Omelia del Patriarca durante la S. Messa nel Mercoledì delle Ceneri (Venezia - Basilica Cattedrale di San Marco, 1 marzo 2017)
01-03-2017

S. Messa nel Mercoledì delle Ceneri

(Venezia – Basilica Cattedrale di San Marco, 1 marzo 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

  

 

Carissimi,

 

oggi siamo entrati nel tempo in cui la comunità ecclesiale si dispone a celebrare la Pasqua. La costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia – la Sacrosanctum Concilium – è esplicita: «La Quaresima dispone i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale» (Sacrosanctum Concilium, n.109).

 

La Quaresima è denominata tempo “forte”; è, infatti, il periodo in cui tutti – pastori e fedeli – sono invitati a salire, con Gesù, a Gerusalemme. Ritornare a Dio attraverso la conversione è il richiamo di questo tempo che ci raggiunge attraverso l’annuncio del profeta Gioele tratto dalla prima lettura di oggi: “Così dice il Signore: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male»” (Gl 2,12-13).

 

Le celebrazioni pasquali – come sappiamo – costituiscono il cuore dell’anno liturgico. Questi sacri giorni, così, ci sono dati per prepararci. Il rischio è giungere dissipati e distratti alle feste pasquali e, così, non celebrare la resurrezione del Signore; in tal modo, per la rilevanza della Pasqua, l’intero anno liturgico ne soffrirebbe.

 

La Quaresima ci viene incontro affinché, di nuovo, si possa entrare in rapporto con Dio attraverso la fede, i sacramenti, la carità fraterna. La Chiesa oggi ci ricorda che siamo creature fragili, che oggi ci siamo e che domani non saremo più; questo è il senso ultimo e il richiamo eloquentissimo contenuti nel rito austero delle Sacre Ceneri.

 

Ora, se tutto passa, l’amore di Dio rimane e su di esso – esattamente sul suo perdono – siamo chiamati a ricostruire il nostro uomo interiore e le nuove relazioni personali e sociali.

 

Ogni cosa, in questo tempo liturgico, richiama ed esprime il mistero della morte e risurrezione di Cristo e noi siamo invitati a seguirlo, passo passo, nel cammino dei quaranta giorni. Sì, proprio questi sono i giorni in cui la Chiesa è chiamata a solidarizzare col Signor Gesù e, se vogliamo usare un’espressione cara alla Sacra Scrittura, a “far esodo” con Lui, a salire con Lui a Gerusalemme. Lacerandoci – come ci ha indicato la prima lettura – il cuore e non le vesti.

 

E se vogliamo dare concretezza e realismo all’invocazione del salmo  responsoriale – “Perdonaci, Signore: abbiamo peccato” – dobbiamo tradurre tutto in gesti affinché le parole non rimangano solo parole.

 

È necessario, allora, vivere in modo concreto questi giorni che hanno il loro culmine nella Settimana Santa e, poi, nel Santo Triduo (giovedì, venerdì, sabato santo).  Si tratta dei giorni più santi dell’intero anno.

 

Così, nella celebrazione eucaristica che si fa più intensa e partecipata, siamo chiamati a meditare le letture bibliche che ci vengono quotidianamente proposte. Una particolare attenzione, infine, la vogliamo riservare alla liturgia domenicale e, a proposito, si valorizzeranno tutti quei segni e gesti che la liturgia della Chiesa mette a disposizione del nostro vivere, per accompagnare al meglio Gesù nel suo cammino verso la Pasqua.

 

A tutte le comunità sono affidate le celebrazioni penitenziali che propongono lo spirito della Quaresima come la via crucis e le funzioni penitenziali comunitarie con l’assoluzione individuale (cfr. Rituale Romano, Rito della Penitenza, Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale, pag. 53).

 

L’intera comunità, con ogni suo membro, è chiamata a ricentrare identità e dignità battesimale. E, infatti, è proprio la Pasqua di Cristo che sta all’inizio del nostro battesimo e, ancora, attraverso il rapporto che intercorre fra Pasqua e sacramento del battesimo, siamo stati chiamati a vivere un’esistenza che sempre più ci caratterizzi in termini pasquali.

 

Dobbiamo riscoprire, quindi, il sacramento della penitenza, detto anche “secondo battesimo”; un sacramento che, in Quaresima, è bene celebrare tanto a livello personale quanto comunitario. L’intera comunità dei credenti, infatti, ritorna a Dio e celebra il sacramento in modo comunitario con l’assoluzione impartita in modo individuale; è una maniera per vivere la realtà della dimensione penitenziale dando visibilità a un popolo che, insieme, ritorna a Dio con tutto il cuore.

 

I due di Emmaus (cfr. Lc 24, 13-35) che camminano lungo la strada, col Signore risorto, sono l’icona vivente dei discepoli di ogni tempo; la Quaresima, spazio di penitenza e riconciliazione con Dio e i fratelli (le due cose vanno sempre insieme), è data perché anche il nostro incontro con Gesù risorto – nel prossimo tempo pasquale – non ci trovi incapaci di percepirne la presenza e riconoscerne le sembianze.

 

Questi quaranta giorni, denominati anche i grandi esercizi spirituali della Chiesa – con i loro riti, le loro pratiche penitenziali, la riscoperta del sacramento della riconciliazione e un rinnovato impegno per una vita più austera ed essenziale -, costituiscono il comune cammino della Chiesa verso il Signore risorto.

 

Ricordo infine come l’annuncio evangelico della penitenza, unitamente alla preghiera, non è qualcosa di superato che andava bene per i nostri nonni; la penitenza, al contrario, appartiene al nucleo fondamentale del messaggio cristiano.

 

Voglio qui richiamare alle nostre menti le opere di misericordia che ci hanno accompagnato nel recente Anno Giubilare e che, di nuovo, in Quaresima ritornano attuali come un concreto cammino in cui la fede si fa amore, attraverso parole e gesti compiuti nel nome del Signore e per assomigliare un po’più a Lui.

 

Qui di seguito le ricordiamo, incominciando da quelle spirituali: “Consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per i vivi e per i morti”.

 

A queste prime fanno seguito le opere dette di misericordia corporali e che insieme alle precedenti concorrono – ognuno per la sua parte – a dire chi è l’uomo sul piano dell’agire: “Dare da mangiare agli affamati; dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi;  visitare i carcerati e, infine, seppellire i morti”.

 

Iniziamo, allora, con fiducia, questo cammino con Gesù, ponendoci tutti sotto la materna protezione di Colei che Gesù crocifisso ci ha donato come  tenerissima Madre e cogliendo la nostra vita sotto il segno eloquente delle Sacre Ceneri.