Omelia del Patriarca nella Messa per la Solennità del Corpus Domini (Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 3 giugno 2018)
03-06-2018

Solennità del Corpus Domini

(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 3 giugno 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi amici,

alcuni tra voi si saranno forse chiesti come mai – oltre al giovedì santo, giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia – la Chiesa celebri anche la solennità odierna del Santissimo Corpo e Sangue del Signore.

La risposta va ricercata nel fatto che il sacramento dell’Eucaristia – come ogni realtà di fede – si comprende lentamente, progressivamente, e quindi solo col passare del tempo.

Così, a partire proprio dal sensus fidei, che caratterizza il popolo di Dio, dalla vita dei santi (dei mistici), dalla riflessione dei teologi, dalla guida del magistero ecclesiastico ma, in particolare, grazie all’azione dello Spirito Santo, si avvertì la necessità d’istituire una festa che evidenziasse come l’Eucaristia oltre ad essere cena e sacrificio è anche presenza reale del Signore Gesù.

L’Eucaristia, quindi, non solo si celebra ma si adora e questi due gesti ecclesiali – celebrazione e adorazione – non sono in contrasto fra loro ma costituiscono arricchimento di una compiuta fede ecclesiale.

San Tommaso spiega come nell’Eucaristia sia compiutamente presente l’Evento cristiano, di cui Essa è la piena iniziazione. E poi precisa come, nello sviluppo dei sacramenti, l’Eucaristia venga sì dopo i sacramenti del battesimo e della confermazione ma questo non impedisce che sia il sacramento per eccellenza (cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, III, 65, 3, c.).

Nell’Eucaristia è presente lo stesso Cristo; negli altri sacramenti vi è solo una Sua forza. Gli altri sacramenti, poi, sono ordinati tutti all’Eucaristia come loro fine.

Gesù – come narra il Vangelo appena ascoltato – decide di celebrare la Pasqua con i discepoli e manda Pietro e Giovanni in città per i preparativi, dicendo cosa dovranno fare; un uomo mostrerà loro una stanza al piano superiore, grande, addobbata con tappeti (cfr. Mc 14, 15). Questa è l’indicazione di Gesù!

In quell’epoca non tutte le case avevano il piano superiore – uno spazio a parte – dove si svolgevano momenti significativi della vita familiare. L’ambiente (con gli arredi) è sempre significativo e riveste grande importanza e, se per un verso manifesta le persone che lo abitano, per un altro le plasma. Sì, l’ambiente dà forma, caratterizza, plasma.

Così l’Eucaristia – secondo l’indicazione di Gesù – va vissuta come evento prezioso nella vita del discepolo e della comunità; la celebrazione eucaristica si caratterizza per il gesto semplice, povero e umilissimo – se vogliamo -, ma l’Eucaristia è l’atto sommo che il discepolo e la Chiesa pongono e vivono personalmente e comunitariamente.

Lasciamo, allora, parlare i fatti e i gesti. Gesù ha scelto la stanza “migliore” e questo dice la fede e l’amore richiesti nel porre l’Eucaristia al centro della comunità (Chiesa). Non solo le parole comunicano ma pure i gesti, gli ambienti; Gesù non poteva esser più esplicito.

Quando per l’Eucaristia, fedeli alla povertà evangelica (che riguarda in primis le persone), si sceglie il bello e il meglio, non si fa che esprimere la fede e l’amore per quanto Gesù ci ha donato.

Così, grazie al battesimo – che si compie nell’Eucaristia – non si dà più nella Chiesa né uomo, né donna, né schiavo, né libero (cfr. Gal 3,27-28) perché tutto è l’unico corpo di Cristo e le differenze non producono diseguaglianza ma una nuova ricchezza in un’unità più profonda che ricompone le molte membra dell’unico Corpo di Cristo lacerate dal peccato; si tratta di una nuova unità che trascende le diversità di razze, culture, sesso e che, alla fine, ricompone l’unità nel Cristo totale.

