Intervento del Presidente della CET e Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Triveneto all'inaugurazione dell’Anno giudiziario (Zelarino, 20 febbraio 2020)
20-02-2020

Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto

Inaugurazione dell’Anno giudiziario (Zelarino, 20 febbraio 2020)

Intervento del Presidente della CET e Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Triveneto

S.E. Mons. Francesco Moraglia

 

 

 

 

Il mio saluto al Vescovo delegato S.E. Pierantonio Pavanello, ai confratelli Vescovi, al Vicario giudiziale mons. Adolfo Zambon, a voi stimati operatori – giudici, difensori del vincolo, avvocati, consulenti, personale tecnico e amministrativo – ringraziandovi per il prezioso servizio che svolgete a favore di chi si rivolge al Tribunale Ecclesiastico del Triveneto.

Questo incontro annuale per la solenne apertura dell’anno giudiziario ci offre l’opportunità di fare il punto della situazione, in particolare dopo un primo periodo di applicazione del Motu proprio “Mitis Iudex Dominus Jesus” di Papa Francesco sulla riforma del processo canonico.

L’introduzione del processo brevior – elemento balzato all’attenzione generale – implicitamente ha richiamato tutti al fatto che i processi, anche in ambito canonico ed ecclesiale, dovrebbero appunto essere “brevi”, ossia contenuti nei tempi. Caratteristica della buona giustizia è di riuscire a contenere i tempi del processo senza peraltro omettere gli atti richiesti e opportuni per una corretta fase di valutazione e giudizio.

Il processo brevior – come sappiamo – è una modalità del processo di nullità del matrimonio e fa riferimento alle stesse norme di diritto sostanziale; di conseguenza ha carattere giudiziale e non deve essere pensato come una via “pastorale” alternativa al processo “ordinario”.

Importante risulta il senso dell’intervento – obbligatorio – del Vescovo diocesano/giudice, in quanto richiama la responsabilità del Vescovo nei processi di nullità matrimoniale che, ordinariamente, si esercita garantendo l’esercizio della funzione giudiziale tramite il Tribunale.

A quasi cinque anni dalla promulgazione del motu proprio “Mitis Iudex” (8 settembre 2015) si può ora cominciare a guardare il percorso fatto e a disegnare alcune prospettive. Se molta attenzione è stata riservata alla possibilità di un processo brevior, sembra utile considerare la natura pastorale di ogni processo nella Chiesa – non solo quello matrimoniale e quello brevior – poiché ordinato a tutelare il bene della comunità ecclesiale.

Nello specifico del contesto matrimoniale indubbiamente il “Mitis Iudex” ha aiutato tutti – anche chi, come noi Vescovi, non opera direttamente e quotidianamente in queste realtà – a riflettere sul necessario incontro tra Tribunale e Pastorale familiare, approfondendo così l’esperienza dolorosa di chi incontra, non poche volte nel momento più acuto della lite, situazioni di sofferenza e disagio di uomini e donne che constatano il fallimento del proprio progetto coniugale, il fallimento del progetto della propria vita. Il contributo dei Tribunali alla Pastorale familiare è possibile perché il giudizio di verità matura in un contesto di ascolto / dialogo che si fa accompagnamento idealmente teso ad un inserimento più compiuto nella vita della Chiesa.

Se il “buio” o addirittura il “deserto della fede” – per usare alcune espressioni di Papa Francesco – sono quantomeno concausa di fragilità in troppi percorsi di vita coniugale, l’annuncio della fede – il Vangelo del matrimonio e della famiglia – diventa così, sempre più, un elemento fondante il ministero peculiare degli operatori dei Tribunali ecclesiastici.

Mi piace ricordare il percorso formativo su “Il servizio della Chiesa verso le famiglie ferite” che, per il secondo anno, è stato proposto dalla Facoltà Teologica del Triveneto e dalla Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia, con la collaborazione del Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto e dell’Osservatorio Giuridico Legislativo della Regione Ecclesiastica Triveneta. Desidero qui ringraziare chi guida queste significative realtà ecclesiali: don Benedict Ejeh – prima di lui don Giuliano Brugnotto -, don Roberto Tomasi e l’avv. prof. Giuseppe Comotti.

Con tale opportunità formativa più di centoquaranta persone della nostra regione ecclesiastica – operatori della Pastorale familiare – hanno potuto riflettere e confrontarsi su questo che, purtroppo, è uno snodo frequente per molte famiglie, impegnandosi in diversi ambiti (teologico, morale, spirituale, psicologico e giuridico) necessari per poter facilitare l’incontro e l’accompagnamento delle persone.

In un’ideale prosecuzione si colloca anche il convegno di studio sul tema “Amore e giustizia voglio cantare. La giustizia profezia della Chiesa” organizzato il prossimo 12 marzo dalla Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia e dalla Facoltà Teologica del Triveneto per approfondire il rapporto fra teologia e diritto alla luce dei dibattiti suscitati dall’esortazione apostolica “Amoris laetitia”.

Come Presidente della Conferenza Episcopale del Triveneto voglio ricordare che le nostre quindici Diocesi si sono impegnate ad individuare persone, organi e organismi quali punti di riferimento per accogliere, ascoltare ed accompagnare i fedeli che hanno sperimentato il venir meno di un legame familiare verso un più pieno incontro con quelle che Papa Francesco chiama le “piene esigenze” del Vangelo, quel giogo che è dolce e leggero perché continuamente sorretto dalla grazia di Gesù Cristo.

Lascio ora la parola a S.E. monsignor Pavanello che, anche per l’esperienza maturata quale apprezzato operatore di questo Tribunale e come professore della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X, è stato delegato dalla Conferenza Episcopale Triveneto a seguire quel delicato intreccio di ambiti che riguarda la famiglia, la vita, il Tribunale e la tutela dei minori.

Rinnovo, infine, il mio grazie a mons. Adolfo Zambon, Vicario Giudiziale di questo Tribunale Interdiocesano, e a tutti coloro – chierici, consacrati e laici – che vi lavorano profondendo competenza e passione.