Omelia del Patriarca nella S. Messa della solennità dell’Ascensione del Signore nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò (Lido di Venezia, 16 maggio 2021)
16-05-2021

S. Messa nella solennità dell’Ascensione del Signore nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò

(Lido di Venezia, 16 maggio 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Saluto le autorità, il parroco, i sacerdoti, i diaconi, tutti i presenti e chi ci segue tramite Antenna 3 Nordest e i social di Gente Veneta.

La Sensa o Ascensione, a Venezia, ricorda lo sposalizio della città col mare, è una festa profondamente veneziana ben radicata nella storia della città.

La prima lettura, l’inizio del libro degli Atti degli Apostoli, e il Vangelo, la conclusione del testo di Marco, ci introducono nella realtà profonda di questa domenica pasquale che, per la liturgia, è la solennità dell’Ascensione del Signore.

Gesù risorto, che si era mostrato vivo ai suoi discepoli più volte, “fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9). E agli apostoli, che fissavano il cielo, è rivolta una promessa: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11).

Il Vangelo di Marco si conclude con queste parole: “Il Signore Gesù (…) fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi – gli apostoli – partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,19-20).

Due eventi inseparabili ci stanno di fronte: Gesù Cristo risorto, salito al cielo e intronizzato come il Signore, e l’invio rivolto agli apostoli a non “fissare” il cielo ma a portare a tutti la buona notizia – il Vangelo – che ha cambiato la loro vita.

Il cristiano – a partire dal battesimo – è una persona “salvata” che, a sua volta, viene inviata a portare l’annuncio della salvezza là dove vive o dove le circostanze della vita e della missione lo richiedono.

L’evangelizzazione, ovvero l’annuncio esplicito e la testimonianza vivente del Vangelo, racconta di una salvezza “già” presente e realizzata da Gesù, il Signore risorto, il Vivente; questa salvezza è continuamente offerta ma mai imposta e chiede, quindi, d’essere accolta perché grazia e libertà, Dio e l’uomo, camminano sempre insieme.

Siamo così proiettati nella dimensione del “già” e “non ancora” che caratterizza la vita del cristiano, come sottolinea il testo, anonimo, della seconda metà del II secolo, conosciuto come lettera “A Diogneto”.

I cristiani, infatti, non sono separati dal mondo in cui vivono e nel quale, anzi, sono immersi seppur da esso sono distinti e “testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera… Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi” (A Diogneto, V).

Questo antichissimo testo ci dice ancora: “…come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra… L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo… Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare” (A Diogneto, VI).

Ecco perché – e questa è la vocazione propria del battezzato – il cristiano è impegnato ad elaborare una cultura e un sistema condiviso di conoscenze, valori ed esperienze che, in ogni tempo, tengano unita e facciano crescere la società in cui vive.

Ricordo le parole di san Giovanni Paolo II nella Christifideles laici: “Ad essi – i fedeli laici – tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità d’una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza” (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici n. 17).

La proposta culturale, sociale e politica trae ispirazione dal Vangelo che, al suo centro, ha l’uomo e il riconoscimento della sua dignità che è sintesi di elementi materiali e spirituali e ne considera le tante fragilità legate all’età, alla salute, alle problematiche economiche-lavorative e, talvolta, anche a leggi carenti, non chiare, di difficile applicazione e non sempre rispondenti al bene comune.

Tale fede che si spende nella vita del mondo non può mai essere ridotta a “collante” della società e mai può decadere a religione civile che – come dimostra la storia – diventa un mero strumento a servizio della politica. Le esperienze storicamente non mancano nell’antichità, nel Medioevo, nella modernità e nella contemporaneità; tutte finalizzate, seppur in contesti diversi, a piegare Dio e l’uomo alle pretese e alle esigenze di un sistema di pensiero, di un’ideologia, del potere politico.

La fede cristiana, invece, si misura e riscontra sulla verità e per questo diventa capace di costruire e far crescere l’uomo e la società di cui fa parte in piena libertà. Misurarsi sulla verità – di Dio, dell’uomo, della vita stessa – porta davvero a restituire dignità e a valorizzare l’umano in ogni ambito e momento, aiutando così la società a convivere con ogni fragilità umana (compreso il peccato d’origine) e a rispondervi sempre con verità e umanità: la vita che nasce, la vita che si spegne e muore, la vita che è debole e sofferente, la vita debole che chiede d’esser accolta con dignità.

Per questo il cristiano, animato dalla fede, con il suo essere “nel” mondo ma non appartenendo al mondo, è in grado di offrire uno sguardo culturale, politico, economico e sociale che tiene conto di ogni fragilità e supera le varie forme d’individualismo, egoismo, chiusura e non inclusione che ritroviamo in non pochi segmenti di vita sociale, in leggi e sistemi di potere che non sanno accogliere e rispettare l’uomo e le sue fragilità e che non si misurano con la verità profonda dell’uomo, fatta di scoperte e nuove acquisizioni (come scienza e tecnica mostrano) ma anche di debolezze, insidie e fragilità con cui sempre dobbiamo confrontarci.

L’attuale pandemia, che da oltre un anno ha rivoluzionato le nostre esistenze, dovrebbe averci insegnato qualcosa: noi uomini siamo capaci di grandi conquiste, sempre più perfezionate e avanzate, ma nello stesso tempo dobbiamo fare i conti (e così sarà anche in futuro) con situazioni complesse, problemi nuovi, emergenze e fragilità ulteriori che neppure immaginavamo.

Questo è il “campo” che attende ogni cristiano ed ogni persona di buona volontà: rigenerare continuamente l’uomo, rinnovare e ricostruire una società a misura d’uomo e promuovere il bene comune, la verità, la giustizia, la libertà, la pace. E tale impegno, per il cristiano, non viene meno dall’avere come patria quel “cielo” al quale è “già” asceso Cristo, il Risorto.

“L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio.(Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 39).

Questo è l’orizzonte che dischiude l’Ascensione del Signore, la Sensa. Questo è il terreno su cui si dipana il nostro vivere quotidiano, secondo i doveri e i compiti di ciascuno – anche nel pensare e realizzare oggi i cammini di ripartenza per la nostra città e il nostro Paese -, tutti immersi nel “già e “non ancora”, nella realtà della grazia di Dio e della libertà dell’uomo, tra impegno nel presente e sguardo rivolto al futuro.

Buona festa della Sensa a tutti!