Intervento del Patriarca all'incontro per il 50° anniversario di fondazione della FICIAP Veneto - Federazione Italiana Centri Istruzione Addestramento Professionale (Mirano, 16 dicembre 2017)
16-12-2017

Incontro nel 50° anniversario di fondazione della FICIAP Veneto –

Federazione Italiana Centri Istruzione Addestramento Professionale

 (Mirano, 16 dicembre 2017)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Rivolgo un cordialissimo saluto a tutti i presenti, alle gentili autorità e – con particolare gioia e riconoscenza – a quanti fanno parte della Ficiap Veneto che festeggia il significativo traguardo del 50° di fondazione e così, idealmente, ricorda e rinnova il suo quotidiano e appassionato impegno ispirato dalla fede cristiana e sviluppato – attraverso l’azione degli enti associati – nel campo dell’istruzione e della formazione professionale, nei servizi al lavoro e per l’inclusione sociale che si ispirano alla concezione cristiana dell’uomo e del mondo.

Opportunamente avete dedicato questo momento di riflessione a coniugare la memoria delle opere svolte e, quindi, di un passato benemerito con la volontà di superare un presente fatto anche di incertezze e difficoltà e poter così “sfidare il futuro”.

Come ho già avuto modo di dire, in altri simili contesti, siete l’espressione concreta e preziosa di un impegno per il “bene comune” che contiene un valore educativo, culturale, sociale – e quindi “pubblico” – altissimo. Il qualificato sistema dell’istruzione e della formazione professionale fa davvero parte di  quel  “bene  comune”  che dovremo avere molto più a cuore poiché riguarda i nostri ragazzi, i cittadini di oggi e di domani delle nostre città e del nostro Paese. Sì, perché l’educazione e la formazione – oggi più che mai – è bene comune.

Mi è stato chiesto – in questo mio intervento – di soffermarmi brevemente su ciò che la Chiesa ha da dire riguardo i giovani e il mondo del lavoro. E non posso allora non fare riferimento al fatto che, proprio nelle scorse settimane, la Chiesa italiana ha tenuto a Cagliari la 48^ edizione delle sue periodiche “Settimane sociali”; i lavori di tale assemblea sono stati sintetizzati in alcune proposte concrete e molto specifiche (che Vi invito, se non l’avete ancora fatto, ad andare a consultare) rivolte al Governo italiano e all’Europa.

La prima delle proposte lanciate con forza all’esecutivo nazionale recita, non a caso, così: “Rimettere il lavoro al centro dei processi formativi – Per ridurre ulteriormente e in misura più consistente la disoccupazione giovanile, occorre intervenire in modo strutturale rafforzando la filiera formativa professionalizzante nel sistema educativo italiano”.

Non bastano più, insomma, meri incentivi all’assunzione ma – è stato detto – è necessario rafforzare i corsi di istruzione e formazione  professionale agendo sia nell’ambito dei finanziamenti dello Stato che nel sistema di relazione tra aziende e istituti formativi e mobilitando, quindi, maggiori investimenti nell’orientamento e per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e nella filiera formativa.

