Omelia del Patriarca nella S. Messa con i Gruppi diocesani del Rinnovamento nello Spirito in occasione dell’anniversario dell’approvazione degli Statuti da parte della Cei (Venezia / Basilica di S. Marco, 15 marzo 2017)
15-03-2017

S. Messa con i Gruppi diocesani del Rinnovamento nello Spirito

in occasione dell’anniversario dell’approvazione degli Statuti da parte della Cei

(Venezia / Basilica di S. Marco, 15 marzo 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

abbiamo ascoltato un Vangelo nel quale Gesù si trova a dialogare con la durezza del cuore dell’uomo. E di fronte alla durezza del cuore dell’uomo non c’è miracolo, non c’è discorso, che la possa spuntare. Gesù dovrà salire in croce per la durezza del cuore dell’umanità e Gesù sale in croce per poterci donare lo Spirito Santo, il grande dono di Cristo è lo Spirito.

Ringraziamo, allora, il Signore di poter ricordare e celebrare i cinquanta anni di anniversario di approvazione degli Statuti dell’associazione del Rinnovamento nello Spirito Santo. E questo perché, se è vero che lo Spirito non può essere costretto, è vero anche che lo Spirito – attraverso l’istituzione – può essere offerto, dato

Riflettiamo allora insieme, in questo anniversario, sulla realtà dello Spirito. C’è un istante in cui si realizza questo flusso di salvezza. Lo Spirito compie il dialogo all’interno di Dio: il Padre, il Verbo, lo Spirito… Una processione eterna che dice chi è Dio e questo Spirito, ad un certo punto, nel Verbo incarnato è donato all’umanità.

C’è un istante in cui questo movimento eterno ha incominciato ad essere accessibile nella storia ed è proprio il momento in cui il cuore di Cristo è stato trafitto sulla croce, il momento della morte, il momento legato all’effusione dello Spirito Santo. “E, chinato il capo, consegnò lo spirito” (Gv 19,30).

Oltre a questa testimonianza di Giovanni, però, c’è anche quella dell’evangelista Luca che, narrando l’episodio dei due discepoli di Emmaus, riporta queste parole di Gesù: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).

Giovanni ha incluso il mistero della morte di Cristo e dell’effusione dello Spirito nella categoria della gloria. Noi facciamo un po’ di fatica ad entrare in questo pensiero dell’evangelista Giovanni che, però, risulta costruito in modo mirabile ed è già contenuto nella teologia del prologo del quarto Vangelo: tutto viene dal Padre che è il principio senza principio, l’origine dal quale il Figlio riceve tutto e a cui il Figlio restituisce tutto.

Dice l’evangelista Giovanni, proprio al termine del prologo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). Abbiamo dunque visto la sua gloria, la gloria che riceve dal Padre suo, la gloria che conviene ad un figlio unico, pieno di grazia e di verità.

La gloria di Gesù consiste nel ricevere tutto dal Padre, nell’obbedirgli, nel fare tutto in dipendenza dal Padre e nel restituire al Padre tutto.

Ricordiamo, probabilmente, anche il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni: “Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,4-5). E inizia la passione, atto di potenza di Dio e di fronte al quale abbiamo bisogno di convertirci. Poi Gesù continua: “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro” (Gv 17,10).

Ma come si dispiega questa potenza? Sappiamo che il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni è il termine dell’Ultima Cena; di lì a poco scenderà nella valle del Cedron, passerà nell’orto degli Ulivi ed inizierà la passione. Ebbene, la croce è atto di onnipotenza di Dio; il pensiero di Giovanni – la concezione giovannea ed evangelica della gloria – viene proprio da questo.

Mentre dal punto di vista umano la gloria consiste nell’essere oggetto di una distinzione personale grazie alla lode, alla stima, all’onore che ci vengono riconosciuti o che noi, magari, ricerchiamo dagli altri uomini, la concezione giovannea invece consiste per Cristo e secondo il Vangelo, nell’annientare se stessi alla ricerca della gloria e della volontà del Padre.

Se prendiamo la lettera ai Filippesi, al capitolo secondo, noi leggiamo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 5-8).

Terminato questo movimento di kenosi, di annientamento e di consegna inizia l’altro movimento: quello della gloria, della risurrezione, del dono dello Spirito. “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11).

La gloria di Cristo, quindi, anche per Paolo consiste nell’obbedire alla volontà del piano salvifico di Dio fino alla morte di croce; per questo, infatti, Dio Lo ha esaltato e gli ha dato quel “nome che è al di sopra di ogni altro nome”. Ecco in che cosa consiste il piano di Dio nel quale anche noi dobbiamo situarci per mezzo della fede.

In questi giorni di Quaresima dovremmo rileggere quegli autori cristiani che hanno vissuto il mysterium crucis, la sapientia crucis; ad esempio dovremmo rileggere San Giovanni della Croce e Edith Stein.

Il Figlio, nell’obbedienza fino alla fine, fino alla croce, trova la sua gloria di figlio ed è glorificato a sua volta dal Padre in noi. “…se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).

Comprendiamo, allora, come l’evangelista Giovanni sia preoccupato di dirci che la croce non è la fine; è l’inizio. La sua morte non è un termine, è l’inizio. E la Chiesa incomincia proprio dal consummatum est (tutto è compiuto). Il tutto compiuto di Cristo sulla croce non significa solamente la mia vita è finita ma significa: ho compiuto la volontà del Padre, la Tua volontà. Comprendete, allora, come e perché san Giovanni qui dica: “E, chinato il capo, consegnò lo spirito”

È, quindi, dal Cristo crocifisso che nasce il dono dello Spirito Santo; è dal suo costato aperto dal colpo di lancia che sgorgano l’acqua e il sangue. L’acqua è immagine dello Spirito, lo Spirito che dà la vita nel battesimo (l’acqua battesimale). È importante, allora, lasciarsi portare dalla liturgia perché la liturgia ci consegna al mistero e ci fa afferrare dal mistero.

È Gesù stesso, durante la festa della dedicazione del tempio ovvero pochi mesi prima della sua passione, a dire: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7, 37-38).

E l’evangelista commenta così: “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato” (Gv 7,39).

Dopo Gesù l’animatore – la guida in tutto ciò che è cristiano, cioè di Cristo – è lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, lo Spirito di verità e di sapienza, il Paraclito, Colui che difende, accoglie, sostiene, conduce; è il riposo nella fatica, è la gioia nel pianto, è la luce nelle tenebre. Là dove c’è lo Spirito c’è Cristo, là dove c’è Cristo c’è il dono dello Spirito.

Capiamo, allora, quanto Gesù dice nei discorsi dell’Ultima Cena, Gesù dice: “Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (Gv, 15, 26-27). Dov’è, allora, lo Spirito? Dove si rende testimonianza a Cristo.

Onoriamo, allora, l’anniversario degli Statuti del Rinnovamento nello Spirito Santo testimoniando lo Spirito, esaminando se nella nostra vita ci sono i frutti dello Spirito Santo e guardando se in noi c’è quel dono di noi stessi che apre ad una testimonianza di verità e di carità.

La carità, infatti, si compiace della verità e la verità va detta sempre nella carità. Soprattutto in questo periodo, soprattutto in questo tempo, chiediamo allo Spirito di dire la verità che è Cristo con carità e dire la carità di Cristo con verità.