Intervento del Patriarca all'incontro, sul tema 'Una Chiesa in uscita', con i Gruppi di ascolto della Diocesi di Venezia (Mestre, 22 febbraio 2014)
22-02-2014
‘Una Chiesa in uscita’: incontro del Patriarca
con i Gruppi di ascolto della Diocesi di Venezia
(Mestre / Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore – 22 febbraio 2014)
 
Intervento del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Carissimi amici dei gruppi di ascolto della Parola,
desidero innanzitutto dirvi la mia gioia e la mia gratitudine per quanto, da anni, fate a servizio della nostra amata Chiesa diocesana. Un ringraziamento particolare va a don Valter che vi segue con attenzione.
Inizio riprendendo un pensiero del mio predecessore, l’indimenticato Patriarca Marco, che nel 1997 – a proposito dei nascenti gruppi di ascolto – così si esprimeva: ‘Sogno comunità punteggiate da ‘gruppi di ascolto della Parola’: realtà umili, dove la Parola di Dio viene letta con umiltà, mitezza e viene assimilata e tradotta nella vita quotidiana. Con umiltà: nella catechesi, nei gruppi di ascolto è Gesù di Nazaret, il Risorto, che appare e parla. Nessuno lo vede; ma Lui è lì. E poi da questi gruppi di ascolto si parte sulle strade della vita: una vita che non è più profana, perché Cristo vive in noi e la vita diventa luminosa, come quella di Gesù. Vita cristiana e missionarietà – concludeva – si identificano’ (Marco Cè, Presentazione dell’anno pastorale ai sacerdoti, Venezia / S. Marco 9 ottobre 1997, in ‘Il dono dello Spirito nella vita del credente e della comunità cristiana. Presentazione del programma pastorale 1997/98’, Edizioni Cid 1997).
Carissimi, il Concilio Vaticano II – di cui ancora esorto a leggere ed anche a studiare con impegno i testi – ha dedicato uno dei suoi documenti principali – la costituzione dogmatica Dei Verbum – al tema della parola di Dio. Il Concilio intende la parola di Dio nel suo senso forte, ossia la ‘rivelazione’ divina.
Leggo direttamente il testo che voglio sottoporre alla vostra attenzione: ‘Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura. Con questa Rivelazione – continua il testo del Concilio – Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione’ (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 2).
E poco prima, citando sant’Agostino, il Concilio diceva di voler insegnare e ‘proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami’ (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 1).
            La rivelazione è l’evento che la Chiesa custodisce e annuncia con gioia, amore e autorevolezza. E’ ancora la costituzione Dei Verbum che ci ricorda come la divina rivelazione avvenuta in Cristo sia la ‘parola sostanziale’ o, meglio, la stessa persona di Gesù: nato, morto e risorto per noi.
Carissimi, i gruppi di ascolto ricercano una conoscenza sapiente del mistero di Dio, sono una vera scuola di preghiera e una vera scuola di vita cristiana. Perseguono una comunione che è vero incontro con Gesù che, proprio nella sua persona, è il Vangelo e cioè il buon annuncio cristiano. I gruppi di ascolto che voi tenete in vita, vivificate e promuovete non perseguono una finalità culturale e intellettuale ma piuttosto la conoscenza orante della persona di Gesù, attraverso la meditazione amorosa della Sacra Scrittura.
San Girolamo diceva che l’ignoranza della Sacre Scritture è ignoranza di Cristo e allora, in questa prospettiva che ci è consegnata dal Concilio, ci è di aiuto quanto Papa Francesco sottolinea nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium là dove ritorna, di continuo, sull’impegno missionario e sull’evangelizzazione. O, meglio, sulla gioia dell’evangelizzare e di essere missionari. Non lasciamoci allora togliere dagli anni che passano, da qualche inevitabile sconfitta o da qualche defezione intorno a noi la gioia di evangelizzare, la gioia di essere missionari.
Era il proposito dell’incontro, ricordato all’inizio da don Valter, avvenuto con alcuni di voi il 18 gennaio 2013; in quella circostanza ribadii che bisognava reagire ad un sottile senso di scoramento impegnandosi con forza e dando ai nostri gruppi un taglio decisamente missionario. Accennavo tra l’altro (e chi era presente lo ricorderà) al rischio di ‘parlarsi addosso’ ed è esattamente quanto Papa Francesco ha ribadito nell’Evangelii gaudium quando afferma – siamo al n. 15 – che ogni azione della Chiesa deve commisurarsi sul paradigma della missionarietà.
La missionarietà risulta, a livello ecclesiale, la garanzia della bontà di una parola, di un’azione e, in senso più ampio, dello stile del discepolo e di una comunità. Essere missionari – non facciamo sconti a quest’affermazione – è, semplicemente, essere cristiani. Non essere missionari è non essere cristiani. Anche le strutture sono chiamate a convertirsi per porsi veramente a servizio degli uomini e delle donne del nostro tempo e, quindi, portare loro Gesù e il suo Vangelo.
