Omelia del Patriarca nella Messa solenne per la Festa della Madonna della Salute (Venezia / Basilica della Madonna della Salute, 21 novembre 2019)
21-11-2019

Festa della Madonna della Salute

(Venezia / Basilica della Madonna della Salute, 21 novembre 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi veneziani,

quest’anno viviamo una festa della Salute molto particolare, dopo quanto è successo nella notte fra 12 e il 13 novembre e nei giorni successivi. Si è sfiorata la tragedia e un nuovo campanello d’allarme è risuonato forte; speriamo sia stato ascoltato.

Siamo, quindi, ai piedi della nostra Madonna della Salute per dirLe il nostro grazie filiale.

La sofferenza si fa preoccupazione per questi reiterati eventi che, almeno in parte, sono preventivabili e che abbiamo già vissuto negli ultimi tempi con una crescente frequenza.

Come veneziani, seppur feriti, vogliamo rialzarci e rialzare la città; è stata una buona notizia, per la città di domani, vedere tanti ragazzi che, rimboccate le maniche, hanno incominciato a togliere acqua da negozi, magazzini e abitazioni, aiutando gli altri e dando loro un segno di concreta attenzione. Grazie, ancora, a questi ragazzi veri angeli dell’acqua alta.

Saluto le autorità presenti; ringrazio per la dedizione e la vicinanza il Presidente della Regione e, in modo particolare, il Sindaco e il Prefetto.

I cambiamenti repentini del clima e gli eventi atmosferici violenti sono sempre più frequenti. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, quando tratta del clima e del bene comune, scrive: “Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano – e qui a Venezia, aggiungo io, lo riscontriamo di anno in anno – che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e consumo” (Papa Francesco, Enciclica Laudato sì, n. 26).  

Sfiorare le tragedie a Venezia non può diventare routine, quasi come fosse un appuntamento da mettere in agenda. Il 29 ottobre 2018 – solo poco più di 365 giorni fa – era successo un evento non proprio uguale ma simile a quello dell’altra notte, un evento che aveva già richiamato la tristemente famosa “aqua granda” del 1966. Negli ultimi mesi, poi, l’agenda delle tragedie sfiorate ha avuto due altri appuntamenti: il 2 giugno e il 7 luglio, per ben due volte, prima nel canale della Giudecca e poi in Riva Sette Martiri.

Non si può dire: non lo sapevamo. E, come abitanti di Venezia, non possiamo più appellarci o rassegnarci alle “fatalità” o alle “concomitanze anomale”. La città, che tutti amiamo, non va più considerata come qualcosa da cui ricavare solo profitto; certo, la città deve offrire lavoro e reddito, in particolare ai suoi abitanti, ma non può essere considerata merce da vendere.

Sogniamo, quindi, una città a misura d’uomo, abitata da bambini, anziani, famiglie e che si offre al mondo e ai visitatori secondo una proposta turistica sostenibile. Porre in alternativa “lavoro” e “vivibilità” non è accettabile; non vogliamo e non dobbiamo seguire l’esempio di altre città che ora si trovano a fare i conti con un passato che grava pesantemente sul loro presente e sul loro futuro.

Speriamo – dicevo all’inizio – che l’ennesimo e grave allarme risuonato in questi giorni generi effetti concreti e positivi in tutti, anche nel mondo della politica nazionale; qualche segnale – soprattutto un’unità di azione tanto delle forze d’opposizione quanto di maggioranza – fa ben sperare. Ringrazio, in particolare, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, anche nelle ultime ore, ha sollecitato a non “lasciar soli i veneziani” insieme alla necessità e all’urgenza – sono parole sue – di “mettere in sicurezza una realtà tra le più belle e ammirate del mondo intero. Blocchi e ritardi non sono ulteriormente accettabili“.

Riscopriamo, allora, una classifica di valori e stiliamo un carnet di nuovi indicatori aggiornati secondo una qualità della vita a misura di “persona”; è l’ecologia integrale che il Santo Padre ci propone nella Laudato si’.

Scrive Papa Francesco: “Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali” (Papa Francesco, Enciclica Laudato sì, n. 137).

E, ancora, si sofferma sulla necessità di puntare decisamente su un nuovo stile di vita: “Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione” (Papa Francesco, Enciclica Laudato sì, n. 206).

Cari veneziani, il grande afflusso in questa Basilica – sin dalle prime ore del giorno – e il commovente pellegrinaggio dei ragazzi ieri sera dicono quanto la Madonna della Salute sia nel nostro cuore e nella nostra storia. Quest’anno, poi, sentiamo di dover dire alla nostra carissima Madre un grazie più affettuoso, più intenso, più filiale.

