Omelia del Patriarca nella S. Messa con il mondo dell’Università per l’inizio dell’anno accademico (Chiesa dei Tolentini / Venezia, 24 ottobre 2019)
24-10-2019

S. Messa con il mondo dell’Università per l’inizio dell’anno accademico

(Chiesa dei Tolentini / Venezia, 24 ottobre 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Cari docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo, a tutti auguro un sereno e proficuo nuovo anno accademico.

Entro subito in ciò che desidero condividere, a partire dalla prima lettura di san Paolo ai Romani (6, 19-23). L’apostolo tratta del battesimo.

Oggi, con voi che vivete in Università e vi date la vostra testimonianza, umana e cristiana, vorrei parlare del battesimo. Ogni tanto mettere a fuoco i fondamentali, oltre che esser cosa buona, è anche saggio.

Certamente, il battesimo richiama tutta la realtà e la vita del cristiano. Sacramento vuol dire incontro con Cristo che salva!

Il battesimo costituisce la porta d’accesso alla casa comune, la Chiesa, che a sua volta è il sacramento universale di salvezza resa tale da Gesù Cristo, il sacramento “originario”.

L’eucaristia che stiamo celebrando, se ben compresa, è il sacramento della comunione con Cristo e fra di noi; si tratta di una comunione interiore ed esteriore, visibile e invisibile, che dona e richiede libertà nella carità e verità nella nostra storia.

La fede, nella sua forma compiuta, è un sì condiviso nella Chiesa; il sì che si perfeziona proprio nel battesimo. L’io credente è sempre parte di un “noi” più grande e il battesimo è il primo (la porta) di altri segni semplici, umili ed essenziali che chiamiamo “sacramenti”.

Il battesimo richiede solo un po’ d’acqua ed alcune brevi e semplici parole, profondamente umane, facilmente comprensibili e alla portata di tutti; si compone di un dialogo, fatto di rinunce e promesse che liberamente ci impegnano nella fede.

I sacramenti, quindi, sono gesti semplici ed umili ma necessari per la Chiesa e i discepoli; sono segni che si radicano nella fede, la generano, la esprimono. Attraverso di essi si realizza l’incontro con l’Altro (Dio) e ci si addentra sempre più nel cammino della salvezza; la realtà sacramentale risponde così alla logica della grazia – Dio – che precede e accompagna.

Per il battesimo – immersione nella morte e risurrezione del Signore – siamo rinati a vita nuova, ci è stato perdonato, siamo diventati nuove creature, ci viene donata la stessa vita divina con la quale diventiamo figli di Dio e formiamo, insieme ad una moltitudine di fratelli e sorelle, il popolo di Dio.

Marco, al termine del Vangelo, dice che Gesù ha esplicitamente richiesto che il credente sia battezzato, unendo così strettamente fede (credere) e battesimo (sacramento): “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,16).

Il credente non è mai un isolato, anche se conducesse una vita da eremita, e sempre fa parte della Chiesa; ogni suo gesto ha, in forza del battesimo, valenza comunitaria e sociale. La Chiesa è la comunità del Signore risorto, è il suo corpo, il suo popolo.

Il credere è sempre atto personale (“io credo”) e mai individuale (perché è sempre un “noi crediamo”); un atto compiuto con l’aiuto di Dio (grazia) e in relazione con la Chiesa, la comunità dei credenti.

L’uomo è essere sociale, la dimensione comunitaria gli appartiene, e per questo l’atto di fede non può non caratterizzarsi in termini ecclesiali, senza i quali la fede non sarebbe quindi a misura d’uomo e non giungerebbe a compiutezza.

Insomma, l’ “io credo” non prescinde dal “noi crediamo” e viceversa; si crede, quindi, in comunione con gli altri. Alcuni sono nostri contemporanei, altri invece, ci hanno preceduto, altri ci seguiranno e, forse, crederanno anche grazie alla nostra testimonianza.

Il cristiano appartiene al presente e al futuro e la morte per lui non è una fine ma un inizio.

Le parole di Gesù al termine del Vangelo di Marco uniscono in modo indissolubile fede e sacramento: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,16).

Quando si parla del battesimo non può non tornare alla mente la vicenda di Madeleine Delbrêl[1] che, penso, per degli universitari abbia un significato particolarissimo; si rimane, infatti, stupiti e commossi dinanzi alla potenza missionaria della testimonianza battesimale di giovani che vivono senza reticenze la loro fede e il loro battesimo.

Madeleine era una giovane, intellettualmente dotatissima e molto libera, amava guardare in faccia le cose e chiamarle col loro nome; il suo desiderio era – come per molti giovani – riuscire a fare nella sua vita qualcosa di bello. Nella sua storia personale ebbero un ruolo del tutto imprevisto alcuni suoi coetanei che la portarono, in modo inatteso, ad instaurare un nuovo rapporto con Dio.

