Omelia del Patriarca ai Secondi Vespri in occasione della Giornata della vita consacrata e dei Giubilei di professione religiosa (Venezia / Basilica S. Marco, 31 gennaio 2021)
31-01-2021

Secondi Vespri in occasione della Giornata della vita consacrata e dei Giubilei di professione religiosa

(Venezia / Basilica S. Marco, 31 gennaio 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Fratelli e sorelle,

abbiamo iniziato questa celebrazione procedendo verso l’altare che liturgicamente è il simbolo di Gesù Cristo, sacerdote, vittima e – per chi si dona a lui nella consacrazione religiosa – lo sposo.

Carissimi, voi e le vostre comunità siete un “segno” e, nello stesso, tempo una “realtà” essenziale per la Chiesa che, se fosse privata della vita religiosa, risulterebbe impoverita di qualcosa che la rende maggiormente simile a Gesù Cristo.

Come la liturgia del Natale ci ha ricordato e come ci ricorderà la prossima festa della Presentazione del Signore, Cristo è “luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo” (cfr. Lc 2,32).

La religiosa e il religioso sono un particolarissimo riverbero di questa luce, nella Chiesa e nel mondo, quando vivono il proprio carisma a livello personale e comunitario e ciò diventa tanto più necessario quando tale testimonianza si fa più difficile, esigente, meno scontata.

Sono le parole del vecchio profeta Simeone che la Chiesa pone sulle nostre labbra durante la preghiera di compieta, l’ultima che le nostre comunità innalzano a Dio prima del riposo notturno: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo, che la tua serva, vada in pace…” (cfr. Lc 2,29). Aiutiamoci ed aiutiamo le consorelle e i confratelli a testimoniare, con forza, l’appartenenza piena e gioiosa al Signore.

La luce delle candele ci ha ricordato che, ricevuto il grande dono del battesimo e dopo la nostra consacrazione religiosa, si è chiamati a vivere l’esistenza come fosse una candela posta nelle mani di Dio.

Questa, secondo me, è una bella immagine della consacrazione religiosa, un’offerta pienamente donata, un vero riflesso della Sua luce, sì da passare dalle tenebre allo splendore di Cristo che salva, conduce sulla via del bene, allarga gli orizzonti, spoglia dagli egoismi, solleva dalle fragilità – ancor più evidenti in questi tempi difficili – e, infine, riveste di verità, amore e bellezza.

E così raccogliamo l’invito dell’apostolo Paolo, come abbiamo sentito nella lettura appena proclamata (1Cor 7,32-35), in cui si dice che l’unica “preoccupazione” di chi si dona a Dio è proprio il Signore. La nostra vita e il nostro cuore, così, non sono divisi ma puntano tutto su di Lui. La consacrazione non è un “laccio” ma la strada di ogni giorno che ci è data per vivere “degnamente” ed essere “fedeli al Signore, senza deviazioni” (cfr. 1Cor 7,32-35).

“Con Gesù – aveva detto Papa Francesco (il 2 febbraio del 2019) rivolgendosi alle persone consacrate proprio in occasione di tale Giornata – si ritrova il coraggio di andare avanti e la forza di restare saldi. L’incontro col Signore è la fonte. È importante allora tornare alle sorgenti: riandare con la memoria agli incontri decisivi avuti con Lui, ravvivare il primo amore, magari scrivere la nostra storia d’amore col Signore. Farà bene alla nostra vita consacrata, perché non diventi tempo che passa, ma sia tempo di incontro” (Papa Francesco, Omelia nella S. Messa per i consacrati in occasione della Giornata mondiale per la Vita consacrata, 2 febbraio 2019).

Abbiamo esempi di Sante che, per obbedienza, hanno scritto di sé e così hanno sostenuto la via di tanti consacrati e consacrate; pensiamo per esempio a Teresa d’Avila, a Teresina di Lisieux, a Faustina Kowalska.

Appena pochi giorni fa, nel corso della preghiera dell’Angelus, il Santo Padre ha invitato ad un esercizio spirituale semplice e, insieme, importante: ritornare ogni tanto, con la memoria, al preciso momento “nel quale Dio si è fatto presente più fortemente, con una chiamata. Ricordiamola. Andiamo indietro a quel momento, perché la memoria di quel momento ci rinnovi sempre nell’incontro con Gesù” (Papa Francesco, Preghiera dell’Angelus, 17 gennaio 2021).

E a Dio che chiama bisogna rispondere, e continuare ogni giorno a rispondere, con amore: “Dio chiama sempre. E la gioia più grande per ogni credente è rispondere a questa chiamata, offrire tutto sé stesso al servizio di Dio e dei fratelli… Ma la chiamata di Dio è amore, dobbiamo cercare di trovare l’amore che è dietro ogni chiamata, e si risponde ad essa solo con l’amore. Questo è il linguaggio: la risposta a una chiamata che viene dall’amore è solo l’amore. All’inizio c’è un incontro, anzi, c’è l’incontro con Gesù, che ci parla del Padre, ci fa conoscere il suo amore. E allora anche in noi sorge spontaneo il desiderio di comunicarlo alle persone che amiamo: “Ho incontrato l’Amore”, (…), “ho incontrato Gesù”, “ho trovato il senso della mia vita”. In una parola: “Ho trovato Dio” (Papa Francesco, Preghiera dell’Angelus, 17 gennaio 2021). Sono le sorprese di un Dio che si cerca sempre e non si trova mai in modo definitivo…

Ricordiamo, carissime sorelle e fratelli, che il nome dell’amore nel tempo è “fedeltà” e che la fedeltà fa rima con pazienza, fiducia, speranza, carità, perdono, umiltà, serenità e dono di sé di fronte a chi ci nega tale dono.

