Omelia del Patriarca nella S. Messa della II domenica del Tempo di Pasqua nella chiesa rettoriale di S. Rocco a Venezia (19 aprile 2020)
19-04-2020

S. Messa nella II domenica del Tempo di Pasqua

nella chiesa rettoriale di S. Rocco a Venezia (19 aprile 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Ringrazio il Guardian Grando della Scuola Grande di S. Rocco Franco Posocco per l’ospitalità e perché ci permette di vivere un momento nel quale la realtà odierna si incontra con la storia nel nome e nel segno di san Rocco. Ringrazio il Sindaco per la sua presenza; noi lo consideriamo qui come colui che rappresenta tutti i cittadini. Grazie, signor Sindaco, per la delicatezza che ci usa.

Ringrazio ancora le emittenti Antenna 3 e Rete Veneta, insieme a Gente Veneta Facebook, che ci aiutano nel pellegrinaggio di una liturgia in assenza del popolo. Speriamo che vengano giorni migliori. A noi, comunque, spetta il vivere queste giornate in modo sereno, fermo e con l’idea di crescere nella fede.

Il Vangelo – che abbiamo appena ascoltato (Gv 20,19-31) – narra due apparizioni di Gesù nel cenacolo e questo brano del Vangelo di Giovanni, nell’economia di tutto il quarto Vangelo, ha un significato particolare, soprattutto quella frase del brano appena proclamato dal diacono: “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa…” (Gv 20,26). È la seconda apparizione e, nella prospettiva e nell’intenzione originaria, questo episodio termina il Vangelo secondo Giovanni e ne rappresenta la conclusione.

Al termine del quarto Vangelo, quindi, ci viene presentata la difficoltà nel credere.  Tommaso non è solo una persona fisica ma è ciascuno di noi: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,26). Il quarto Vangelo ci presenta questo episodio proprio per farci vedere come il Signore accondiscende alle nostre domande, anche quando sono impertinenti, e così questo brano diventa come la sintesi di tutto il Vangelo.

Tommaso viene condotto e portato alla fede, da incredulo diventa credente e il Vangelo insiste sull’incontro di Tommaso con Gesù perché è questo incontro che trasforma Tommaso da incredulo a credente ed è questo incontro, attraverso un dialogo drammatico – ma ci ricordiamo anche altri dialoghi drammatici che abbiamo meditato insieme in questo cammino che ci ha portato alla Pasqua come quelli, ad esempio, di Gesù con la samaritana e con il cieco nato -, che la fede introduce il discepolo nel mistero di Dio. Ma questo avviene, in particolare, attraverso che cosa? È il contenuto del brano del Vangelo di oggi: attraverso la croce, le piaghe, i segni del Crocifisso, una fede che diventa – ne siamo avvisati tutti – cammino.

San Rocco è il pellegrino della fede ed anche Tommaso cammina e passa da una comprensione che ha bisogno di vedere, di toccare e di sentire i segni e i miracoli ad una fede che è la pienezza della fiducia e dell’incontro con Dio attraverso Gesù Cristo. “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28) è la professione più alta e l’atto di fede più grande che noi abbiamo; è l’atto di fede professato da un incredulo che diventa credente e questa è la buona notizia. Se noi incontriamo Gesù anche con le nostre faticose domande, Lui ci ascolta e basta che abbiamo un cuore buono, fragile, anche peccatore ma disponibile.

Le apparizioni di Gesù Risorto sono circoscritte nel tempo e noi sappiamo che vengono racchiuse nel numero simbolico dei quaranta giorni e poi c’è la Pentecoste. Gesù in seguito non apparirà più, anche se ci sarà poi un’apparizione particolare e diversa dalle altre (quella a Paolo)  ma non fa parte delle apparizioni che costituiscono la Chiesa. Ora cosa vuol dire questo momento? Gesù oggi si lascia toccare e accetta una fede sensibile, possiamo dire anche un po’ rozza. E le apparizioni vogliono proprio essere questo: abbiamo mangiato con Lui,  abbiamo toccato le sue ferite. Tommaso, però, è chiamato all’atto di fede vero: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28).

