Intervento del Patriarca alla Festa del Creato “La città che speriamo: lavoro, ambiente, futuro. #tuttoèconnesso” (Marghera – Parrocchia S. Pio X, 25 settembre 2021)
25-09-2021

Festa del Creato “La città che speriamo: lavoro, ambiente, futuro. #tuttoèconnesso”

(Marghera – Parrocchia S. Pio X, 25 settembre 2021)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Ringrazio quanti hanno organizzato la giornata della “Festa” per il Creato mettendo a tema le preoccupazioni e speranze del nostro territorio. Abbiamo, così, ascoltato il ”grido della Terra” e il “grido dei poveri”.

Il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, durante il recente discorso in apertura della 76ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha detto: “Sono qui per dare l’allarme: il mondo deve svegliarsi… Siamo sull’orlo di un abisso e ci muoviamo nella direzione sbagliata… Le persone vedono promesse di progresso negate dalla realtà, ridotti i loro diritti e libertà fondamentali… Vedono intorno grande e piccola corruzione… Miliardari andare nello spazio mentre milioni di persone soffrono la fame sulla terra… I genitori vedono un futuro per i loro figli che sembra ancora più cupo delle lotte di oggi… e i giovani non vedono alcun futuro…”.

Non parlava, evidentemente, solo del clima e della tutela del creato, anche se l’emergenza ambientale era fortemente ribadita. Il suo era un discorso generale che, però, è diventato anche un forte appello poiché – come anche rileva il tema di questa Festa del Creato e quello simile della prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani a Taranto – davvero “tutto è connesso”.

C’è, insomma, un contesto globale di cui tenere conto anche in ambito locale; c’è un panorama di diseguaglianze, violenze e sopraffazioni contro l’uomo e il creato da contrastare; c’è anche un senso di sfiducia, impotenza e rassegnazione a cui si deve reagire con una concreta azione.

All’inizio dell’enciclica Laudato si’, promulgata da Papa Francesco più di sei anni fa, si accenna al tema della violenza perpetrata – in molte forme – nei confronti del creato e che è affiorata nelle tante questioni emerse oggi (le conseguenze della crisi economica e della pandemia, la dignità per chi lavora, l’inquinamento atmosferico, le malattie generate dai veleni utilizzati, i pesticidi e l’inquinamento del suolo, la cementificazione e il consumo di suolo ecc.).

“Questa sorella – la Terra, scrive il Papa – protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora”.

Si tratta della violenza commessa contro l’ambiente, spesso perpetrata in nome o come conseguenza del progresso tecnico-scientifico indiscriminato, a volte disumano e legato in modo stretto a quello economico, finanziario, politico e mediatico. È poi inaccettabile l’alternativa lavoro / salute; lo Stato di diritto deve garantire e il lavoro (sicuro) e la salute.

La pace e la giustizia mondiale non sono minacciate soltanto nel loro equilibrio precario, legando tutto alla paura suscitata dalla corsa agli armamenti e dal controllo egemone delle grandi potenze su intere regioni del mondo nelle quali agiscono non con una guerra dichiarata ed aperta ma con quella che viene definita una “competizione dura”, termine che maschera spesso scelte drammatiche per i popoli che le abitano e l’ambiente e il territorio.

Per porre fine alla violenza non basta dismettere gli armamenti; è necessario un disarmo integrale dell’anima. Anche le esperienze e le testimonianze che abbiamo ascoltato in questo incontro rivelano che – accanto alle guerre convenzionali, tecnologiche, digitali ecc. – c’è una sorta di guerra, dichiarata esplicitamente o implicitamente, al creato ed è quella che si realizza nell’indiscriminato sfruttamento della Terra.

Tale situazione dipende dall’attuale visione antropocentrica e dal prevalere del paradigma tecnoscientifico e tecnocratico che comporta pesanti conseguenze per l’acqua, l’aria, la terra e la biodiversità. Tutto è, quindi, a rischio o perché inquinato o perché in parte o del tutto distrutto.

