Omelia del Patriarca al pellegrinaggio mariano dalla chiesa parrocchiale di S. Rita alla chiesa parrocchiale di S. Maria Immacolata di Lourdes (Mestre, 3 dicembre 2016)
03-12-2016

Pellegrinaggio mariano dalla chiesa parrocchiale di S. Rita

alla chiesa parrocchiale di S. Maria Immacolata di Lourdes

(Mestre, 3 dicembre 2016)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Abbiamo ascoltato il Vangelo del tempo di Avvento e sembra un Vangelo scelto appositamente per il nostro pellegrinaggio di oggi.

Oggi ricordiamo un grande missionario della storia moderna: san Francesco Saverio. Per noi veneziani è importante perché fu ordinato sacerdote proprio all’interno del perimetro del nostro attuale seminario; dove adesso c’è il campo di calcio nel quale i seminaristi giocano, una volta c’era una chiesa e san Francesco Saverio è diventato prete proprio lì.

Francesco apparteneva alla “prima ora” della Compagnia di Gesù ed è la prima “conquista” di sant’Ignazio; erano entrambi spagnoli, dal sangue caliente e inizialmente anche facile alla rissa. Uno veniva dalla Navarra, l’altro dai Paesi Baschi e nei conflitti e nelle guerre dell’epoca si erano trovati l’uno contro l’altro: Francesco filo francese, mentre Ignazio stava con Ferdinando, re di Castiglia.

Avevano, insomma, entrambi un carattere forte e non deve essere stato facile amalgamarsi; lo vediamo nelle famiglie, tra gli amici… Quando ci sono dei caratteri forti o c’è la santità o c’è la conflittualità.

Ignazio aveva quindici anni più di Francesco; quando era già inoltrato sulla quarantina, Francesco era a Parigi perché voleva scalare la scala sociale ma era stato perdente nella guerra e la sua famiglia aveva perso tutto… A Parigi doveva studiare per farsi un futuro. La Provvidenza e non il caso – il caso non esiste, perché se Dio è Dio, tutto è nelle sue mani e Dio permette o vuole,  permette riconoscendo la libertà degli altri o vuole – li fa incontrare al collegio di S. Barbara a è Parigi; studiano insieme, Ignazio e Francesco, e si incontrano, appunto, provvidenzialmente. Nello stesso collegio, pensate un po’, studiava anche Giovanni Calvino.

La Provvidenza: Ignazio riesce a conquistare Francesco che è un figura commovente. E questo già ci dice quanto sia importante il carattere di una persona e quanto il carattere di una persona rimanga fondamentale anche nella risposta di fede di quella persona.

Il carattere dei santi, poi, è sempre stato un carattere che ama la verità. Non a caso nel Vangelo è scritto che Gesù dice: «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Mt 5,37). Certo, il santo dovrà imparare a dire la verità concreta ma pensate a quanto male si sviluppa nella vita di una persona o di una comunità quando non si ama la verità! La verità, poi, va sempre detta con amore, ma prima bisogna amare la verità. Nella vita di un adolescente, di un adulto e di una famiglia come è importante che tutti amino la verità e arrivino a dirla con amore!

Francesco, all’inizio, nobile di famiglia e per carattere abituato a comandare, amava la verità ma, forse, non sapeva dirla con quella carità che lentamente il Signore, guidandolo nelle vicende quotidiane, lo portò a scoprire. Francesco Saverio, allora, oggi ci insegna che dobbiamo dire la verità ma dobbiamo dirla con amore.

Francesco parte per l’Oriente e, allora, un viaggio verso il Giappone durava quattro anni… Parte sapendo che non ritornerà più. E la cosa che più colpisce di Francesco – uomo deciso e forte – è l’amore che continua a portare sempre per i confratelli della Compagnia di Gesù.

Quando morì gli trovarono attaccato al collo un sacchettino che portava sempre con sé e dentro al quale c’erano dei ritagli di carta. Sul primo ritaglio era scritta la sua professione religiosa, un impegno che, con Ignazio, prese nella cripta della chiesa di Montmartre a Parigi; questo primo cartiglio indica la sua appartenenza a Gesù, il fare tutto per Gesù, il sapere di essere di Gesù. Oltre al cartiglio con la sua professione religiosa c’erano poi le firme dei confratelli della Compagnia di Gesù; prima fra tutte quella di sant’Ignazio e che lui ritagliava dalle poche lettere che in quegli anni gli poterono arrivare in Estremo Oriente… Leggeva e rileggeva quelle lettere e in una risposta a sant’Ignazio scriveva: “Mi sono messo a piangere quando ho letto la tua firma preceduta da queste parole: tuo per sempre, Ignazio”.

