Intervento durante i Secondi Vespri della Domenica in occasione dell'incontro del Patriarca con i Gruppi di ascolto della Diocesi (Mestre, Sacro Cuore - 9 giugno 2013)
09-06-2013
Incontro del Patriarca con i Gruppi di ascolto della Diocesi
(Mestre, chiesa del Sacro Cuore – 9 giugno 2013)
Intervento del Patriarca durante i Secondi Vespri della Domenica[1]
Dobbiamo innanzitutto rilanciare in noi quella grazia che sono le comunità di ascolto, i Gruppi di ascolto della parola di Dio. Quando noi ci riuniamo portiamo – immagino – un libro tra le mani; ascoltiamo la pericope che viene letta e la rileggiamo: è uno strumento. La realtà vera è un’altra: in quel momento il Signore Gesù è in mezzo a noi e lo è con la sua parola. La parola mi rende presente una persona. Una lettera, un messaggio – anche se fisicamente la persona non c’è -, ed ecco quella persona è resa presente dalla sua parola. L’ascolto della parola di Dio, quando è vero ascolto credente, rende presente il Signore.
Siamo a 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e la Sacrosanctum concilium ci ricorda che ci sono tanti modi attraverso i quali il Signore si rende presente. C’è un modo sublime – abbiamo ascoltato, su questo, le testimonianze – e più alto: l’Eucaristia. Ma il Signore si rende presente anche quando due o tre sono riuniti nel suo nome, quando la sua parola viene annunciata e ascoltata in modo credente.
Noi ascoltiamo quella parola che è detta dalla Chiesa ed è trasmessa dalla Chiesa. La Dei Verbum, che tratta della rivelazione di Dio in modo completo, ci dice che la rivelazione di Dio si rende presente in Gesù Cristo e la parola di Dio, consegnata alla Chiesa, è trasmessa dalla Chiesa. Il nostro primo impegno, nei Gruppi di ascolto, è essere in comunione con la Chiesa perché quella parola sia veramente la parola di Gesù. Perché sia l’ascolto di quella parola detta nella Chiesa, detta attraverso la Chiesa.
La liturgia – che è la grande maestra della nostra fede, nel momento in cui la nostra fede raggiunge il suo vertice più alto diventando preghiera e adorazione – ci insegna che, quando si introduce un brano della Scrittura, si enuncia l’autore umano ma, quando si è terminata la lettura della pericope, si dice ‘parola di Dio’ o ‘parola del Signore’. Quella parola giunge a noi in modo umano, attraverso la vicenda di Cristo che continua nella Chiesa.
Le lettere di san Paolo non sono annunci sintetici della fede e neanche trattazioni sistematiche ma sono documenti pastorali. Paolo viene a sapere che la Chiesa – che aveva fondato qualche anno prima a Corinto – è in difficoltà e gli pongono delle domande; lui risponde e ci dà un metodo che è valido anche oggi a livello personale, familiare ed ecclesiale.
Il cristiano i suoi problemi li risolve a partire dal Signore Gesù: questa è la grande linea che Paolo insegna nelle sue lettere ed anche nella prima lettera ai Corinzi dove Paolo risponde alle difficoltà di una comunità e interviene dicendo: guardate al Signore Gesù.
I gruppi di ascolto debbono essere soprattutto convinti di questo: se io pronuncio e ascolto quella parola in comunione con la Chiesa, nella Chiesa che mi spiega quella parola, i gruppi di ascolto diventano un momento di vita vissuta dal cristiano che si confronta e non si stanca di immergere la sua vita nel Signore Gesù. E vorrei ricordare che – di fronte alle tante difficoltà che la comunità di Corinto vive, soffre e patisce – Paolo pone alcuni ‘fuochi’: l’Eucaristia e, soprattutto nel capitolo 15, la fede nel Signore risorto.
Noi dobbiamo assumere lo sguardo del Signore risorto nel guardare la nostra vita, nel guardare le realtà penultime e nel guardare la nostra quotidianità; dobbiamo assumere lo sguardo di Cristo risorto. Ecco perché Paolo non nasconde le difficoltà della comunità di Corinto – divisa, separata, scissa e che fatica a seguire le linee della vita, della santità cristiana – e propone a questa comunità l’Eucaristia, dicendo anche che l’Eucaristia può essere celebrata male’ E dà il modo concreto in cui si deve celebrare l’Eucaristia. Paolo parla della carità, ne fa un inno lirico ma, soprattutto, la trasmette come consegna di vita concreta. E’ vero: l’inno alla carità è uno dei passi più alti del Nuovo Testamento ma la carità chiede di essere vissuta nella prosa e nella fatica quotidiana. Non a caso, Paolo la pone come stile di vita cristiana.
E tutto viene illuminato dalla certezza della risurrezione. La comunità fatica, ma si trova intorno all’Eucaristia, circa la celebrazione della quale Paolo chiede una conversione radicale: la comunità è chiamata a valutare tutto a partire dalle virtù teologali e soprattutto dalla carità, la comunità è chiamata – alla fine della prima lettera ai Corinzi – a guardare alla risurrezione come realtà vera, come sguardo semplice ed esaustivo sulla realtà, capacità di essere liberi di fronte alle tante lusinghe del mondo.
Leggerete prossimamente le lettere agli Efesini e ai Filippesi e troverete un certo sviluppo di temi, trattati forse in modo diverso, ma ritornerete sulle stesse tematiche di fondo. Il ‘mio’ Vangelo, dirà, non è motivato sugli uomini: è rivelazione di Gesù Cristo. Paolo continuerà ad annunziare questo ‘suo’ Vangelo, che era entrato nella sua vita in modo dirompente e inaspettato sulla strada di Damasco. Chiediamo al Signore di poter vivere anche noi il nostro incontro di Damasco. E che i gruppi di ascolto – le comunità che ascoltano la parola e si ritrovano a partire dal Signore Gesù – possano essere veramente le strade di Damasco per ciascuno di noi.
Al termine dell’incontro il Patriarca ha, tra l’altro, aggiunto le seguenti parole:
Ringrazio per la presenza costante, ormai da tanti anni in Diocesi, di questi ‘fuochi’ che ora cerchiamo di rilanciare guardando anche alle tante cose buone nate da questi piccoli ‘cenacoli’. Solo il Signore sa cosa passa attraverso le anime. Quando a noi sembra di aver fatto bene, forse il Signore sorride vedendo l’inutilità delle nostre azioni’ Quando ci sembra, invece, di non essere riusciti’ magari il Signore si compiace perché abbiamo agito proprio come avrebbe agito Lui’ Dobbiamo avere quello sguardo di fede che la parola di Dio deve alimentare in ciascuno di noi. Chi ha uno sguardo di fede non ha qualcosa di meno degli altri ma ha una realtà più grande perché, vedete, la vera realtà che rimane, alla fine, è la risurrezione, il Signore risorto. Guardare a Lui e far nascere la nostra fede dall’incontro con Lui vuol dire anche essere persone molto realiste, concrete, operative e capaci di vedere la realtà ‘prima’ delle cose. Grazie per la vostra presenza.

 


[1] L’intero testo – non rivisto dall’autore – riporta la trascrizione dell’intervento pronunciato dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del ‘parlato’ che lo ha contraddistinto.