“Non c’è nulla di scontato – diceva in quell’occasione il prof. Mauro Magatti, sociologo ed economista – nel dire che occorre rimettere al centro del nostro modello di sviluppo il lavoro… Semplicemente perché veniamo da una lunga stagione in cui ciò non è stato vero. Ma cosa vuol dire mettere al centro il lavoro? Primo: prendersi cura dell’umano in tutte le sue dimensioni. Si discute di formazione e competenze. Ma una cosa va riaffermata con forza: occorre for-mare, cioè capacitare, la persona, superando le false dicotomie che separano invece di tenere insieme. Non va bene un’idea di cultura astratta, distaccata, rispetto alla quale la realtà non pare mai all’altezza; ma nemmeno un tecnicismo asfittico, schiacciato sul fare per il fare. Occorre ribadire che la persona intera è fatta di tante dimensioni (cognitiva, emotiva, manuale, sociale) che vanno tutte stimolate e curate, coltivando il sapere teorico che quello pratico, la conoscenza formale e quella informale. La possibilità di realizzarsi anche lavorativamente (senza produrre scarti) dipende dalla crescita armoniosa di tante dimensioni diverse. Un processo delicato che deve vedere tanti soggetti e istituzioni agire di concerto. Perché una formazione integrale non è mai solo un affare privato. Dice bene un proverbio africano: per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio. Tradotto nel linguaggio contemporaneo: l’educazione è un bene comune. Il che significa anche che, alla lunga, non c’è nemmeno crescita se la comunità non si cura dei propri giovani, soprattutto di quelli più fragili. In una prospettiva di sviluppo sostenibile, l’inclusione è un principio economico” (Mauro Magatti, Relazione alla 48^ Settimana Sociale “Dopo l’inverno viene la primavera. Lavoro degno e futuro dell’Italia”, Cagliari, 28 ottobre 2017).

Mi sembrano importanti e perciò da evidenziare in questo importante contesto le parole che Papa Francesco, ricordando – insieme – uno dei cardini della Dottrina sociale della Chiesa ma anche richiamando l’art. 1 della Costituzione italiana (“L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”), ha detto pochi mesi fa allo stabilimento dell’Ilva di Genova incontrando il mondo del lavoro: “Lavorando noi diventiamo più persona, la nostra umanità fiorisce, i giovani diventano adulti soltanto lavorando. La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre visto il lavoro umano come partecipazione alla creazione che continua ogni giorno, anche grazie alle mani, alla mente e al cuore dei lavoratori. Sulla terra ci sono poche gioie più grandi di quelle che sperimentano lavorando, come ci sono pochi dolori più grandi dei dolori del lavoro, quando il lavoro sfrutta, schiaccia, umilia, uccide. Il lavoro può fare molto male perché può fare molto bene. Il lavoro è amico dell’uomo e l’uomo è amico del lavoro, e per questo non è facile riconoscerlo come nemico, perché si presenta come una persona di casa, anche quando ci colpisce e ci ferisce. Gli uomini e le donne si nutrono del lavoro: con il lavoro sono “unti di dignità”. Per questa ragione, attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale. Questo è il nocciolo del problema. Perché quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale…” (Papa Francesco, Incontro con il mondo del lavoro, Genova/Stabilimento Ilva, 27 maggio 2017).

Ribadisco anche oggi, nella felice circostanza che ci ha riuniti qui, che solamente una  società ed una politica che hanno la saggezza e la lungimiranza di investire e mobilitare risorse  economiche e umane nella formazione e nell’innovazione, a cominciare dallo strategico ambito scolastico, saranno in grado di fissare le basi per un futuro nel quale la persona non venga schiacciata e subordinata a scelte economiche e finanziarie e il lavoro – così prezioso e vitale come abbiamo appena sentito – finisca per diventare “padrone” invece di essere a servizio dell’uomo.

La formazione professionale – e riconoscerlo significa attestare un’evidenza – contribuisce  in  modo determinante e stratificato a trasmettere e a far crescere quella sana “cultura del lavoro” che appartiene, tra l’altro, al dna di molte genti venete e che rappresenta la principale garanzia del progresso e del ben-essere della società, garantendo un percorso di crescita e delle competenze specifiche anche a chi rischierebbe altrimenti l’esclusione, la marginalizzazione e la dispersione ed offrendo quindi, a non poche persone e famiglie un’opportunità vera di piena e degna partecipazione alla vita sociale.