Anche il carattere forte è un dono di Dio. Ricordate quel passo dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 15-16). E avete mai fatto caso alle scelte che Gesù ha fatto negli apostoli? Pensiamo al carattere di Pietro che taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote… O ai due fratelli Giacomo e Giovanni soprannominati – per la loro impetuosità e per il loro carattere che non si sapeva dominare – i “figli del tuono”? E Paolo di Tarso che scrive: “Che cosa volete? Debbo venire da voi con il bastone, o con amore e con dolcezza d’animo?” (1 Cor 4,21)?

Il Signore, insomma, sceglie persone che hanno questo carattere forte. Certo, Egli vuole la conversione di queste persone ma il carattere rimane come rimane la determinazione nel seguire il Signore, la determinazione e la forza nell’impegnarsi per Lui.

Il Signore attende sempre da noi qualcosa. Restituire al Signore quello che Egli ci ha dato vuol dire lavorare nella conversione delle nostre persone, vuol dire affidarci a Lui, vuol dire vivere la parabola dei talenti. Sì, il Signore ci ha dato dei talenti: innanzitutto la vita (potevamo anche non venire al mondo…) e poi l’intelligenza, la volontà, la salute, dei beni, delle risorse… Tutto questo va restituito al Signore. Prima di tutto, però, noi dobbiamo restituire al Signore le nostre persone; la santità è questo. Il Signore attende da ciascuno di noi qualcosa. E nessuno può dire: ormai sono vecchio, non ho più la salute di qualche anno fa… Il Signore ci coinvolge sempre e a seconda di come noi rispondiamo alla Sua chiamata.

Ci sono, a volte, anche dei giudizi che possono bloccare il nostro rapporto con il Signore. Molte volte noi pensiamo: ma questa piccola cosa a che serve? Cambia il mondo? Nel mondo continuerà ad esserci la fame anche se tu fai un’offerta, potendola fare, come continuerà il dolore del mondo anche se tu perdi un po’ di tempo a consolare un afflitto eppure… questi gesti, anche piccoli, non cambieranno il mondo ma cambiano me e mi mettono in condizione di poter  intravedere un’altra opportunità più grande.

I grandi santi, che hanno fatto anche grandi realizzazioni umane, hanno iniziato sempre dalle piccole cose. Non mi stanco mai di ricordare che don Bosco inizia affittando un campo alla periferia di Torino per quattrocento lire all’anno, la tettoia Pinardi. Tutto nasce dalle piccole cose.

La nostra santità, la nostra conversione, la crescita della nostra Chiesa non è fatta da grandi cose; è fatta da piccole scelte che si moltiplicano in modo esponenziale non per una loro somma immensità ma perché c’è la grazia di Dio. Noi possiamo e dobbiamo metterci la buona volontà, l’intelligenza, la pazienza ma Lui ci mette la Grazia!

Santa Teresa D’Avila diceva: Teresa da sola è una povera donna, Teresa con un po’ di soldi può far poco, Teresa con molti soldi può far molto, ma con molti soldi e la Grazia di Dio non la ferma nessuno! La grazia di Dio è un dono gratuito che, però, noi possiamo – per grazia, appunto -attirare su di noi, sulla nostra vita, sul nostro ministero, sulle nostre famiglie, sulle nostre comunità.

Guardiamo, allora, a san Francesco Saverio come a colui che ha dato poco – cos’è, in fondo, l’uomo di fronte a Dio? – eppure quando un uomo dà tutto (e Francesco ha dato veramente tutto!) diventa “onnipotente” perché dare tutto – anche se quel tutto che diamo è poco – è proprio il tutto. E Dio, allora, fa la sua parte.

Chiediamo a Francesco – che è stato ordinato prete dove è ora il nostro Seminario veneziano – di aiutarci per le vocazioni, per i sacerdoti. Chiediamo a Francesco di scoprire la generosità nel darci. Chiediamogli di scoprire le piccole cose e chiediamogli di amare, perché è da come amiamo che saremo riconosciuti come cristiani.

Ricordiamolo ancora: Francesco amava così fortemente i suoi compagni da portarne le firme al collo, insieme alla grande firma che aveva messo il giorno della sua professione religiosa… La santità dei grandi santi è fatta di piccole cose. Piccole cose, però, donate fino in fondo.