Omelia del Patriarca nella S. Messa d’inizio anno pastorale con religiosi, religiose e persone consacrate (Venezia - Basilica S. Marco, 8 settembre 2018)
08-09-2018

S. Messa d’inizio anno pastorale con religiosi, religiose e persone consacrate (Venezia – Basilica S. Marco, 8 settembre 2018)

 Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

ringrazio il Signore per questo incontro che ci permette d’iniziare insieme il nuovo anno pastorale.

Al di là della vocazione religiosa e al di là del legame con l’Ordine, l’Istituto o la Congregazione di appartenenza, siete infatti presenze preziose nella Chiesa particolare ed esprimete un carisma che la arricchisce. Voi ricordate ai ministri ordinati e ai laici che il vero senso della vita – alla fine – è Lui, il Signore Gesù; con la vostra scelta di radicalità evangelica dite che tutto, in questa vita terrena, è importante ma relativo al Regno di Dio.

Desidero ringraziare quanti si sono concretamente adoperati per realizzare al meglio questo momento di condivisione.

L’8 settembre è una data molto significativa per iniziare il cammino del nuovo anno pastorale che ci viene incontro come grazia e responsabilità. La vostra presenza ed opera è attesa sia nel cammino delle nascenti collaborazioni tra parrocchie – con particolare attenzione ai “cenacoli” – sia nel sostenere il primo annuncio – o kerygma – nella vita delle nostre comunità. Proprio al tema del kerygma dedicherò la nuova lettera pastorale che uscirà a fine mese in occasione della Giornata formativa diocesana.

L’8 settembre, liturgicamente, è una data anomala; si fa, infatti, memoria della nascita terrena della Beata Vergine Maria mentre di solito la liturgia ricorda la nascita celeste dei santi e delle sante. Vi è  l’eccezione di Giovanni Battista – il più grande tra i nati di donna (cfr. Mt 11,11) – e, ovviamente, di Gesù, gli unici dei quali – oltre a Maria SS.ma –  si celebra la nascita terrena.

Come per la quasi totalità delle feste mariane, anche questa è di provenienza orientale. Nella Chiesa latina, infatti, fu introdotta dal santo papa Sergio I, che era originario della Siria (fine sec. VII). All’inizio era la festa della dedicazione della basilica di sant’Anna in Gerusalemme che la Tradizione indica come l’umile dimora di Gioacchino ed Anna, lontani discendenti del re Davide, genitori della Beata Vergine, la madre di Gesù.

Nella preghiera della colletta abbiamo appena chiesto, in occasione della Natività della Madre del Signore, i doni dell’unità e della pace, in quanto la divina Maternità di Maria (o Natale) segna, per noi, l’inizio della salvezza.

Emerge, ancora una volta, come il contenuto ultimo di questa festa mariana sia Gesù e come il richiamo a Lui sia sempre decisivo. Ascoltiamo, di nuovo, la preghiera della colletta: “Donaci, Signore, i tesori della tua misericordia e poiché la maternità della Vergine ha segnato l’inizio della nostra salvezza, la festa della sua Natività ci faccia crescere nell’unità e nella pace”.

Carissimi fratelli e sorelle desidero soffermarmi con voi, seppur brevemente, sul testo del Vangelo secondo Matteo in cui si parla di talenti: “…un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro” (Mt 25,14-18).

Questa parabola parla di qualcosa a cui, solitamente, non prestiamo attenzione poiché subito andiamo alla fine del discorso e la nostra attenzione è presa dal padrone che chiede conto ai servi di quanto hanno fatto in sua assenza.

Ma su un punto vorrei attirare la vostra attenzione, ossia sul fatto che i servi hanno ricevuto dei talenti e sono diventati titolari di doni. Ecco, ognuno di noi è per gli altri – e anche per Dio – una risorsa. Di questo dobbiamo essere più consapevoli sia nelle nostre comunità sia nelle nostre relazioni interpersonali. Nessuno è solamente maestro e nessuno è solamente alunno; tutti, di volta in volta, siamo maestri e discepoli, discepoli e maestri.

Ognuno riceve un certo numero di talenti ed è chiamato a farli fruttificare; uno di questo talenti è il dono – il carisma – della vita religiosa. Dobbiamo far attenzione a non sotterrare tale dono; si danno, infatti, molti modi in cui possiamo nascondere e sotterrare i nostri talenti così preziosi.

Il nostro esame di coscienza circa i doni ricevuti può riferirsi immediatamente a mancanze specifiche contro i voti, contro le virtù che sostengono ed esprimono i voti e, certamente, questa è una strada da percorrere; non stanchiamoci mai di ritornare a fare l’esame di coscienza, in modo serio e costruttivo, per essere come un cristallo a partire dalla persona di Gesù. E chiediamoci: se Lui oggi avesse vissuto una giornata come la mia come avrebbe agito, come avrebbe risposto?

