Omelia del Patriarca ai funerali di don Paolo Trevisan (Venezia / Chiesa parrocchiale di S. Felice, 30 settembre 2017)
30-09-2017

Funerali di don Paolo Trevisan

(Venezia / Chiesa parrocchiale di S. Felice, 30 settembre 2017)

 

 

 

Cari confratelli, cari fedeli,

insieme, oggi, ricordiamo all’altare del Signore il carissimo don Paolo che fra tre mesi, il prossimo 21 dicembre, avrebbe festeggiato i sessant’anni di ordinazione sacerdotale.

Don Paolo ha sempre amato le comunità dove ha esercitato con zelo il ministero ed era particolarmente legato alla comunità di San Felice.

Nato il 3 dicembre del 1931, don Paolo ha avuto il dono di una vita lunga ma, negli ultimi anni, si è dovuto misurare con una salute che lo ha fatto soffrire.

 

Sempre, comunque, don Paolo ha mantenuto il suo stile di vecchio scout, vale a dire esattezza, puntualità e responsabilità nei suoi compiti. Chi l’ha conosciuto bene e accompagnato spiritualmente anche nell’ultimo faticoso tratto di vita lo definisce “uomo pulito, amante della sua vocazione e che soffriva, non poco, non  potendo più – a motivo della salute – celebrare l’eucaristia tutti i giorni ma solo la domenica, come soffriva anche di non poter più esercitare il ministero sacerdotale poiché – là dove si era ritirato – non se ne davano le condizioni. Comunque, fino alla fine, don Paolo – continua la testimonianza di chi l’ha seguito spiritualmente fino alla fine – amava il rapporto personale col Signore che si traduceva anche nel desiderio della confessione regolare, tutte le volte che gli era possibile”.

Il Signore l’ha chiamato a sé nella notte fra mercoledì 27 e giovedì 28 settembre, in silenzio, senza clamore, così come si era svolta la sua vita soprattutto da quando, per il venir meno della salute, si era ritirato dal ministero.

 

La rasserenante e preziosissima preghiera di suffragio è per il cristiano, su questa terra, l’ultimo atto di vera e reale comunione con i fratelli; anche quando la morte separa, in modo definitivo, il cristiano conserva la grande risorsa della preghiera, perché cielo e terra in modo misterioso ma reale continuano a comunicare.

La creazione – che è, per eccellenza, opera di Dio – giunge al suo compimento, nell’Antico Testamento, il sabato, giorno del riposo del Signore: «Dio nel settimo giorno portò a compimento il lavoro fatto e cessò nel settimo giorno… Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gn 2, 2-3).

Così, mentre l’Antica Alleanza inizia con il vangelo della creazione, la Nuova si fonda sul Vangelo della Pasqua, il giorno della Risurrezione, l’ottavo giorno, il giorno dei cieli nuovi e della terra nuova. E questa è la grande certezza che esprime la nostra fede nel Signore risorto!

Il nostro carissimo don Paolo ha esercitato il ministero sacerdotale nelle comunità di San Zaccaria, San Felice, Santa Sofia e dei Tolentini, come vicario parrocchiale e come parroco; ha fatto inoltre parte del Collegio Urbano dei Parroci ed è stato cappellano dell’Arciconfraternita di San Cristoforo e della Misericordia.

Dopo cinquantacinque anni di ministero attivo – dal gennaio del 1958 al gennaio del 2013 – è iniziato per lui, come detto, un tempo caratterizzato da crescenti difficoltà di salute.

 

In questo periodo della sua vita don Paolo ha sperimentato la verità di quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura, dove l’Apostolo parla dell’attesa del compimento della redenzione: «… gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8, 23).

Don Paolo ci ha lasciati, per il cielo, dopo un periodo in cui il Signore gli ha domandato di seguirlo più da vicino, assomigliando di più a Lui crocifisso e unendosi a Lui nell’offerta della sua fragilità; è stato un altro modo di vivere il suo sacerdozio. Ad ogni sacerdote, è chiesto di vivere e morire in somiglianza al Signore Gesù, sommo ed eterno Sacerdote.

Ogni uomo parla con la sua vita, ma soprattutto con la sua morte. E proprio in questo frangente al prete si chiede qualcosa di specificamente sacerdotale; sì, anche, nel momento del morire, il prete è chiamato a dare la sua personale risposta. E don Paolo ci ha dato la sua.

Il Santo Curato d’Ars dice: “Il prete non è prete per sé…”. E questo è vero soprattutto nell’atto del morire, compimento di tutta la vita.

 

Insieme alla preghiera di suffragio noi preti, oggi, siamo chiamati a riflettere (per viverlo meglio) sul dono ricevuto il giorno dell’ordinazione quando siamo diventati, nelle nostre persone, segni di Gesù per i nostri fratelli attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo.

Un sacerdote non va mai da solo in Paradiso ma, sempre, con una moltitudine di fratelli e sorelle che, con lui, per l’eternità, ringrazieranno Dio per il dono del sacerdozio, espressione grande della tenerezza del cuore di Dio per il mondo.

 

Carissimo don Paolo, la Vergine Santissima – madre dell’Eterno Sacerdote – ti introduca nel mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.