Omelia del Patriarca nella S. Messa del giorno di Natale (Venezia, Basilica cattedrale di S. Marco - 25 dicembre 2019)
25-12-2019

S. Messa del giorno di Natale

(Venezia, Basilica cattedrale di S. Marco – 25 dicembre 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

auguro a voi e ai vostri cari un santo e sereno Natale.

Ogni persona e ogni famiglia porta con sé gioie e dolori, progetti, fatiche e speranze. Con fiducia e impegno poniamo noi stessi e i nostri progetti dinanzi al piccolo Gesù, riconoscendo che Lui è il Dio che ci salva.

Il pensiero va subito alla piccolezza di Betlemme, un villaggio minuscolo del quale il profeta Michea aveva detto: “Betlemme…, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà… colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mi 5,1).

Anche Nazareth è un minuscolo e insignificante agglomerato di case. L’apostolo Bartolomeo, sentendo che il Messia sarebbe venuto proprio da Nazareth, esclama: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46).

Ecco il primo messaggio del Natale: Dio sceglie le cose piccole e insignificanti del mondo per compiere la Sua opera più grande, l’incarnazione del Figlio. Dio sceglie ciò che il mondo scarta.

Natale è parola che viene dal verbo “nascere”, ossia “venire alla luce”. Il profeta Isaia unisce fra loro proprio la luce e il Natale e dice: “Il Signore nostro Dio verrà con potenza e riempirà di luce i suoi fedeli” (cfr. Is 40,10).

La venuta di Dio porta la luce e, con essa, la possibilità di vedere. Ma noi uomini non vogliamo vedere!

Sì, è la luce che ci consente di vedere,; chi è nelle tenebre non vede, per lui tutto è oscuro e tutto si fa complicato e incerto, anche i gesti più semplici, e così si procede a tentoni.

La luce è l’ente fisico che sollecita le sensazioni visive, cosi da poter vedere le persone; qualcosa di analogo avviene sul piano spirituale per cui il Natale illumina, sollecita il cuore dell’uomo e lo rende capace di vedere.

La nascita di Gesù dona la luce spirituale che consente di vedere. Il profeta Isaia annuncia: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1).

 Poi nel Vangelo di Giovanni – che abbiamo appena ascoltato – in cinque versetti torna ben sei volte la parola “luce”, termine che caratterizza la liturgia del Natale.

In lui [il Verbo] era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta… [Giovanni] venne come testimone per dare testimonianza alla luce… Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,4-5;7-9).

Il Natale, così, è la grazia che ci viene incontro e risponde al nostro bisogno di luce per poter vedere. Noi uomini, infatti, facciamo fatica a vedere, non riusciamo a vedere e, talvolta, non vogliamo vedere.

Senza la luce del Natale non riusciamo ad avere uno sguardo vero e misericordioso sul mondo. Ribadisco: vero e misericordioso, perché le due cose vanno insieme, evitando di ridurre il mondo e gli altri alle mie interpretazioni soggettive. È essenziale avere la luce che ci permette di cogliere il senso di Dio, della vita, dell’uomo, della famiglia, della convivenza sociale.

Ma chi vede bene? Viene subito alla mente il Buon Samaritano. L’episodio è noto: un uomo di Samaria percorreva la strada che scende da Gerusalemme a Gerico e s’imbatte in uno sconosciuto che è stato percosso a sangue e derubato dai briganti; si ferma, gli fascia le ferite, lo porta in un albergo. Prima di lui, per quella stessa strada, erano passati un sacerdote ed un levita ma non si erano fermati ed erano andati oltre.

Ecco le parole dell’evangelista Luca: “…un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui” (Lc 10,31-34).

Il Natale ci chiede d’accogliere il dono della luce gentile della notte di Betlemme che fa vedere in modo “nuovo” persone e situazioni; la luce che ha permesso al Samaritano – a differenza di chi era passato prima di lui – di vedere l’uomo e di fermarsi a soccorrerlo.