La formazione professionale – come ho avuto modo di osservare anche in altre occasioni – raccoglie e traduce in modo creativo alcuni dei principi  fondamentali della dottrina sociale della Chiesa: la dignità dell’uomo e la valorizzazione delle sue doti personali che si sviluppano nel campo dell’educazione, della  formazione e,  quindi, del  lavoro costituendo un peculiare contributo  al  bene  comune,  in particolare attraverso la via virtuosa della  sussidiarietà che  sa  coinvolgere, far emergere  e mettere  in  moto tutte le energie, le risorse e  le competenze del  territorio.

Sappiamo bene quanti sforzi e quanta fatica, però, sono necessari ogni giorno per portare avanti con passione, diligenza ed efficacia il vostro lavoro nel portare avanti la preziosa opera della  formazione professionale e per questo è importante che le istituzioni, gli enti locali, le organizzazioni economiche, sociali e sindacali – ognuno secondo il proprio ambito e nel rispetto delle reciproche competenze – sappiano dimostrare sempre un’attenzione fattiva e reale, insieme ad una tempestiva e responsabile capacità di decisione (penso, soprattutto, alla politica) per non far mancare mai il supporto necessario – in termini di risorse, investimenti, misure attive e di stimolo – a questo settore vitale per le nostre comunità, per le nostre famiglie.

Ma, accanto al tema del lavoro, mi avete anche giustamente indicato per questo mio intervento di tenere presente il mondo dei giovani. Riflettevo nei giorni scorsi – e l’ho anche detto  durante le celebrazioni della festa veneziana della Madonna della Salute – che la nostra società, tra i suoi vari problemi, ha anche quello di non incoraggiare molto i giovani ed anzi, talvolta, di penalizzarli in modo inaccettabile.

La nostra società si presenta, infatti, come pensata e progettata dagli adulti e per gli adulti. E poi la nostra società è ormai abituata a posticipare e a ritardare tutto, non solo la data della pensione…

Dovremmo, invece, interrogarci di più su come intercettare ed incontrare i nostri giovani, come farli sentire soggetti attivi e responsabili, come aiutarli ad entrare nella vita e nel mondo del lavoro -, senza estenuanti anticamere – e a fare in modo che possano manifestare i loro desideri e le loro angosce, le loro potenzialità e le loro fragilità.

Si dovrebbe, allora, scommettere molto di più sui giovani ed investire sul loro futuro che, poi, è il nostro. Bisogna che – da parte di tutti – vi sia più coraggio, più libertà interiore, più distacco da se stessi, più sensibilità verso il bene comune al di là della propria persona, maggiore capacità di parlare all’intelligenza e al cuore dei giovani. Confido che, anche in tale ambito, si riesca ad operare qualcosa del genere.

La Chiesa sente così di dover rilanciare la speranza nel cuore delle persone, nel cuore dei giovani, nel cuore del mondo della formazione e del lavoro, ambiti che accompagnano e segnano in modo così decisivo la vita di tutti noi.

Lo può fare (la Chiesa) perché è fondata su una speranza che non viene meno e che, tra pochi giorni, a Natale, ci verrà ribadita e di nuovo annunciata, se sapremo ascoltarla e contemplarla. Per chi crede, a Natale Dio si fa uomo e assume tutto l’umano. E questo ribalta e cambia tutto! A Natale accade l’ “improbabile”: sembra una fiaba ma non lo è; è troppo bello per essere vero, eppure è vero!

Permettetemi, dunque, di concludere non solo ribadendo la stima e l’incoraggiamento per il grande compito che avete svolto in questi 50 anni di attività e che vi invito a proseguire con rinnovato impegno e una moltiplicata passione educativa e sociale.

Lasciate, perciò, che Vi auguri sin d’ora un Natale capace di aprire il cuore alla speranza e alla gioia più vere, un Natale capace di ispirare in tutti noi nuove e più “umane” relazioni personali, familiari e sociali, un Natale che offra a tutti – in particolare ai più deboli e ai più giovani – un supporto a crescere o un aiuto a rialzarsi e a riprendere con vigore il cammino, avendo davanti un orizzonte di vita più ampio e luminoso. Grazie.