Il Vangelo secondo Giovanni, con questo testo dell’incredulo Tommaso, ci vuole condurre in questo mondo della fede piena. Pur legati al sensibile, dobbiamo però andar oltre ogni visione simbolica che ha bisogno di segni e di miracoli – che pure il Signore non ci nega – ma che è solo il momento per condurci alla fede piena.

 

Il discepolo non deve pretendere il segno, anche se Dio ci dona i segni; deve piuttosto servirsi di questi segni per andare verso la realtà di Dio che, però, non è mai accostata come se la fede fosse qualcosa di assurdo… La fede è la pienezza della ragione e sarebbe bello discutere con i non credenti di questa realtà; la fede è il “sì” responsabile che io do con fiducia e il “sì” di chi quella fiducia la vuole dare.

Le apparizioni, dopo l’Ascensione. verranno meno perché lo Spirito Santo sarà da allora in poi il maestro della Chiesa e dei discepoli. Ed ha un unico compito fino alla fine del mondo: ricordare chi è Gesù Cristo. Tutto, nel Vangelo, è finalizzato a questo: dire con la vita, con la testimonianza, che Gesù è il Signore. Se Gesù, allora, diventa il Signore della nostra vita e delle nostre Comunità, tutto questo ne deriverà come conseguenza

Vi rimando poi – poiché ci sono date delle giornate da trascorrere in casa e il credente è bene che ogni tanto prenda in mano la parola di Dio e la mediti – alla seconda lettura di oggi (1Pt 1,3-9); è tratta dalla prima lettera di Pietro che è quasi totalmente, per quattro quinti, una catechesi battesimale. Noi abbiamo proclamato i primi versetti che dicono la gioia del discepolo che crede e che sa di aver ricevuto al fonte battesimale ciò che lo condurrà alla piena partecipazione al regno di Dio. Nel cnotesto di questa speranza di fondo, la prima Lettera di Pietro non ignora comunque la difficoltà di credere; non solo quella di Tommaso, ma la difficoltà di credere, le prove della fede, le sofferenze della fede e la solitudine della fede che accompagneranno sempre la Chiesa e i discepoli di tutti i tempi.

Tale testo e il Vangelo che abbiamo letto e commentato ci aiutano a vivere questo periodo di isolamento, di solitudine e di prova, questo periodo in cui dobbiamo essere persone di fede, crescere nella fede, andare verso la maturità della fede, esaminarci sulla fede e convertirci, prima ancora che sui capitoli della vita morale, nel nostro modo di credere: dai segni ai simboli, dall’incredulità alla fiducia piena nel Signore.

Nella giornata di oggi ricorre la Domenica della Divina Misericordia, della fiducia in Dio; alla fine della Messa reciteremo la preghiera a San Rocco composta da san Giovanni XXIII e poi reciteremo anche la preghiera di san Giovanni Paolo II, scritta proprio per la festa della Divina Misericordia, una festa importante in cui diciamo che – per noi uomini – l’attributo più significativo di Dio è la misericordia.

Ricordiamo anche che oggi è possibile ricevere l’indulgenza e ricordiamo che la spiritualità della Divina Misericordia non è solo mettersi in ginocchio ma è perdonare gli altri; non è solo pregare ma fare in modo che la nostra preghiera diventi incontro con gli altri; non è solo celebrare e adorare l’Eucaristia – che è un po’ il cuore di questa festa – ma essere anime e comunità eucaristiche.

Buona festa della Divina Misericordia a tutti! San Rocco ci aiuti e ci protegga, lui che a Venezia ha lasciato le sue spoglie mortali e a cui la nostra città sempre è particolarmente legata.