si riduce a qualche formula recitata per abitudine più con le labbra che con il cuore – e meno male, a volte, che c’è quest’abitudine, intendiamoci! – allora succede che, dopo un po’, Gesù non è più nella nostra vita. E lo avvertiamo.

L’anno liturgico è lasciarsi prendere per mano dal Signore: l’Avvento, il Natale, la Quaresima, la Pasqua, quel tempo “ordinario” che noi vediamo e percepiamo come tempo segnato dal colore “verde” (le domeniche “verdi” sono le più numerose nell’anno). Tutto ci dice che quello che hai vissuto nell’Avvento – l’attesa del Signore nella tua vita -, nel Natale – la nascita del Signore nel tuo cuore -, nella Quaresima – l’aver accompagnato Gesù a Gerusalemme – e nel tempo di Pasqua – aver vissuto la gioia della resurrezione – ora lo vivi nel tempo feriale e “ordinario”, il tempo “verde”.

Quando la liturgia non è più presente nella nostra vita vuol dire che la nostra vita cristiana è diventata solo uno sforzo umano, ascetico. C’erano anche delle scuole di filosofia che parlavano dello sforzo dell’uomo per essere uomo. Ma arrivavano a che cosa? Ad un grande pessimismo. Perché l’uomo, da solo, non si può salvare.

Nella nostra vita cristiana dovremmo avere alcuni punti indiscutibili e sui quali riflettere. Uno di questi punti sapete qual è? È questo: più noi ci avviciniamo a Dio, più noi ci avviciniamo  a Gesù Cristo, più noi diventiamo uomini e donne. Non ho detto diventiamo più cristiani: in gioco è la riuscita del nostro essere uomini e donne.

Il punto fondamentale è che noi, molte volte, pensiamo che quando ci sono i problemi umani il Vangelo va messo un po’ da parte… Non abbiamo il coraggio, la forza, che hanno avuto i santi. Perché il coraggio e la forza dei santi – con modalità diversissime a seconda dell’epoca del santo – avevano un elemento comune in tutti: credevano che vivere il Vangelo li rendeva uomini e donne “pieni”.

A noi, invece, rimane il dubbio che… va bene quando andiamo in chiesa, quando facciamo la novena dei morti, quando facciamo il mese di maggio… E, in fondo, pensiamo: quando vado messa la domenica è un conto ma, poi, nel quotidiano, so io come comportarmi…

Il Vangelo costruisce se lo si ascolta, rende felici se entra nella nostra vita. Il battesimo, l’anno liturgico, è semplicemente lasciare che il Signore entri nella nostra vita e ci renda pienamente uomini e pienamente donne. Ci sono delle parti del Vangelo che mirano soprattutto a creare l’uomo.   E voler essere pienamente uomini e pienamente donne vuol dire ascoltare e vivere il Vangelo, lasciare che il Vangelo entri nella nostra vita e scommettere sul Vangelo.

Che cos’è la fede? Credere che, al di là del mio buon senso umano e al di là della mia visione  umana – che ha un valore, intendiamoci, e non è detto che debba essere messa da parte  -, ad un certo momento, al di là di tutto, c’è il Vangelo. Se certe pagine del Vangelo fossero prese sul serio nella mia vita personale, nelle nostre famiglie, nella nostra vita sociale e nella politica…  anche i telegiornali sarebbero molto diversi!

Guai se noi arriviamo a pensare che Gesù Cristo va bene in chiesa ma poi, fuori della chiesa, c’è un altro modo di intendere le cose… È come se noi vivessimo una sorta di schizofrenia, divisi in due. Ascoltiamo anche il Vangelo con le sue pagine difficili e impegnative, con le sue pagine belle, ma una volta che le abbiamo ascoltate siamo come nella descrizione della lettera di Giacomo che dice: certe volte si ascolta e si legge la Parola di Dio e si è un po’ come quegli uomini che si guardano allo specchio e subito se ne vanno e non ricordano l’immagine…

Quando noi usciamo da un momento di preghiera personale, da un momento di preghiera liturgica, quando stiamo vivendo personalmente comunitariamente un tempo liturgico, dovremmo avere il coraggio della fede. Altrimenti… quello che ho ascoltato, quello che ho pregato, quello che ho meditato, quello che ho condiviso, quello che mi ha annunciato il parroco in chiesa rimane solo dentro un luogo, l’edificio-chiesa?

