Omelia ai funerali di mons. Tino Marchi (Venezia, 13 maggio 2008)
13-05-2008

Ai funerali di. Mons. Tino Marchi

 

San Marco, 13 maggio 2008

 

(Sap 3,1-9; Rm 8,31-35.37-39; Mc15,33-39.16,1-6)

Siamo qui, raccolti in commossa preghiera, per consegnare Mons. Tino Marchi, all’infinita misericordia del Padre. Egli si è spento a questa vita mentre la festa della Pasqua stava per raggiungere la sua pienezza nel dono dello Spirito, a Pentecoste.

‘Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel modo, li amò sino alla fine‘: con quelle parole l’evangelista Giovanni dava alla morte di Gesù e di ogni credente in lui, un senso radicalmente nuovo, leggendola nella luce del Risorto.

Ricordiamo Mons. Marchi (Don Tino per gli amici), come un ottimo prete: un veneziano autentico, il ‘burbero benefico’ dal cuore d’oro; amante della vita, della montagna e della buona compagnia; cresciuto in quell’ambiente ricco di umanità e di fede che fu la parrocchia di S. Polo, alla scuola di Mons. Tullio Ferraresi, uomo di grande carisma, che io non ho conosciuto, ma del quale tanto bene ho sentito dire dai suoi ‘giovani’.

Don Tino è stato un servitore fedele della sua Chiesa, soprattutto nel delicato settore amministrativo: chiamato a questa responsabilità dal Patriarca Agostini, ha continuato coi Patriarchi Roncalli, Urbani e Luciani e, per molti anni, con me, finché gli impegni romani della Commissione Paritetica per la revisione del Concordato e la Presidenza dell’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero non lo assorbirono a tempo pieno.

Dotato di riconosciute competenze, nei delicati compiti che gli furono affidati operò sempre con rigore e schietta lealtà verso la Chiesa e i suoi Superiori, mai disgiungendo le realtà amministrative da una vigilante preoccupazione pastorale.

Per molti anni guidò la FACI, l’associazione che a livello nazionale si prende cura degli aspetti umani, economici e amministrativi del clero italiano: e lo ha sempre fatto con uno spiccato senso ecclesiale, aiutando i confratelli, ma avendo sempre a cuore la vita buona del prete e la comunione ecclesiale.

Nella veste di rappresentante dei presbiteri italiani, fu poi tra i protagonisti del nuovo ordinamento di finanziamento del clero stesso, e fu esemplare per il senso ecclesiale con cui sempre affrontò gli aspetti economici. L’Episcopato e il Clero italiano gli debbono molto.

Mons. Marchi fu veramente prete, come ci testimonia anche la raccomandazione che volle fosse annotata dal suo necrologio:che cioè, oltre a pregare per la sua anima, ci si ricordasse che la vera nostra vita, quella eterna in Dio, sarà quella che seguirà la nostra morte.

 

Ora, dopo la purificazione d’una lunga sofferenza fisica, il Signore lo ha chiamato a sé. E noi speriamo siano risuonate su di lui le parole del divino Giudice: ‘Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore‘ (Mt 25,21).

Ci consolano le dolci parole delle fede che abbiamo appena ascoltato nella prima lettura: ‘Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà’Essi sono nella pace.. Dio li ha provati, li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del giudizio risplenderanno”.

Poi è risuonata al nostro cuore il grido possente di fede dell’apostolo Paolo che avvolge della luce pasquale la morte di chiunque viva e muoia nella braccia di Cristo: ‘Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?’Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, fame, la nudità, il pericolo, la spada?’Io sono persuaso che né morte, né vita’né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore‘. Non c’è viatico più bello per chi sa di essere pellegrino si questa terra e, camminando fra le tribolazioni della vita e le proprie fragilità, si incammina verso la patria che ci attende.

            Abbiamo finalmente ascoltato l’evangelo della morte e risurrezione del Signore, il mistero che ci coinvolge tutti grazie al Battesimo che ci immerge nella Pasqua di Cristo e grazie all’Eucaristia che don Tino, per 59 anni, ogni giorno ha celebrato, finché la salute glielo ha consentito.

Noi, che siamo stati battezzati, siamo stati immersi nella morte di Gesù. E come lui è risorto dai morti, così anche noi risorgeremo, come dice l’apostolo Paolo: ‘Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi‘ (Rm 8,11). Questa è la nostra fede. L’Eucaristia è caparra di risurrezione.

            Penso in questo momento ai pellegrinaggi a Lourdes a cui Don Tino partecipava quasi annualmente come membro del S.M.O.M. e lo vedo barelliere, umile e premuroso, che porta gli ammalati alla grotta delle apparizioni: un aspetto dolce, forse inaspettato nella sua figura forte, talora spicciativa, una capacità di piegarsi con misericordia sul dolore, come Gesù faceva con gli ammalati che lo assediavano.

E’ bello sottolineare che i funerali di Don Tino avvengono proprio il 13 maggio, il giorno dell’apparizione della Madonna ai tre fanciulli di Fatima: una coincidenza forse casuale, che ci piace annotare, anche per dire del delicato amore di don Tino alla Vergine Santa

.           A Lei noi lo affidiamo, perché lo accolga, con gli angeli e i santi, e lo accompagni a Gesù e Lui al Padre.

            La nostra Chiesa, che Don Tino ha amato e servito con intensa fede, lo affida ora alla misericordia di Dio e intercede per lui: la Comunione dei Santi in cui ha creduto, lo accolga, come la Madre del Signore ha accolto nel suo grembo il corpo morto del Figlio deposto dalla croce.

            In paradiso, dove noi lo speriamo, lui preghi per noi: per la nostra Chiesa e il suo Patriarca, per il seminario in cui per molti anni ha insegnato, per quanti lo hanno conosciuto e a cui, con fedele amicizia, ha voluto bene.

Alla Signora Veronica che lo ha seguito negli ultimi anni, agli amici della famiglia Pivetta e ai Padri Camilliani che lo hanno assistito con amore nella sua malattia, a quanti lo hanno accompagnato nell’ultimo sofferto tratto di strada vanno la nostra viva riconoscenza e il grazie più sentito dell’intera nostra Chiesa. Ai parenti le nostre condoglianze nella solidarietà della preghiera.