La Santa Vergine non è figura secondaria nella storia della salvezza; come ogni madre, lì dove è, crea clima di famiglia mentre prega nel Cenacolo, attorniata dai discepoli e in attesa dello Spirito promesso – basterebbe guardare alla mia destra il magnifico quadro del Tiziano -, diventando così la prima icona della Chiesa (cfr. At 2,14).

Senza la Santa Vergine non avremmo Gesù e senza Gesù non avremmo la salvezza; senza salvezza, saremmo dei disperati. Chi ha fede ha un debito grande nei confronti degli altri: annunciarla.

Riscoprire la missione di Maria vuol dire, allora, ripercorrere la strada che Dio ha fatto quando è entrato nel mondo, per usare le espressioni di san Paolo nella lettera ai Galati, e ricondurre il tempo a pienezza: “…quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…” (Gal 4,4).

Maria, poi, come dice la cugina Elisabetta, incarna la beatitudine della fede: “…appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata Colei che ha creduto…” (Lc 1,44-45).

Mi soffermo, ora, sulla fede che è l’inizio della relazione personale con Dio; la fede è testimonianza personale di chi si mette in gioco, anche rischiando la vita. Pascal – grande filosofo, scienziato e uomo di fede – diceva di credere volentieri ai racconti di quei testimoni che si lasciano sgozzare per difendere quanto hanno detto.

Anche Pietro e Giovanni, di fronte al Sinedrio, erano disposti a dare la vita: «Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni replicarono: “Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere…”» (At 4, 18-20). Dopo di loro, una moltitudine ha donato e ancora oggi dona la vita per non venire meno al battesimo.

Il testimone di cui ho parlato ieri sera ai nostri giovani – che, insieme ai poveri e agli anziani, sono da considerare dei “fuochi” della nostra comunità -, giunti numerosi da ogni parte della diocesi, è Franz Jägerstätter, quasi loro coetaneo. E con lui ricordo anche Massimiliano Maria Kolbe, Tito Brandsma, Edith Stein, il cardinale Clemente Augusto von Galen.

Franz Jägerstätter era un contadino austriaco, intelligente, coraggioso, che non aveva potuto studiare ma che appezzava la cultura. “Chi non legge niente – diceva – non potrà reggersi in piedi e sarà sempre una marionetta nelle mani degli altri”. Ho chiesto ai nostri ragazzi di guardarsi da questo pericolo.

Parlare di questo testimone della fede significa parlare della libertà di coscienza e del diritto all’obiezione di coscienza; per il cristiano è qualcosa di irrinunciabile, di fronte alle esigenze del Vangelo e della dignità degli uomini, ed è condizione previa ad ogni ulteriore parola e gesto.

Franz Jägerstätter era nato nel 1907 in Austria e visse gli anni di quella follia collettiva che fu il nazionalsocialismo, quei tredici anni di pazzia e di pazzie – dal 1933 al 1945 – in cui, in nome di un’ideologia che parlava di un uomo superiore, si pianificò la distruzione dell’uomo. Il mito della razza “pura” portò ai drammi dell’olocausto e della seconda guerra mondiale causando, insieme, la morte di 50 milioni di persone!

Così Franz, a 36 anni, andò da solo alla morte per non andar contro la sua coscienza. Era sposato e padre di tre bambine in tenera età; come si dice, “teneva famiglia”. Rinunciò a tutto per non rinnegare il suo battesimo ed era consapevole di quello che faceva. Ci lascia queste parole: “Se consideriamo con serietà il momento attuale, dobbiamo riconoscere che per noi cristiani tedeschi la situazione è più disperata e più confusa di quella dei cristiani dei primi secoli, durante le persecuzioni più sanguinose”. Un pensiero che affido anche alla vostra riflessione.

La giovinezza di Franz fu esuberante – l’ho ricordato ai nostri giovani – e, a tratti, turbolenta; era prestante e sportivo, desiderava primeggiare. In paese fu il primo ad avere la motocicletta (siamo negli anni Venti del secolo scorso). Franz era sensibilissimo al fascino femminile; da una relazione con una coetanea ebbe una figlia.

Poi la grazia di Dio – che sa far miracoli – lo raggiunse. Franz ripensò tutta la sua vita e il giovane spavaldo cede il passo al credente. A ventinove anni, quando gli viene negato il matrimonio con la madre della sua figlia naturale, sposa Franziska ed ha tre figlie: Rösl, Maridl, Loisl. Franz si fece anche terziario francescano.

Quando giunge il 1938 – anno drammatico per l’Europa con la Conferenza di Monaco e l’annessione dell’Austria al Terzo Reich – Franz è l’unico che, in paese, vota contro l’annessione perché dice che un cristiano non può aderire ai principi del nazionalsocialismo.