Qui, però, è opportuno sottolineare ciò che viene prima dell’esame di coscienza. Innanzitutto si deve fare attenzione a non lasciarsi condizionare dalla mentalità del mondo che facilmente entra nelle nostre comunità, in noi, e segna la nostra spiritualità. Vi entra attraverso letture cartacee, televisive e informatiche o attraverso ragionamenti che, progressivamente e se non siamo capaci di reale discernimento evangelico – «“Sì, sì”, “No, no”» (Mt 5,37) –, ci lasciano sopraffatti. Una vera formazione teologica e spirituale ci permette di rimanere liberi; diversamente crediamo di esserlo ed invece siamo omologati al pensiero unico dominante.

Alludo qui alla poca o totale mancanza di stima che il mondo ha per la vita di piena consacrazione a Dio nella povertà, nella castità e nella obbedienza; sì, veramente, la festa di Maria bambina ci porti i doni dell’unità e della pace così come la sua divina maternità ha segnato l’inizio della salvezza.

Dovete, in tal modo, considerare e – se è il caso – riscoprire la grandezza del dono che avete ricevuto, intendo la vocazione ad una vita di totale consacrazione a Dio.

Ogni volta che rileggo la presentazione di un libro dedicato al Santo Curato d’Ars – e lo faccio sovente -, le brevi righe che la compongono mi danno forza e stimolo per andare avanti.

La narrazione inizia così: “C’era una volta in Francia, nella provincia di Lione, un piccolo contadino cristiano che, fin dalla più tenera età, amava la solitudine e il buon Dio. E poiché quei signori di Parigi, che avevano fatto la Rivoluzione, impedivano alla gente di pregare, il bambino e i suoi genitori, andavano ad ascoltare Messa in fondo ad un granaio. I preti allora si nascondevano e, quando li si prendeva, si tagliava loro la testa! Fu forse proprio per questo che quel piccolo contadino, Jean-Marie Vianney, sognava di diventare prete. Ma se sapeva pregare, mancava però d’istruzione. Guardava le pecore e lavorava i campi. Entrò troppo tardi in seminario e inciampò in tutti gli esami. Ma le vocazioni allora erano molto rare e, alla fine, lo presero comunque. Fu nominato Curato d’Ars e ci restò fino alla morte. L’ultimo curato di Francia e nell’ultimo villaggio di Francia […] Ora, egli convertiva tutti quelli che arrivavano fino a lui e, se non fosse morto, avrebbe convertito tutta la Francia. Guariva le anime e i corpi. Leggeva nei cuori come in un libro. E la santa Vergine lo visitava e il demonio gli faceva i dispetti, ma non riusciva ad impedirgli d’essere un sant’uomo. Fu promosso canonico, poi Cavaliere della Legione d’Onore, poi, fu ritenuto un santo. Ma, finché visse, egli non capì mai il perché. E questa era la prova più bella del fatto che meritava proprio quella gloria. Tutto ciò accadeva nel XIX secolo che in Paradiso, dove si conosce il giusto valore della gente, è chiamato il secolo del Santo Curato d’Ars…”.

Sì, in Paradiso il secolo XIX non è il secolo del lungo regno della Regina Vittoria o dell’Unità d’Italia o del taglio dell’istmo di Suez ma, semplicemente, il secolo del Curato d’Ars.

Carissimi, quando sentiamo su di noi lo sguardo di chi ci compatisce per la scelta che abbiamo fatto, per l’abito che portiamo e con un solo sguardo dice tutto il suo disprezzo e pure tutta la sua incomprensione e ignoranza, soffermiamoci, allora, su questo bel testo di Henri Ghéon che termina così: “…ciò accadeva nel secolo XIX che, in Paradiso dove si conosce il giusto valore della gente, è chiamato il secolo del Santo Curato d’Ars”. E noi potremmo aggiungere di san Giovanni Bosco, di santa Teresina di Lisieux e l’elenco potrebbe continuare ancora.

Quello che desidero dirvi è molto semplice: non rimaniamo al giudizio degli uomini, fossero anche confratelli o consorelle, superiori o persone che incontriamo per la prima volta. Chiediamoci, piuttosto, quale è il giudizio che in Paradiso, incominciando da Dio, si ha su di noi e della nostra vita e sulle nostre comunità.

Maria Bambina ci doni cuori da bambini per comprendere tutto questo e per saper essere felici delle nostre identità di persone consacrate!