Avete mai fatto caso a come finiva, una volta, la messa? Adesso ci sono alcune variazioni, ma in genere si usa la formula: la messa è finita, andate in pace. (Finalmente!). Potrebbe anche essere un moto dell’anima… E, invece, fate attenzione: la messa è finita – cioè completata -, andate in pace. Leggete la fine del Vangelo di Marco e anche quello di Matteo: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). La messa è finita: andate, inizia la missione.

E allora ognuno di noi diventa un annuncio ma quando si dev’essere annuncio e non lo si è… si diventa un “controvangelo”! La messa è finita: adesso vai, annuncia, di’ chi è Gesù. Ma non dirlo attraverso dei discorsi o, meglio, non dirlo solo attraverso dei discorsi, dillo con la tua vita. Dillo salutando il tuo condomino, dillo sorridendo alla persona che incontri, dillo cedendo il passo a una persona, dillo salutandolo per primo. E poi ci sono tanti altri modi, mille modi, per testimoniare il nostro battesimo e il fatto che apparteniamo a Gesù, che siamo o cerchiamo di essere un’umanità nuova.

Una Chiesa in uscita, una Chiesa evangelizzatrice, è una Chiesa che prima di tutto guarda alla periferia del proprio cuore e si domanda una cosa: Gesù è ancora presente oppure è emarginato, magari attraverso degli adempimenti, dei compimenti, delle formule che però non riescono più a parlare al nostro cuore? E questo non perché la formula, l’adempimento, il rito non siano importanti ma perché noi – magari poco alla volta – abbiamo svuotato quel rito, quella formula, quel gesto.

Abbiamo il tempo di Quaresima, abbiamo la Settimana Santa, abbiamo il Giovedì Santo, abbiamo il Venerdì Santo, abbiamo la messa della Veglia pasquale: cerchiamo, dunque, di essere una comunità che vuole accompagnare Gesù verso Gerusalemme.

Poco fa abbiamo recitato e meditato i misteri della luce. Sono i misteri della vita di Gesù: il suo battesimo e poi l’umano che diventa occasione e momento di grazia: «Non hanno vino» (Gv 2,3) e Gesù compie il primo “segno”. Molte volte accettare e affrontare le situazioni umane ci fa incontrare il Signore, non solamente – come noi pensiamo –  nelle situazioni straordinarie della nostra vita, siano esse positive o negative. Vi ricordate quando il profeta Elia raggiunge l’Oreb? Dio non è presente nel terremoto, Dio non è presente nel fuoco, Dio non è presente nel vento che sradica ogni cosa; Dio è presente nella brezza leggera (cfr. 1Re cap. 19). Ecco: gli avvenimenti di tutti i giorni, la quotidianità, incontrare il Signore nel quotidiano.

Abbiamo meditato poi anche Gesù che annuncia il Regno. Sul frontone di questa chiesa è segnato: si entra per pregare, si esce per amare. Un bell’esame di coscienza, una bella responsabilità, un’indicazione che ci scava dentro… E poi la trasfigurazione. Molte volte il Signore decide di parlare a noi e agli altri attraverso gli altri e attraverso di no; sentiamola questa responsabilità! L’evangelizzazione battesimale è mostrare un’umanità diversa, l’umanità di Cristo.

E l’ultimo mistero che abbiamo meditato è l’eucaristia. Quando abbiamo il battesimo e l’eucaristia abbiamo tutto; sono i sacramenti che danno la pienezza cristiana. Poi si può essere religiose, diaconi, presbiteri, vescovi, sposati… ma la ricchezza comune – il tutto – ci è dato nel battesimo (che si compie nella confermazione) e nell’eucaristia.

Riscopriamo il battesimo, riscopriamo l’eucaristia, riscopriamo la domenica come giorno del Signore.