Impegniamoci allora ad amare non in modo teorico, a praticare e non ridurre mai al minimo indispensabile la vita comune; chiediamoci, ogni sera, su come si è o non si è costruita, in quella giornata, la vita comune. E se forse c’è qualche carenza, consideriamo se tutto ciò non sia originata da una carenza di preghiera personale e comunitaria.

L’importanza della vita consacrata è essenziale e questa Giornata lo ricorda a tutta la Chiesa. La persona consacrata, infatti, è dono e ricchezza per i ministri ordinati, per gli sposati, per i giovani, per gli anziani, per i sani e per i malati, poiché testimonia quanto solo ella può dire con la sua scelta di vita.

E qui io penso, innanzitutto, alla preghiera e alla testimonianza della vita, ossia al dono pieno di sé a Dio, ma anche a come, nella storia della Chiesa, la vita dei religiosi e delle religiose si sia tradotta in presenze vive e attive nell’ambito dell’educazione, dell’assistenza dei malati, degli anziani e delle missioni “ad gentes” nei Paesi più poveri e dimenticati.

Come Chiesa – ossia fedeli laici, sposi, ministri ordinati – dobbiamo essere più consapevoli del grande dono che è la piena consacrazione a Dio di una persona. Dobbiamo essere più consapevoli di quanto lo siamo stati fino ad ora. La consacrata e il consacrato sono doni (testimonianze) che rendono la Chiesa più Chiesa e, proprio attraverso questo carisma (vita religiosa), rendono attuale il Vangelo, ossia la buona notizia di Gesù.

E proprio perché abbiamo nella Chiesa il dono inestimabile della vita consacrata, dobbiamo valorizzarlo incominciando a riconoscerlo e a favorirlo, guardando alla Vergine Maria che – senza distrazioni, preoccupazioni o nostalgie – ha tenuto fisso lo sguardo su Gesù.

“La vita consacrata – è un altro pensiero di Papa Francesco che vi affido – è (…) vedere quel che conta nella vita. È accogliere il dono del Signore a braccia aperte, come fece Simeone. Ecco che cosa vedono gli occhi dei consacrati: la grazia di Dio riversata nelle loro mani. Il consacrato è colui che ogni giorno si guarda e dice: “Tutto è dono, tutto è grazia”. Cari fratelli e sorelle, non ci siamo meritati la vita religiosa, è un dono di amore che abbiamo ricevuto” (Papa Francesco, Omelia nella S. Messa per i consacrati in occasione della Giornata mondiale per la Vita consacrata, 2 febbraio 2020). Dobbiamo essere, insomma, riconoscenti.

La persona consacrata – vivendo fedelmente i voti di povertà, castità e obbedienza – esprime nella sua persona la dimensione mariana della Chiesa. Maria – giova ribadirlo – è la prima consacrata, è il modello di ogni consacrazione, a cui guardare come alla perfetta consacrazione.

Di tutto ciò sono viva e bella testimonianza i religiosi e le religiose che, in questo periodo, festeggiano uno speciale anniversario – “giubileo” – della loro professione religiosa: con loro eleviamo tutti insieme la nostra preghiera di lode e gratitudine a Dio, il nostro “Magnificat”.

La Vergine Maria – Colei che ha creduto e si è affidata a Dio – ci aiuti a fare della nostra vita un canto di lode a Dio, in risposta alla Sua chiamata e nell’adempimento umile, gioioso e quotidiano, della sua volontà. Ci aiuti Lei, la prima consacrata, unitamente alla immensa schiera dei Santi del Cielo, a tener desta la dimensione verticale della nostra identità: è solo da essa che sgorga ogni energia e sana creatività per una testimonianza credibile ed incisiva nella società contemporanea. Non dimentichiamo che i Santi e le Sante più attivi sono stati quelli interiormente più contemplativi e viceversa; pensiamo a san Francesco Saverio, patrono – proprio con Teresina di Lisieux – delle missioni.

Senza i contenuti forti della vita religiosa tutto viene meno, tutto impallidisce, si inaridisce, si stempera in una mondanità sterile e incapace di attrarre. Riflettiamoci, a livello personale e a livello comunitario!

E, infine, in questo anno dedicato a san Giuseppe, guardiamo a Lui, patrono universale della Chiesa e quindi, anche, dei consacrati e delle consacrate.

Grazie, da parte di tutta la Chiesa che è in Venezia, per la vostra vita di preghiera e testimonianza al Signore Gesù!