Omelia ai funerali di don Giuseppe Della Puppa (Venezia, 16 agosto 2007)
16-08-2007

Omelia al funerale di Don Giuseppe Della Puppa

 

San Silvestro, 16 agosto 2007

 

(Sap 3, 1-9; Rm 8, 31-35.37-39; Lc 23, 44-46.50.52-53;24, 1-6)

 

 

 

Don Giuseppe della Puppa ci ha lasciato: silenziosamente è tornato alla casa del Padre. La Chiesa ieri ha celebrato la festa dell’assunzione in cielo della Santa Madre di Gesù: don Giuseppe è andato a celebrarla in paradiso.

 

Era un buon prete, nel senso più vero e più dolce di questa espressione: un sacerdote colto, un raffinato musicologo, semplice con un pizzico di ingenuità, umile, generoso, di grande umanità. Il suo ‘curriculum’ è quello di un prete che lavora spostandosi là dove serve, con due costanti: il servizio pastorale nelle comunità parrocchiali e l’insegnamento di lettere e di musica nel Seminario patriarcale.

 

Pellegrinò per varie comunità finché approdò a Venezia nel 1966, come collaboratore a San Martino di Castello e, poi, a parroco a San Silvestro dal gennaio del ’79 (penso sia il primo parroco da me nominato come patriarca di Venezia) fino al 2005, quando passò la guida della comunità a don Antonio, rimanendo però ‘in famiglia’, come il vecchio padre.

 

Un sacerdote quindi, don Giuseppe, esemplare e zelante, che ha lavorato nella vigna del Signore come un servo buono e fedele

 

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            Il libro della Sapienza ci ha assicurato che ‘le anime dei giusti sono nelle mani di Dio’Essi sono nella pace. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del giudizio risplenderanno”.

 

 

            La lettera dell’apostolo Paolo alla comunità di Roma canta la gioia della speranza cristiana: ‘Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?’ Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?’ Io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore’.

 

Don Giuseppe ha amato il Signore, per quasi sessant’anni ogni giorno ha celebrato l’Eucaristia e ha servito il Vangelo nei suoi fratelli, con generosa disponibilità: le parole dell’apostolo Paolo risuonano per noi come motivo di sicura speranza pensando al suo incontro con il Signore.

 

 

            Nel Vangelo abbiamo proclamato la morte e la risurrezione del Signore Gesù: noi infatti crediamo che la nostra morte, grazie al Battesimo che è immersione nella Pasqua di Cristo, è partecipazione al mistero della sua morte e, quindi, anche della sua risurrezione. Come il corpo di Cristo, quello di Don Giuseppe tra poco sarà consegnato alla tomba, ma un giorno risorgerà. Le parole degli angeli alle donne, andate al sepolcro per prendersi cura del corpo del Crocifisso, risuonano anche per noi come la grande certezza che illumina la vita: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato‘. Come Cristo è risorto, anche noi un giorno risorgeremo con la totalità del nostro essere, anima e corpo. Come professiamo nel ‘Credo’: ‘Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà‘.

 

La grazia concessa alla Madre del Signore e celebrata ieri nella fesa dell’Assunzione, è la vocazione battesimale di tutti noi. Maria è la primizia: là dove ella è giunta, c’è già un posto preparato da Gesù per ciascuno di noi. Infatti non siamo stranieri nella casa di Dio, siamo figli e concittadini dei Santi.

 

Per questo la Chiesa nella liturgia che noi stiamo celebrando circonda di segni pasquali la bara del defunto: accende il cero, segno di Cristo risorto, spalanca il libro dei vangeli dove sono le parole della vita, asperge il feretro con l’acqua battesimale benedetta nella veglia pasquale, lo profuma con l’incenso, proprio come volevano fare le donne quando acquistarono gli aromi per profumare il corpo del Signore.

 

Canta infatti la Liturgia nella Messa dei defunti: ‘ In Cristo, tuo Figlio e nostro salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata una abitazione eterna nel cielo’.

 

Questo ci dice il valore e la serietà della vita: giorno per giorno, nell’impegno di fedeltà al Vangelo, nell’amore ai fratelli e nel compimento del nostro dovere, noi prepariamo la nostra abitazione eterna nel cielo.

 

 

Ora, con serena speranza, offriamo questo nostro fratello all’infinita misericordia del Padre, umilmente intercedendo per lui: ‘Signore, non chiamare in giudizio col tuo servo, Signore: nessun vivente davanti a te è giusto‘ (Sl 142)’ ‘Se consideri le colpe, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono è la misericordia..’ (Sl 129).

 

Nelle festa dell’Assunta abbiamo cantato: ‘Una donna ha chiuso la porta del cielo, una donna l’apre per noi: Maria, Madre del Signore’: noi la preghiamo perché accolga, con il suo sposo San Giuseppe, questo nostro fratello e l’accompagni a Gesù e Gesù al Padre.

Il suo volto, su questa terra, non vedremo più; ma sappiamo che il Signore non allontana da noi chi ritorna a lui. Confidiamo quindi nella sua intercessione presso il Padre per tutti noi: per la sua parrocchia, per la Chiesa di Venezia e il suo Patriarca, per il Seminario, perché il Signore ci doni la benedizione delle vocazioni.

 

Affidando questo nostro fratello alla bontà del Padre, rinnoviamo la nostra fede nella grazia delle croce gloriosa di Gesù e in quella comunione dei Santi che ci unisce tutti, fin da ora, superando lo stesso distacco della morte. Ci sostiene la sicura speranza che un giorno, contemplando faccia a faccio il volto dell’unico Padre, noi ci ritroveremo tutti, uniti in una gioia senza fine

 

Ai fratelli e sorelle, ai parenti tutti le condoglianze dell’intera assemblea.

 

A nome del Patriarca e del Presbiterio ringrazio Don Antonio e don Agostino che gli sono stati fratelli in questi anni e quanti, specialmente nel periodo dei suoi malessere di salute, gli sono stati vicini con il loro affetto e il loro aiuto.