La pagina del Buon Samaritano ne richiama un’altra, quella del giudizio finale: “Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»” (Mt 25,34-41).

È lasciarsi illuminare dalla luce gentile del Natale che fa la differenza e che ci fa comprendere come mai il sacerdote e il levita non hanno visto quello che, invece, ha visto il Samaritano.

Nella luce gentile del Natale il bene diventa possibile e conseguenza di un nuovo modo d’essere, mentre per chi è nelle tenebre l’unica cosa che emerge è l’io che nasconde Dio e il prossimo; le tenebre sono frutto dall’io che vuole essere prima di tutto e il centro di tutto.

Quando si è nella luce si compiono facilmente anche i gesti più complicati; quando si è al buio, invece, anche i gesti più semplici diventano problematici. Senza luce non riusciamo a vedere la realtà così com’è, ne scorgiamo solo una parte e, a volte, nemmeno quella.

Quando manca la luce della verità tutto diventa complicato, opinabile, indecifrabile; ognuno getta il suo parziale e personalissimo fascio di luce su ciò che vede e il risultato è che non riesce più a cogliere la verità e la misericordia di Dio, ossia Gesù, salvatore del mondo.

Gesù è la luce misericordiosa di Dio, che ci illumina e permette di vedere bene. Gesù è essenziale e necessario, ecco il senso del Natale!

Il cristianesimo è frutto della grazia del Natale; non è solo una conoscenza, una scelta etica o un impegno ascetico nelle virtù. Se fosse così, tutto si ridurrebbe a religione civile che è altro rispetto alla fede cristiana.

Gesù, a Natale, nel Suo mistero salvifico, esprime nel simbolo della luce il dono previo di un amore che dona alla nostra intelligenza la sapienza del cuore, rendendola capace d’amare. Così il nostro sguardo diventa come quello del Buon Samaritano.

Solo chi ama vede bene, come dice Antoine de Saint-Exupéry ne “Il piccolo principe”: “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Non ci può essere Natale senza almeno un incontro con un povero. Certo, i poveri non sempre sono affascinanti e dialoganti e non sempre sono profumati, ma sono i nostri poveri.

Oggi sarò al pranzo di Natale che si terrà nel patronato parrocchiale di San Cassiano a Venezia e dirò loro che li abbiamo ricordati durante la Messa solenne a San Marco. Non può essere Natale, insomma, se non abbiamo avuto e trovato tempo per i nostri poveri.

Così la vita del cristiano è vita di grazia e nasce da un amore-dono che previene, cambia e converte. Quando si ama si strappa da sé il proprio io e si trova il proprio bene in chi si ama. Natale, allora, è rinascere, è rispondere all’amore che ci costituisce.

Gesù, per tre volte, pone all’apostolo Pietro la domanda più “natalizia”: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?” (Gv 21,16). “Pietro – annota l’Evangelista – rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene»”. (Gv 21,17).

La gentile luce del Natale, che rischiara le tenebre dell’umanità, ci dona la capacità di vedere col cuore. Così fede e carità stanno insieme e non sono mai in contrasto fra loro. La vita del cristiano è un vedere nell’amore e un amare nella verità.

A tutti auguro un santo Natale, in cui possiate vedere con il cuore e amare nella verità perché è da qui che proviene il discernimento del cristiano, nella comunione con la Chiesa.

Concludo con le parole che, pochi giorni fa, Papa Francesco ha detto sull’importanza del presepio, una realtà viva che deve parlare al nostro cuore e soprattutto a quello dei nostri bambini.

Il presepio “è un segno semplice e mirabile della nostra fede e non va perduto, anzi, è bello che sia tramandato, dai genitori ai figli, dai nonni ai nipoti” (Papa Francesco, Saluto alle delegazioni che hanno donato il presepe e l’albero di Natale per Piazza San Pietro).

A tutti e soprattutto alle persone sole, sofferenti e ai poveri, rinnovo l’augurio di un santo e sereno Natale.