L’unità generata dall’Eucaristia non è di tipo psicologico, culturale, razziale, politico. L’Eucaristia genera, infatti, l’unità sacramentale e mistica della Chiesa, il Christus totus come amava dire Agostino, ed è proprio la comunione nello Spirito che riunisce tutti i figli dispersi e lacerati dal peccato. L’Eucaristia ha in sé tale forza perché in essa è presente l’evento salvifico avvenuto “una volta per tutte”; sì, “una volta per tutte”.

La Pasqua del Signore è evento accaduto una volta sola duemila anni fa, una volta per sempre come ricorda la lettera agli Ebrei: ”…così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza” (Eb 9,28).

La Pasqua è così evento ultimo, definitivo, escatologico; il termine “escatologico” (escatologia) indica proprio tale definitività e compimento. La Pasqua è la vittoria definitiva sulla morte che è il frutto ultimo del peccato; Pasqua è la vittoria sulla morte, il trionfo sul peccato; Pasqua significa risurrezione e glorificazione dell’uomo e del mondo.

E l’Eucaristia, sacramento della Pasqua di Cristo, contiene in sé ed esprime proprio tale vittoria; a Pasqua il tempo e lo spazio non sono più elementi che separano e dividono perché in Gesù risorto perdono tale carattere connesso oggi alle leggi fisiche dello spazio e del tempo.

I Vangeli pasquali ci dicono come Gesù entra nel cenacolo a porte chiuse, si accompagna per un lungo tratto di strada con i due discepoli di Emmaus, conversa con loro (ma essi non lo riconoscono) e solo quando, nel gesto di spezzare il pane, si accorgono che è Lui, allora svanisce.

Il Risorto possiede ormai un corpo non più condizionato dallo spazio e dal tempo, eppure Gesù è riconosciuto come il Crocifisso!

In croce Gesù stende le braccia tra cielo e terra in un amplesso che superava tutte le separazioni di cui lo spazio e il tempo sono cifra emblematica.

L’Eucaristia è il rendersi presente qui e ora del Cristo pasquale, il Crocifisso che ha vinto la morte; l’Eucaristia è l’evento definitivo della storia che contiene il Cristo risorto che noi incontriamo nella fede battesimale.

Una fede che ci interpella affinché viviamo l’Eucaristia come dono ricevuto dalla Chiesa e non come invenzione degli uomini; Paolo lo attesta: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1Cor 11, 23-26).

Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta” è la risposta dell’assemblea al momento culminante della consacrazione del pane e del vino.

Celebrare e vivere l’Eucaristia, nella propria carne e nella propria comunità, dice la nostra reale fedeltà a Cristo morto e risorto.

In tal modo l’Eucaristia celebrata, adorata, vissuta e testimoniata costituisce il gesto oltre il quale la Chiesa non può andare, nell’attesa fiduciosa e vigilante del suo Signore.

L’Eucaristia è – come abbiamo detto – l’atto escatologico in cui tempo ed eternità si toccano; per noi ciò avviene nel chiaroscuro della fede in attesa dell’incontro ultimo, nella visione, quando lo vedremo così come Egli è. Sì, l’Eucaristia è l’atto ecclesiale dopo il quale non rimane altro che la Sua venuta, l’incontro con Lui.

Non è un caso che il libro con cui si conclude il Nuovo Testamento – l’Apocalisse, il libro dei sette sigilli – termini proprio con questa preghiera ed invocazione di sapore eucaristico: “Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: ‘«Vieni!»… Colui che attesta queste cose dice: «Sì, vengo presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti. Amen!” (Ap 22,17.20-21).

L’Amen è l’assenso che ogni fedele pronuncia nel momento in cui riceve l’Eucaristia – il corpo spezzato e il sangue effuso per la vita del mondo – per essere, a sua volta, abilitato a vivere la vita e morire la morte che ci donano la risurrezione.

Carissimi amici, chiediamo – in questa solennità del Corpo e Sangue del Signore – d’esser sempre una Chiesa “eucaristica”, in cui al centro sia sempre e solo Lui.