In tale vicenda tocchiamo con mano come la Chiesa esistaui siamoQui siamo nelle persone che la compongono; di certo, insieme alla componente umana, non va dimenticata quella divina: la Parola di Dio e i sacramenti che la  costituiscono e identificano. Ora, tra tali realtà c’è il battesimo e la sua forza dirompente in termini di grazia.

Madeleine si trovò così, per la prima volta, innanzi a dei coetanei veramente credenti; questa per lei fu non una, ma “la” novità. Si trattava di persone veramente credenti e, in più, erano suoi coetanei. Essi – cosa che Madeleine non avrebbe mai pensato – esprimevano una bella umanità poiché erano persone ricche di valori, di energie, d’entusiasmo. Sì, in una parola, erano delle belle persone.

Questa giovane donna – di soli diciassette anni – esprimeva, in modo convinto e consequenziale, una visione atea della vita. Ma per quale strada, Madeleine giunse alla fede? La sua vicenda ci dice quanto sia importante esprimere persone autenticamente credenti e umanamente complete.

La vera evangelizzazione riguarda anche l’uomo (l’umano) e, allora, l’incontro con tali “persone” – ossia con umanità affascinanti – attesta che il rapporto con Dio (la vita di fede) compie l’umano.

L’incontro con persone credenti che testimoniano la fede nella vita di ogni giorno mette in rapporto col Vangelo, al di là dei tempi e dei luoghi in cui, abitualmente, si danno gli annunci cristiani.

L’incontro con tali persone risulta capace di parlare direttamente al cuore, giungendo anche a “commuovere”. Parla a quelle persone che non vanno in Chiesa ad ascoltare una predica o, comunque, una narrazione cristiana.

Ecco l’importanza del battesimo vissuto con semplicità ma, anche, con consapevolezza e coraggio; questa è la testimonianza a cui è chiamato l’universitario cristiano oggi più di ieri, ossia dire laicamente la fede in quegli spazi in cui i ministri ordinati, i consacrati e le consacrate non hanno accesso.

La testimonianza che sorprese e, anzi, che stupì profondamente Madeleine – quando era convintissima del suo ateismo – le fu data proprio da persone dalle quali mai avrebbe pensato potesse giungere, ossia, da suoi coetanei.

Nella recente esortazione apostolica post-sinodale, indirizzata ai giovani e a tutto il popolo di Dio, Papa Francesco ricorda che la vocazione dei laici cristiani può venire sopraffatta dall’invadenza dell’io e, di conseguenza, da una visione individualista del vivere.

E, poi, aggiunge che tale situazione “si aggrava se la vocazione del laico è concepita solo come un servizio all’interno della Chiesa (lettori, accoliti, catechisti,…), dimenticando che la vocazione laicale è prima di tutto la carità nella famiglia e la carità sociale o politica: è un impegno concreto a partire dalla fede per la costruzione di una società nuova, è vivere in mezzo al mondo e alla società per evangelizzarne le sue diverse istanze, per far crescere la pace, la convivenza, la giustizia, i diritti umani, la misericordia, e così estendere il Regno di Dio nel mondo” (Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, n. 168).

Madeleine, con sua grande sorpresa, si trovò dinanzi a chi viveva una fede bella, giovane, aderente alla vita e che non mortificava i desideri di ragazzi e ragazze di quell’età; soprattutto era una fede che non spegneva ma, piuttosto, attizzava il desiderio di pensare la vita in grande e dava il coraggio di sognare, una fede che plasmava in profondità e portava a pienezza la loro umanità. Ed essi, agli occhi di Madeleine, sembravano aver qualcosa in più, qualcosa che lei sentiva di non avere; quei giovani, insomma, avevano una risorsa sconosciuta a Madeleine.

Quei ragazzi e ragazze le risultavano straordinari, erano persone gioiose, mature, affascinanti e poi – e le era sembrato impossibile fino a quel momento – parlavano di Dio come se Dio fosse una presenza viva che entrava nelle loro esistenze; sembravano condividere con Lui le gioie e le fatiche della giornata. Come loro, Madeleine è giovanissima, ha voglia di vivere, è spigliata e intelligente ma, a differenza di loro, si dichiara atea ed è convinta del suo ateismo.

Qualche tempo prima Madeleine, ancora liceale, aveva messo per iscritto, in un tema, tutto il suo ateismo argomentando con lucidità, proprietà, sicurezza.; Madeleine scriveva tutto con forza e grande onestà intellettuale; una forza e un’onestà di cui pochi erano capaci.

Madeleine afferma così che, se Dio non esiste, bisogna avere il coraggio di tirarne le conseguenze, nessuna esclusa, e quindi bisogna cambiare il proprio modo di pensare, di progettare la vita, di parlare e anche le modalità nelle quali si struttura il cammino della vita.

