Intervento del Patriarca durante la preghiera ecumenica nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (Venezia / Convento “Ss. Giuseppe e Bonaventura” delle Monache Carmelitane Scalze, 22 gennaio 2021)
22-01-2021

Preghiera ecumenica – Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

(Venezia / Convento “Ss. Giuseppe e Bonaventura” delle Monache Carmelitane Scalze, 22 gennaio 2021)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Fratelli e sorelle in Cristo,

mi rivolgo a tutti, pur a distanza, con vero affetto nel Signore Gesù.

Se le condizioni attuali dettate dalla pandemia ci hanno tolto la bella consuetudine di ritrovarci – come avveniva per questo momento di preghiera – nella basilica cattedrale di S. Marco, nondimeno è fonte di gioia per noi essere accolti nella chiesa del Convento dei “Ss. Giuseppe e Bonaventura” dalle Monache Carmelitane Scalze che ringraziamo. E quindi, quest’anno, la preghiera ecumenica a Venezia è nel segno del monachesimo e della donna, se consideriamo che i testi del sussidio sono stati preparati dalla comunità monastica femminile di Grandchamp in Svizzera.

Il tema che, quest’anno, guida la nostra comune preghiera ci chiede di ritornare alle origini della nostra fede e aiuta il nostro cammino verso una comunione più piena e vera.

Le parole di Gesù raccolte nel capitolo quindicesimo del Vangelo secondo Giovanni (cfr. Gv 15,5-9), da cui è tratto il tema di questa settimana – “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” -, in un certo senso, non ci lascia… scampo e ci sprona a ritrovare il fondamento e il carattere spirituale – nel senso autenticamente cristiano del termine e, quindi, concretissimo e mai vago o disincarnato – del nostro essere discepoli del Signore. Tutto nasce e dipende dal legame che stabiliamo con Lui, Gesù, il Figlio, l’unico Salvatore, e dal legame che a partire da Lui – e attraverso Lui – stabiliamo tra noi e con la realtà che ci è data di vivere.

Il centro è sempre il Signore Gesù, non il nostro – il mio – “io” spesso diviso, frantumato e disperso. Come hanno messo bene in evidenza le monache della comunità di Grandchamp, è importante essere, insieme, “uno” nel proprio io e uniti a Cristo. Ma una vita così “integrata” – potremmo, anzi, dire “integrale” – richiede un percorso di “auto-accettazione, di riconciliazione con la storia personale e con quella che abbiamo ereditato”.

Si tratta di “rimanere” in Gesù come Lui stesso, in tutta la sua vita, è rimasto nell’amore del Padre ed accogliere questa linfa vitale di amore e verità che ci dona e ci trasmette e divide del tutto con noi; il capitolo 15 di Giovanni contiene l’immagine eloquente della vite e dei tralci. Si tratta di restare “innestati” nella vite – che è Gesù stesso – e disponibili anche ad essere periodicamente e talvolta drasticamente “potati” da Dio Padre perché – come fa ogni persona che esercita un’autentica paternità – possiamo crescere davvero e andare avanti, insieme con gli altri.

Se rimaniamo in Lui siamo così “ricentrati” e resi un tutt’uno nel nostro “io” e anche fra di noi, in modo da rendere insieme gloria e lode all’unico Padre, Creatore e Salvatore. Colui che ci ricentra e ci pota ci rende, perciò, un tutt’uno e un’umanità resa un tutt’uno rende gloria al Padre.

“Abitare nella corrente dell’amore di Dio – ha detto Papa Francesco commentando questa pagina del Vangelo di Giovanni –, prendervi stabile dimora, è la condizione per far sì che il nostro amore non perda per strada il suo ardore e la sua audacia. Anche noi, come Gesù e in Lui, dobbiamo accogliere con gratitudine l’amore che viene dal Padre e rimanere in questo amore, cercando di non separarcene con l’egoismo e con il peccato… L’amore di Cristo non è un atteggiamento superficiale, no, è un atteggiamento fondamentale del cuore, che si manifesta nel vivere come Lui vuole. L’amore si realizza nella vita di ogni giorno, negli atteggiamenti, nelle azioni; altrimenti è soltanto qualcosa di illusorio. Sono parole, parole, parole: quello non è l’amore” (Papa Francesco, Preghiera del Regina Caeli, 6 maggio 2018).

Una vita unita in Cristo è una vita unita in sé e questo avviene prima di tutto non per una capacità personale ma per un dono che viene dall’alto, come frutto della grazia di Dio. Questa dinamica “muove” dalla conversione del cuore e della mente che accettano di abbandonarsi al Signore ed è il primo passo di un ecumenismo autentico.

“Rimanere” nell’amore del Figlio che “rimane” nell’amore del Padre apre il cristiano ad una prospettiva nuova e lo avvicina ai fratelli che, in quello stesso amore, desiderano crescere. L’ecumenismo “abita” in persone e in Chiese, in comunità di credenti costituite da persone continuamente – ogni giorno – disponibili alla conversione, a ritornare al “primo” (originario) amore – quello di Dio – ed anche a lasciarsi trasformare e “potare” da Lui.

A ispirare tra l’altro la riflessione delle monache di Grandchamp è stato un testo di Doroteo di Gaza, monaco palestinese del IV secolo: “Immaginate un cerchio disegnato per terra, cioè una linea tracciata come un cerchio, con un compasso e un centro. Immaginate che il cerchio sia il mondo, il centro sia Dio e i raggi siano le diverse strade che le persone percorrono. Quando i santi, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, nella misura in cui penetrano al suo interno, si avvicinano l’un l’altro e più si avvicinano l’uno all’altro più si avvicinano a Dio. Comprendete che la stessa cosa accade al contrario, quando ci allontaniamo da Dio e ci dirigiamo verso l’esterno. Appare chiaro, quindi, che più ci allontaniamo da Dio, più ci allontaniamo gli uni dagli altri e che più ci allontaniamo gli uni dagli altri, più ci allontaniamo da Dio”.

Non poteva illustrarci meglio la corrispondenza e l’intreccio vivo che nei santi – e, quindi, potenzialmente in ogni credente – si instaura nel rapporto con Dio e gli altri, con sé, con la realtà concreta e quotidiana.

Nella nostra comune preghiera esprimiamo l’intenzione e il desiderio che tutti i cristiani – tutte le nostre Chiese – si interroghino sinceramente se il cammino che si sta seguendo è generato ed è frutto della conversione a Dio. Se non fosse così anche l’impegno ecumenico rischia di ridursi ad una tecnica di equilibrismo ecclesiale / ecclesiastico; un tentativo forse anche nobile, per certi versi, ma dal fiato corto.

La regola che ispira le giornate delle monache di Grandchamp inizia così: “Prega e lavora affinché Dio possa regnare”. Facciamo nostro tale proposito per essere capaci di accogliere i doni di grazia che consentano a Lui di regnare in noi per costruire e rafforzare la comunione.