Meditazione del Patriarca all'incontro ecumenico nell'ambito della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (Venezia, 25 gennaio 2013)
25-01-2013


Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2013


Liturgia della Parola su Michea 6, 1-8 (Venezia – S. Marco, 25 gennaio 2013)


Meditazione del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia


 


 


 


Cari fratelli e sorelle in Cristo,


è con vera gioia che, insieme a voi, mi rivolgo a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo in questa liturgia che si svolge nella basilica cattedrale di San Marco durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.


La pericope scelta per questo fraterno incontro di preghiera appartiene alla predicazione di Michea. Siamo alla fine dell’ottavo secolo a.C.: il profeta, umile contadino della Palestina del Sud, protesta in favore dei deboli sfruttati sia dai loro disumani padroni sia dall’invasore Assiro. Michea è contemporaneo dell’aristocratico Isaia che, con linguaggio simile, si rivolge agli ambienti ufficiali di Gerusalemme.


  Il testo biblico che abbiamo ascoltato e ha scandito i differenti momenti di questa liturgia, riguarda per la sua quasi totalità (Mic 6,1-7) la denuncia delle ingiustizie e della generale corruzione mentre l’ultimo versetto (Mic 6,8) contiene il vertice non solo della predicazione di Michea ma di tutto l’insegnamento profetico.


Tutto viene compendiato in un breve, intenso e preziosissimo passo in cui Michea guarda, all’uomo che ha dinanzi: ‘Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio‘ (Mic 6,8). Con tale ‘parola’ siamo condotti al centro della questione ecumenica che è l’obbedienza al Vangelo attraverso la conversione e guardando a Dio per fare la sua volontà attraverso il dono della grazia.


Richiamiamo l’incipit del libro di Michea che contestualizza nel tempo e nello spazio questa importante parola di Dio: ‘Parola del Signore, rivolta a Michea di Morèset, al tempo di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Visione che egli ebbe riguardo a Samaria e a Gerusalemme’ (Mic 1,1).


Michea non parla in maniera astratta ma si rivolge all’uomo concreto e condanna con forza l’ingiustizia sociale, l’oppressione del debole, la prepotenza dei forti e la corruzione di quanti sono preposti al popolo e dovrebbero amministrare con giustizia e verità ma non lo fanno.


Così il profeta mette a nudo il peccato della casa di Giacobbe e dei suoi capi (cfr. Mic 1,1-3.12), parla della futura restaurazione di Sion e del Messia venturo (cfr. Mic 4,1-5.14). Proprio in questa parte del libro si trova la celebre profezia su Betlemme, il luogo in cui sarebbe nato il Messia venturo: ‘E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele” (Mic 5,1).


All’interno della sezione in cui si dà la ferma denuncia della corruzione diffusa e generalizzata (cfr. Mic 6,1-7,7), troviamo la ‘parola’ della nostra preghiera ecumenica. E’ da tale contesto che esce, rinnovata, la fiducia nel futuro messianico. Dio porta a salvezza, suscitando un resto che, seppur piccolo, rappresenta la giustizia e la forza di Dio che già si manifesta attraverso questo piccolo resto: ‘Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio‘ (Mic 6,8).


Il Signore domanda ad ogni uomo, di ogni tempo, di entrare a far parte di questo resto. Così Michea percepisce la grandezza trascendente di Dio e, allo stesso tempo, avverte quanto realmente Dio cura il suo popolo e, tramite lui, tutti gli uomini.


Per Michea è motivo di profonda amarezza vedere il formalismo religioso di quel popolo a cui il suo contemporaneo, il profeta Isaia, si rivolge senza mezzi termini con queste parole: ‘Quando venite a presentarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli’ (Is. 1,12-14).


Sì, c’è il culto gradito a Dio ma, poi, c’è il culto degli ipocriti che risulta sgradito a Dio in modo sommo. E Michea delinea anche la scena di un processo intentato da Dio al suo popolo. Dio, ferito da tanta ingratitudine si lamenta: è questo il modo scelto da Michea per dire che Dio, il tre volte Santo, il totalmente Altro, non rimane indifferente rispetto alla situazione degli uomini e non è lontano da loro. Al contrario, il Dio di Michea è il Dio con noi, il Dio di Betlemme e del Calvario; è, insomma, il Dio che rimane uomo per l’eternità.


Michea denuncia la situazione del popolo preso dallo sconforto e rimanda al tempo in cui Israele viveva l’Alleanza come amore verso Dio e non come un mercanteggiare con Lui, riducendo tutto a esteriorità. Comprendiamo, allora, la parola del profeta: ‘Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio‘ (Mic 6,8).


Al termine di questo nostro incontro fraterno – come commento al testo del profeta Michea che ci ha guidato nella comune preghiera – riascoltiamo le parole di Unitatis redintegratio, il testo del Concilio Vaticano II che oggi – a cinquant’anni dall’inizio dell’ultima assise ecumenica – assumono un valore particolare: ‘Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, devono essere considerate come l’anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale’ (Unitatis redintegratio, n.8).


Il Dio Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – ci guidi nel cammino verso la pienezza dell’Amore-Verità, nella gioia di un rinnovato impegno battesimale.