Intervento del Patriarca all'inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Architettura (Venezia, Isola di S. Giorgio Maggiore / Fondazione Cini - 25 maggio 2018)
25-05-2018

Inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Architettura

(Venezia, Isola di S. Giorgio Maggiore / Fondazione Cini – 25 maggio 2018)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

La Biennale di Architettura vive quest’anno la sua XVI edizione; saluto, innanzitutto, il Presidente Paolo Baratta. Per la prima volta la Santa Sede partecipa a tale prestigiosa manifestazione e lo fa con una proposta di alto profilo.

Vatican Chapels – curata dal professor Francesco Dal Co – costituisce un’ideale pellegrinaggio e dialogo spirituale nel contesto di una natura unica nella sua bellezza in cui si manifesta la mano creatrice di Dio.

Siamo in un luogo simbolo della città, affacciati sul bacino di san Marco, dinanzi alla Basilica dedicata all’Evangelista, emblema principe di Venezia nel mondo.

L’isola di San Giorgio Maggiore, da oltre mille anni, è sede dell’omonimo monastero benedettino di cui mantiene vivo lo spirito e la tradizione. Da quasi settant’anni, poi, l’isola è anche sede della Fondazione Cini e ringrazio il presidente Giovanni Bazoli per l’accoglienza.

Che la Santa Sede, dopo aver partecipato alla Biennale d’Arte nelle edizioni 2013 e 2015, allestisca ora un Padiglione per la Mostra internazionale di Architettura dice il grande impegno del Pontificio Consiglio della Cultura e in particolare del suo presidente – il Cardinale Gianfranco Ravasi che saluto cordialmente – nel realizzare quanto Paolo VI, negli anni del Concilio Vaticano II  – era il 7 maggio 1964 -, aveva auspicato incontrando gli artisti nella splendida cornice della Cappella Sistina.

“Noi – diceva Papa Montini – abbiamo bisogno di voi… Il nostro ministero è predicare e rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello Spirito dell’invisibile, dell’ineffabile di Dio. E in questa operazione (…) voi siete maestri” (Paolo VI, S. Messa degli artisti nella Cappella Sistina, 7 maggio 1964).

  Il 4 aprile 1999 Giovanni Paolo II indirizzava poi agli artisti una lettera in cui ribadiva l’intrinseco legame tra fede e cultura chiedendo di declinarlo secondo le diverse forme d’arte e chiamando esplicitamente in causa gli architetti.

La Chiesa – scriveva Papa Wojtyla – ha bisogno di architetti, perché ha bisogno di spazi per riunire il popolo cristiano e per celebrare i misteri della salvezza. Dopo le terribili distruzioni dell’ultima guerra mondiale e l’espansione delle metropoli, una nuova generazione di architetti si è cimentata con le istanze del culto cristiano, confermando la capacità di ispirazione che il tema religioso possiede anche rispetto ai criteri architettonici del nostro tempo. Non di rado, infatti, si sono costruiti templi che sono, insieme, luoghi di preghiera ed autentiche opere d’arte” (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, n.12).

Queste parole si legano bene a quelle di Yvonne Farrell e Shelley McNamara, curatrici della Biennale di Architettura di quest’anno il cui tema è Freespace: Freespace – spiegano le curatrici – rappresenta la generosità di spirito e il senso di umanità che l’architettura colloca al centro della propria agenda, concentrando l’attenzione sulla qualità stessa dello spazio. Freespace si focalizza sulla capacità dell’architettura di offrire in dono spazi liberi e supplementari a coloro che ne fanno uso, nonché sulla sua capacità di rivolgersi ai desideri inespressi dell’estraneo…”.

Come dissi lo scorso 21 marzo intervenendo alla presentazione del Padiglione della Santa Sede, in Sala Stampa Vaticana, le cappelle che oggi avremo il piacere di visitare s’inseriscono perfettamente nel contesto dell’isola di San Giorgio e, in essa, nel peculiare, fragilissimo e unico ambiente lagunare.

Si dipana, quindi, un percorso spirituale e artistico che aderisce e ripropone la storia e l’oggi di Venezia, impensabile senza le sue chiese. Bellezza, arte, multiculturalità, accoglienza e fede costituiscono da sempre la cifra di Venezia.

Il progetto si rifà all’idea della “Cappella nel bosco” realizzata a Stoccolma da Gunnar Asplund, una comunità in dialogo spirituale che prega in un contesto pienamente integrato con la natura.

Venezia risponde bene a tale dialogo e itinerario spirituale fra le sue chiese, immersa com’è, in modo unico, nella bellezza del suo habitat unico e irripetibile. Venezia è, insieme, opera di Dio e dell’uomo; è l’esito felice del congiungersi della mano di Dio e dell’uomo come raffigura il gesto immortalato da Michelangelo nella Cappella Sistina, dove lo sfiorarsi della mano del Dio creatore e della creatura annunciano una alleanza ricca di fecondità. Tale incontro svela Dio all’uomo e la grandezza dell’uomo; sì, Venezia è l’effetto di tale alleanza.

Il progetto “Cappella nel bosco” ci ricorda come l’edificio-chiesa non sia solo uno spazio funzionale ma un luogo simbolico dell’incontro con Dio, uno spazio sacro che entra in rapporto e plasma l’assemblea che celebra la liturgia; il percorso espositivo dice – in linguaggio architettonico d’eccellenza (per struttura e materiali) – il mistero cristiano in termini consoni alla modernità. Si capisce, quindi, come gli unici vincoli posti siano stati l’ambone (la Parola) e l’altare (la mensa eucaristica).

L’architettura sacra, custodendo il linguaggio simbolico, deve opporsi ad ogni deriva iconoclasta. Quando si abita la Parola e si pratica il linguaggio sacramentale si giunge alla contemplazione di Dio e così la percezione di Dio nella storia si esprime in immagini, spazi e possibilità artistiche nuove, tanto da rendere visibile il “Mistero cristiano” a partire da quello dell’Incarnazione.

Percepire il simbolo è essenziale per la comunità religiosa e civile; il simbolo, infatti, rimanda a quanto va oltre ogni tipo di funzionalismo e, insieme, dice la capacità di elevarsi a un Oltre che svela l’uomo all’uomo.

Di fronte a tale percorso espositivo ringrazio il Pontificio Consiglio per la Cultura e gli artisti che, con le loro creazioni e nel rigoroso rispetto della natura, hanno – secondo diverse sensibilità e provenienze – dato nuova voce a Hermann Hesse (uno degli scrittori di lingua tedesca più letti al mondo e premio Nobel per la cultura 1946) che diceva: “Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio”.

Auguro a tutti i visitatori di cogliere tale presenza.