Ripropongo, sempre a partire dall’esortazione apostolica di Papa Francesco, alcuni passi che bene delineano il tema del nostro incontro. Così, dalla viva voce del Papa, sentiamo che ‘nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di ‘uscita’ che Dio vuole provocare nei credenti (‘). Oggi, in questo ‘andate’ di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti ‘ sottolinea il Santo Padre – siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo’ (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 20).
Carissimi, anche i gruppi d’ascolto devono sentirsi direttamente chiamati in causa da queste parole di Papa Francesco. Siamo invitati ad uscire e siamo invitati ad avere più coraggio, realmente convinti che non esiste un uomo, una donna, una famiglia, un quartiere, un condominio o una città che non abbia bisogno di essere visitato e abitato dalla parola di Dio.
Ancora l’esortazione quasi ci prende per mano e ci aiuta a superare le tentazioni, le pigrizie, gli scoraggiamenti e i timori spirituali che mirano a spegnere quella santa audacia senza della quale ogni nostra risorsa – e ne abbiamo tante, sia di grazia che di natura – spenta e priva di vita nuova. La fortezza – non dimentichiamolo – non è una esibizione di muscoli: è una virtù cristiana.
‘Una delle tentazioni più serie – dice il Papa – che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti’ (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 85).
Noi confidiamo nel trionfo di un Altro, che appartiene a ciascuno di noi: il Risorto. Il pessimismo del cristiano è mancanza di fede nella croce e nella risurrezione, nel Risorto e nel suo dono: il dono pasquale dello Spirito Santo che è anche – seppur non solo – Spirito di fortezza, di coraggio, di audacia, di mitezza, di accoglienza, di annuncio missionario.
Chiedo a tutti voi, cari amici, di meditare e far propria questa frase dell’Evangelii gaudium: ‘La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia. La vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più piccoli. La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» a Pentecoste’ (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 21).
Come ricorderete, la lettera pastorale che vi ho indirizzato a compimento dell’Anno della Fede e intitolata ‘Atti degli Apostoli. Gli inizi della Chiesa’ poneva proprio l’inizio della Chiesa nel secondo capitolo degli Atti, con il dono dello Spirito Santo. Scrivevo allora: ‘Per la nostra generazione – come per quelle che l’hanno preceduta e la seguiranno – si tratta di cogliere ed esprimere la bellezza della fede e la gioia del credere. Non di rado, infatti, ci dimentichiamo che la fede non dischiude solamente la verità e la bontà del reale ma, anche, la bellezza e la gioia del vivere. Giustamente è stato rilevato che con Dio o senza Dio tutto cambia; la fede, che mai prescinde dalla libertà dell’uomo, alla fine chiede di mettere in gioco la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra memoria, i nostri sentimenti e, anche, la nostra storia personale. In altre parole, si tratta di non aver paura e di saper osare di più, guardando a Colui che, solo, è capace di rinnovarci nell’intimo, incominciando dal cuore, lì dove si origina il nostro io e il nostro reale bisogno di salvezza’ (Francesco Moraglia, Atti degli Apostoli. Gli inizi della Chiesa, Cantagalli, Siena 2013, pag. 11).
E più avanti annotavo: ‘E’ essenziale riscoprire la gioia di credere nel Signore risorto, convinti che proprio Lui, il Risorto, è il cuore della fede, l’inizio della certezza cristiana e della vera speranza per cui – attraverso lo Spirito Santo, in particolare il dono della ‘scienza’ – è possibile guardare alle realtà penultime senza perdere di vista l’Ultima verso cui già siamo incamminati ma alla quale non ancora siamo pervenuti poiché – come ricorda l’apostolo Paolo – noi siamo salvati nella speranza. Una speranza affidabile, che pure talvolta risente della fatica, rimane capace di gioire poiché fondata sulla certezza di chi crede, ossia di chi ‘sa’, per certo, che il Signore è risorto. Oggi – e questo vale per i nostri gruppi di ascolto, punte di diamante della nostra Chiesa particolare, come duemila anni fa valeva per gli apostoli – siamo chiamati ad annunciare che soltanto Dio è in grado di salvare il mondo e che la vera rivoluzione ha inizio dal cuore dell’uomo, perché è solo dal cuore dell’uomo che si dà la vera conversione e, quindi, la vera novità. E’ solamente dall’io profondo dell’uomo che si genera la vera novità culturale e sociale; ogni altro livello che non sia questo è, ancora, insufficiente’ (Francesco Moraglia, Atti degli Apostoli. Gli inizi della Chiesa, Cantagalli, Siena 2013, pag. 14).    
Ritengo che sia questo l’augurio, l’impegno e l’indicazione che dobbiamo reciprocamente rivolgerci per rianimare la bellezza, l’essenzialità e la ricchezza dei gruppi d’ascolto, di questi piccoli cenacoli così importanti nella vita della nostra Chiesa particolare. 
Custodire e conservare la storia e la memoria dei gruppi di ascolto vuol dire rilanciare nella nostra vita quell’esperienza dello Spirito che si incarna in piccoli, umili e credenti cenacoli di persone che ascoltano e vivono quotidianamente della parola di Dio e cioè – come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II – della persona di Gesù, unico Salvatore del mondo.