Ogni atto posto contro l’equilibrio fragile del creato (ambiente / ecosistema) è una violenza a cui si deve reagire. Bisogna recuperare la stretta interdipendenza fra ambiente e vita umana, con tutto quello che comporta, tra cui il fatto di poter arrivare a parlare del diritto della persona (della collettività) ad un ambiente sicuro. “Oggi si parla sempre più insistentemente del diritto ad un ambiente sicuro, come di un diritto che dovrà rientrare in un’aggiornata carta dei diritti dell’uomo”, scriveva in proposito più di trent’anni fa, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1990, Giovanni Paolo II.

Pur nel quadro preoccupante prospettato anche dal Segretario dell’Onu, cresce la convinzione che la crisi / emergenza ecologica non potrà essere risolta se non attraverso un’ecologia integrale e tutto ciò richiede un’azione di discernimento a cui siamo chiamati come persone, realtà ecclesiali, gruppi sociali, mondo della politica, dell’economia e del lavoro ecc.

Di ecologia integrale parla tutto il capitolo quarto della Laudato si’ (a cui rimando) in cui è ripreso il pensiero di Papa Benedetto XVI. Da qui si evidenzia l’urgenza di rivedere gli stili di vita nei comportamenti quotidiani, a partire dall’umanità più ricca che ha maggiori responsabilità.

L’educazione sarà decisiva per le scelte personali, familiari, dei gruppi ed associazioni, per una condivisa e nuova educazione civica ad una cittadinanza ecologica essenziale per il nostro futuro.

Bisogna attuare l’economia circolare, “adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare” (Papa Francesco, Laudato si’, n.22).

Possiamo concepire e soppesare in modi diversi, ossia sostenibili, le modalità e i contenuti del progresso tecnico-scientifico e dello sviluppo dell’umanità, soprattutto all’interno del processo di globalizzazione che non manca di mostrare le sue non poche criticità, specialmente a scapito delle aree e delle popolazioni più povere e dimenticate del pianeta. “Occorrono quadri regolatori globali – dice ancora la Laudato si’ – che impongano obblighi e che impediscano azioni inaccettabili, come il fatto che imprese o Paesi potenti scarichino su altri Paesi rifiuti e industrie altamente inquinanti” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n.173). O, aggiungo, che si ritardino – a causa della politica – bonifiche di aree inquinate.

Sono ancora necessari processi decisionali che garantiscano legalità e democraticità e, nello stesso tempo, una capacità e un accordo di governance di fronte alla gestione e alla salvaguardia dei beni comuni globali. Ci vorrebbe – è un punto delicato ma imprescindibile – un’autorità politica mondiale capace di esercitare tale azione non solo a proclami.

In conclusione, la scienza e la tecnica hanno reso possibili acquisizioni importanti, ma nel momento in cui si rapportano alla natura, all’ambiente, all’uomo con l’intento di poterlo misurare, soppesare e catalogare, rischiano di prestarsi ad un’operazione di “cosificazione”, riducendo tutto una cosa (la persona, il creato ecc.). “Cosificare” significa non avere rispetto e violentare: la natura, l’ambiente, la vegetazione, gli animali, l’uomo… Ma, soprattutto, grave è la “cosificazione” dell’uomo nel momento in cui viene ridotto ad un puro dato, ad un oggetto.

Progredire in tale maniera, per la scienza e la tecnica, equivarrebbe non ad una vittoria ma una sconfitta. Dobbiamo, infatti, essere rispettosi dell’uomo e del creato che sono qualcosa di più grande della scienza e delle sue apprezzabili acquisizioni.

Non tutto quello che si può fare è lecito farlo, soprattutto quando si tratta della vita fragile, il nascere e il morire. Alla funzionalità della tecnica e al sapere sempre ipotetico e perfettibile delle scienze, dovrà rispondere un’etica non relativista (sempre molto comoda) ma oggettiva che ricorda all’uomo i suoi limiti e che l’ambiente in cui viviamo non è solo un ecosistema ma un mistero di fronte al quale l’uomo deve sapersi fermare perché l’uomo continui a rimanere tale. E non distrugga se stesso e il “creato”.