Per sintetizzare il suo pensiero dobbiamo dire: se Dio non esiste, bisogna smettere di vivere di illusioni teologiche. Sarebbe interessante leggere per intero il suo scritto, ma non abbiamo il tempo…

Mi soffermo solo su un episodio che segnò in modo irreversibile quel periodo della vita di Madeleine e ne determinò il cambiamento: l’incontro con Jean Maydieu, un ragazzo di quattro anni maggiore di lei, intelligente, dinamico, alto, sportivo, pieno di interessi e attenzioni. Fin qui, le loro caratteristiche sono simili e, si può dire, coincidono. La differenza è che Jean è credente, come i suoi amici, e lo comunica in modo semplice e convincente perché si può essere credenti praticanti e, insieme, uomini e donne pienamente partecipi alla vita e in grado d’invitare altri a fare la propria esperienza di fede. La fede non fa proselitismo ma s’irraggia.

Ad un certo momento, Madeleine e Jean fanno coppia fissa e tutti dicono che, veramente, sono fatti per stare insieme ma improvvisamente, ad un tratto, la situazione cambia. Jean fa una scelta inattesa, sconvolgente: lascia Madeleine ed entra nel noviziato dei Domenicani per seguire Gesù nella radicalità dei consigli evangelici.

Per Madeleine è un colpo durissimo, qualcosa di inaccettabile, si sente ferita nel suo amor proprio e il suo io femminile è messo a dura prova; ella, come donna, nel modo più amaro si sente sconfitta. Così in lei si fa strada una domanda, in maniera dirompente e dilacerante: ma chi è questo Dio che Jean ha preferito a me? E in modo ancor più radicale: ma chi è Dio?

In lei rimane vivo – ed è ciò su cui dobbiamo riflettere – il ricordo della bella umanità di Jean e di tutto il gruppo di amici di cui Jean era, per lei, l’espressione più viva. Un ricordo inquietante, forte, incancellabile, che continuamente l’accompagna e non le dà tregua e che le farà scrivere: “l’incontro con… cristiani né più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me. Anzi, avevano al loro attivo alcune superiorità: lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica che io non avevo, convinzioni politiche che io non avevo… Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l’aria. Erano a loro agio con tutti, ma – con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene – mescolavano in tutte le discussioni, nei progetti e nei ricordi, parole, idee, messe a punto di Gesù Cristo. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi, non sarebbe sembrato più vivo…” (A. Sicari, Ritratti di Santi, Jaca Book, Milano 2009, pp. 129-130).

 Ed è proprio l’incontro con questi credenti – laici cristiani o, semplicemente, battezzati – che sono ragazzi e ragazze tutti d’un pezzo ad “obbligarla” a ripensare il suo ateismo e il suo disincanto nei confronti di tutto e di tutti, chiedendole di ripensare le domande e le risposte che fino a quel momento, si era posta e si era data.

Quella ragazzina, poco più che adolescente, che aveva detto con tutta la forza di cui era capace il suo no a Dio, con logica ferrea e pensiero penetrante, ora si interroga in modo nuovo.

Così Madeleine, dopo aver incontrato alcuni coetanei battezzati veramente credenti, non si pone più – come prima faceva – la domanda «Come si conferma l’inesistenza di Dio?» ma «Dio potrebbe forse esistere?». “Ovviamente se cambia la domanda, è anche cambiato o sta cambiando anche l’atteggiamento interiore” (A. Sicari, Ritratti di Santi, Jaca Book, Milano 2009, p. 130).

E tutto questo come mai? Semplicemente perché ha incontrato la fede viva e operante di alcuni battezzati, suoi coetanei, alle prese con la vita di tutti i giorni. Vivere la propria fede con amore e verità, in spirito di gioiosa testimonianza, è già evangelizzare.

[1] Madeleine Delbrêl (nome completo Anne Marie Madeleine) nacque a Mussidan, in Dordogna (Francia), il 24 ottobre 1904. Trasferitasi a Parigi, insieme alla sua famiglia, crebbe in un clima che la fece dichiarare, a diciassette anni, di essere atea, benché a dodici anni avesse ricevuto con grande fervore la sua Prima Comunione. L’ingresso del suo amico Jean Maydieu tra i padri Domenicani fu per lei un duro colpo, che la portò ad interrogarsi sul senso della vita e sulla possibilità dell’esistenza di Dio, fino all’incontro abbagliante con Lui nel marzo 1924. Dapprima fu capo-scout, poi, nel 1933, andò a vivere insieme a due compagne a Ivry-sur-Seine, cittadina caratterizzata dalla presenza di numerose fabbriche e dall’influenza del marxismo. La sua presenza e il suo impegno furono elogiati dall’amministrazione comunale, che approvò, nel 1939, la sua assunzione nei servizi di assistenza sociale della città. Morì a Ivry-sur-Seine il 13 ottobre 1964, a 60 anni non ancora compiuti. Il 12 maggio 1993 è stato concesso dalla Santa Sede il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione, la cui fase diocesana si è svolta nella diocesi di Créteil dal settembre 1993 all’ottobre 1994. Il 26 gennaio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Madeleine Delbrêl, la cui tomba si trova nel cimitero municipale di Ivry, è stata dichiarata “Venerabile” (tratto da www.santiebeati.it alla voce “Madeleine Delbrêl”).