Franz si confida così con l’amata Franziska: “Dio mi ha mostrato che devo scegliere tra il nazionalsocialismo e la mia religione cattolica e si è appellato alla mia coscienza”. Sì, ho voluto dire ai nostri giovani che Dio si appella alle nostre coscienze per far andare meglio le cose di questo mondo. D’ora in poi, Franz seguirà la sua coscienza per rimanere fedele a Dio, a se stesso e agli uomini.

Nel 1943 rifiuta di prestare il servizio militare ed è conscio di quello che fa e di quello che tale gesto comporterà. Scrive, allora, al suo parroco: “Indossando quella uniforme, quante volte dovrei anch’io rinnegare il Cristo?”. E aggiunge: “Oggi mi avvio su un cammino difficile…”.

Il 6 luglio arriva la condanna a morte; poco prima aveva ricevuto una fotografia delle figlie di 6, 5 e 2 anni con la scritta: “Papà, torna presto!”. Su un tavolo gli lasciano un foglio e una penna: basta una semplice firma – gli dicono – e torni libero. È terribile a cosa giunga la persecuzione.

Franz scrive: “Sarebbe davvero una gioia poter trascorrere i pochi giorni di vita nell’abbraccio di una famiglia felice: abbiamo, comunque, la lieta speranza che i pochi giorni di vita, in cui dobbiamo essere separati, ci verranno restituiti mille volte nell’eternità… assieme a Dio e alla nostra madre celeste”. La fede non è l’oppio dei popoli; come possiamo aver creduto a certe ideologie? La fede ci fa vivere, quando è vera, diversamente.

Franz Jägerstätter viene giustiziato il 9 agosto 1943.

Il cristiano si rivela proprio quando è chiamato a dare testimonianza e non si ritrae. Certo, per i cristiani mondanizzati queste scelte sono incomprensibili perché sono una condanna del loro modo di fare.

Che cosa ha permesso a Franz, solo contro tutto, di non venir meno? Come ha potuto non tirarsi indietro di fronte al consiglio di molti, anche di alcuni sacerdoti? La risposta è la sua fede, la stessa che ha sorretto Maria ai piedi della croce, una fede che dice appartenenza a Dio e che non si lascia comprare da nessuno perché il cristiano non è in vendita.

L’apostolo Paolo scrive ai Colossesi: “In lui [Cristo] camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato… Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda…, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col 2,6-8).

La libertà di coscienza è il bene di cui il cristiano non potrà mai fare a meno nella vita. Grazie a questa libertà Franz Jägerstätter, giovane, sposo e padre, ha avuto la forza di dire il suo “sì” totale a Gesù e un “no” altrettanto totale a uno dei regimi più disumani e violenti che la storia abbia conosciuto e che si era prefisso di distruggere l’uomo – prima che con i lager e i forni crematori – col mito della razza, con l’odio verso l’altro e presentando la guerra come un bene.

Tali forme di odio e violenza talora riesplodono e vanno combattute sempre e comunque; talvolta c’è anche una carica più sottile di violenza ed intolleranza in chi si professa “non violento” e tollerante, avendo a disposizione mezzi sofisticati e possibilità che altri non hanno.

La libertà di giudizio – l’ho detto ai nostri giovani -, per il battezzato, è virtù umana e cristiana che si costruisce ricercando la verità che – per il cristiano – è il Vangelo, è Gesù.

Per il cristiano, se tutti fanno una cosa non è un buon motivo perché anche lui la faccia; il cristiano – lo ripeto – non è in vendita! E se il nostro pensare fosse contro qualcuno o qualcosa fermiamoci prima di agire e pensiamo bene prima di fare qualcosa. Così il cristiano cresce e diventa adulto!

L’obiezione di coscienza poi, in certi casi, quando è in gioco la persona umana, è l’ultima difesa e la scelta più umana che rimane e dalla quale non si può recedere.

Guardiamo, allora, la luminosa e drammatica figura di Franz Jägerstätter che ho voluto proporre ai giovani intendendo restituire loro qualcosa, perché mi sentivo in debito nei confronti del loro gesto; si sono accorti di chi aveva bisogno, si sono fermati e, nelle necessità, hanno dato loro stessi a quei volti e a quella storia che hanno incontrato.

La Madonna della Salute benedica la nostra città, i nostri governanti che ancora ringrazio per quanto hanno voluto, saputo e desiderato fare; vegli sui nostri anziani, sui nostri bambini e sui nostri malati.

Buona festa della Madonna della Salute a tutti!